donne chiesa mondo - n. 68 - maggio 2018

DONNE CHIESA MONDO 38 DONNE CHIESA MONDO 39 ne, non se la prenderanno troppo scoprendo che in fondo li ho ingannati. (…) Ero tranquil- la, avrei fatto marcia indietro all’ultimo momen- to, potevo decidere quando e come fare marcia indietro e tornare nel mondo, in mezzo a tutti gli altri, questo mi dava sicurezza. Questo mi dava sicurezza, capisci? Mi faceva sentire gran- de e responsabile, padrona di me stessa, diversa dalle altre ragazzine, schiave di un cognome e di un’alleanza influente. Poi, lentamente, mi so- no accorta che era esattamente quella la vita che volevo, la biblioteca e la sveglia delle lodi, e il Magnificat e i salmi del vespro, perfino il turno in cucina in mezzo a montagne di sedani, di ra- pe e carote, o le serate a ridere in mezzo alle al- tre con i mucchi di piatti da lavare». Che poi — riflette con profondità e senso cri- tico Rosalina, abituata a mettersi e rimettersi al- la prova e in discussione, che si tratti dell’amici- zia con Giulietta o del rapporto con Dio — de- cidere e scegliere non sono in realtà gli assi por- tanti della condizione umana. «Decidiamo po- chissimo durante il percorso della vita. Solo un inverosimile complesso di superiorità ce lo fa di- menticare. Decidiamo pochissimo, basta guar- dare nel giardino sotto casa per capire». Nel la- sciarci il suo testamento spirituale, Rosalina è serena, forte del fatto che lei — monaca di clau- sura — ha in realtà vissuto più intensamente non solo della rana dalla bocca larga Mercuzio e dello sbruffone tutto chiacchiere e distintivo Te- baldo, ma anche di tutti i Capuleti e i Montec- chi, di ieri e di oggi, messi insieme. L’idea di dar vita a Rosalina non è stata per Guidi — che è anche autrice radiofonica e ha all’attivo altri testi teatrali andati in scena nel tempo — un fulmine a ciel sereno. Da anni, in- fatti, la giornalista nata a Firenze collabora con la Sicamore T Company, una compagnia teatra- le nata da un blog di fanatici shakespeariani. Il progetto era quello di mettere in scena come protagonisti diversi personaggi secondari e muti del commediografo inglese: Rosalina - come la polvere e il fuoco è nata così. «Sono suora, non santa, non è automatico di- ventarlo, per nessuno, bisogna vivere, innamo- rarsi, odiare, attraversare mille trappole, sbattere il naso in cento strade senza uscita, imboccare vicoli morti, uscirne fuori, sbagliare, lasciarsi perdonare, poi sbagliare ancora, rischiare sem- pre, non nascondersi mai dietro una formula precotta, non evitare mai le cose che bruciano davvero. Il segreto è rischiare, vivere, e non la- sciarsi intimidire da quanto fanno male le ferite, non fermarsi, non perdere tempo a commentare, mai perdersi in analisi, mai fermarsi a calcolare. Mai fare bilanci, ti inceppano la strada, lacrime e sangue ma soprattutto non stancarsi di ri- schiare». L’atto unico di Guidi è finora andato in sce- na a marzo al teatro L’Istrione di Catania e il 22 aprile a Verona, nell’ambito del festival Sha- kespeare 2018. A Roma dovrebbe arrivare dopo l’estate. Con la regia di Michele Giovanni Cesa- ri (classe 1980), è Giovanna Mangiù, una giova- ne attrice non credente, a dar volto e corpo a Rosalina, in un’interpretazione rigorosa e molto efficace. Per dare attualità al monologo e scon- giurare sdolcinature o sentimentalismi, per la colonna sonora sono state scelte musiche elet- troniche del compositore messicano Murcof. E Cesari, dimostrando di essere entrato in perfetta sintonia con l’autrice, ha aggiunto al testo — ol- tre che un video — brani di Pirandello e poesie di Khalil Gibran, Meister Eckhart e Rilke. Nel finale, la Rosalina di Guidi rivela il no- me che ha scelto una volta entrata in convento. È ora madre Veronica, che significa immagine vera. «Dimentica pure tutto il resto — dice in chiusura la religiosa allo spettatore — ma ricorda questo: non sono “quella che si è rovinata la vi- ta facendosi suora”, sono Veronica, immagine vera di quello che c’è adesso e di quello che ci sarà dopo». G IOVANNI 15, 1-8 D opo la lavanda dei pie- di, dopo i discorsi di addio, dopo che Giuda se n’è andato, dopo il comandamento nuovo, Gesù per l’ultima volta rivela chi lui è; per l’ultima volta adopera la formula «io sono». L’ha già adoperata tante volte. Ha detto «io sono il pane», «la luce del mondo», «la porta», «il pastore», «la via» ( Gio- vanni 6, 35; 8, 12; 10, 7.9.11; 14, 6). Ora aggiun- ge: «io sono la vera vite» ( Giovanni 15, 1). Il profeta Osea aveva paragonato Israele a una vite rigogliosa che produceva frutto in ab- bondanza (cfr. Osea 10, 1); il profeta Isaia aveva cantato l’amore di Dio per questa vigna, una vi- gna che lui stesso ha coltivato, curato, liberato dai sassi, zappato, potato, ma in cambio quale frutto ne ha ricavato? Nessuno! Il viticoltore si M EDITAZIONE Vite e tralci che danno frutto a cura delle sorelle di Bose Piero Giunni, «Stagione d’attesa» (1986) A pagina 40 Vincent van Gogh, «Vigne con veduta di Auvers» (1890)

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