donne chiesa mondo - n. 68 - maggio 2018

DONNE CHIESA MONDO 40 aspettava l’uva, la vigna non ha risposto alle cu- re prestate, ha dato «acini acerbi» (cfr. Isaia 5, 1-5). La vite non ha portato frutto. Gesù dichia- ra: «Io sono la vite vera», cioè la vite che non si è inselvatichita, ma che dà frutto abbondante. Lui è la vite amata e curata dal Padre, l’Israele fedele che risponde ai doni di Dio. Gesù è la vite, quelli che credono in lui sono i tralci. Il Padre riversa ogni sua cura sulla vite e sui suoi tralci. Perché la vite dia frutto biso- gna tagliare i tralci sterili, inutili, e bisogna po- tare gli altri. E questo il Padre lo opera innanzi- tutto attraverso la sua parola che «è viva, effica- ce e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; penetra nel punto di divisione dell’anima e del- lo spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore» ( Ebrei 4, 12). La parola di Dio ci pota, ci lavora. Gesù si è lasciato potare dalla parola ascolta- ta, pregata, vissuta, si è lasciato potare dagli uo- mini, dagli eventi, fino a perdere la vita per amore e dare come frutto la resurrezione, la sal- vezza di tutti gli uomini. Quante cose hanno detto di lui! L’hanno accusato di essere indemo- niato, di trasgredire la Legge, di bestemmiare Dio; i suoi discepoli, quelli che gli stavano vici- no e condividevano la sua vita, spesso non lo capivano, fraintendevano le sue parole, cercava- no i primi posti; uno di loro l’ha tradito, gli al- tri sono fuggiti. Si dice che la vite pianga quando viene pota- ta; le potature fanno soffrire, ma se le viviamo nella fede e nell’abbandono al Signore vediamo non solo le potature ma anche il frutto, un frut- to che a volte è nascosto, a volte già visibile. Ci accade, a volte, quando preghiamo, di sentire una pace profonda dentro di noi; ci accade, a volte, nella sofferenza, di sentire che non siamo soli, di percepire che il Signore sostiene la no- stra volontà di amare. E allora poco per volta il desiderio del Signore diventa il nostro, la nostra domanda di dare frutto, di vivere cioè una vita dietro a Gesù dando frutti di pace, pazienza, carità, viene esaudita, e noi cominciamo a di- ventare discepoli. «Se rimanete nella mia parola, sarete vera- mente miei discepoli» ( Giovanni 8, 31), ha detto Gesù. Per dare frutto bisogna rimanere, cioè aderire fedelmente al Signore, alla sua parola. Restare, rimanere, perseverare: sono immagini estranee al nostro mondo in cui si fanno le cose per un momento, per un attimo finché dura il piacere, finché c’è la novità, finché ci si guada- gna un certo successo. Nella parabola del semi- natore per indicare quelli che alla prima diffi- coltà si abbattono si dice che sono próskairoi , cioè che vivono nel momento (cfr. Marco 4, 17). In questo momento mi va di fare questa cosa, in un altro momento non mi piace più; la rego- la della mia vita è il piacere immediato, momen- taneo. Il cristiano invece rimane nel Signore, qualunque cosa faccia, pensi, dica, di giorno e di notte sta con il suo Signore, perché sa che senza di lui la sua vita non ha senso. «Senza di me non potete fare nulla» ( Giovanni 15, 5). Non facciamo i cristiani a ore, a momenti, accettando un servizio solo finché ci piace o abbiamo il consenso degli altri! Viviamo in Cristo, tutto fa- cendo con Cristo, per Cristo, in Cristo.

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