donne chiesa mondo - n. 56 - aprile 2017

DONNE CHIESA MONDO 6 DONNE CHIESA MONDO 7 creato un sito dove dicono che il loro aborto è andato bene e che stanno bene, il tutto al fine di confutare quelle che sostengono di aver sofferto dopo l’aborto. Di fatto, in Francia il governo ha con- dotto un’inchiesta da cui risulta che l’Interruzione volontaria di gra- vidanza (Ivg) non lascia conseguenze psicologiche a lungo termine; eppure la realtà più evidente è quella del silenzio. A gridare più forte la solitudine delle donne dopo un aborto è il loro silenzio. Ebbene, quando il silenzio spegne la donna, lei si autocensura e rimuove il fatto in una storia che appartiene solo a lei. Quando sente dentro di sé sintomi diversi, come l’angoscia, il dolore fisico, l’incubo, un senso d’indegnità, vive tutto ciò nel grande silenzio della società che l’ha lasciata sola con la sua decisione. Quali sono le conseguenze dello sguardo rivolto dalla società a queste donne? Questa società crede di aiutare le donne banalizzando l’Ivg, facen- done qualcosa che si può decidere ormai senza “criterio di disperazione”, senza rifletterci sopra, rimborsato al cento per cento. Tutto ciò induce le donne a restare in quella solitudine e in quel si- lenzio che le porta a gridare dentro di sé: «Sono normale? Perché soffro?». Ricordo una donna che ho assistito e che, piangendo calde lacri- me, mi ha detto: «Mi vergogno, mi vergogno di piangere, perché so- no stata io a ucciderlo». È come se ci fossero lacrime proibite di don- ne che pensano di essere “pazze”, perché la società rinvia un’immagi- ne dell’aborto come un atto banale, per il quale non bisogna sentirsi in colpa. Abbiamo purtroppo constatato che alcuni operatori sociali e psico- logi venivano multati quando cercavano di verificare, per esempio in donne alcolizzate, precedenti di aborto. Ho anche notato, ascoltando quelle donne, che gli psicologi e gli psichiatri che le seguivano si era- no rifiutati di ascoltarle sul tema dell’aborto. Non c’è sofferenza peg- giore di quella di non essere accettati, ascoltati e riconosciuti nella propria sofferenza. Tutti abbiamo bisogno di essere riconosciuti nel nostro dolore, ed è lì d’altronde che la misericordia, che ha un cuore sensibile all’infelicità, diviene il bisogno più grande generato dalla fe- rita dell’aborto. Solo la misericordia infatti accetta completamente la sofferenza, senza fare confusione tra l’atto e la persona. E solo questo consola veramente. L’aspetto più doloroso nella solitudine di quelle donne è che han- no l’impressione che la loro vita non valga più nulla, che non posso- no essere ascoltate ed esprimere il loro dolore. Questa solitudine ha come conseguenza un diffuso senso di colpa, una perdita di stima, Ha conseguito una licenza in giurisprudenza e una laurea presso Sciences-po Paris e l’Essec. Prima di diventare consulente in ambito medico-sociale, ha lavorato per un’associazione di assistenza alle persone anziane, i Petits frères des pauvres. E nel 1986 ha fondato l’associazione À bras ouverts rivolta, grazie al lavoro di accompagnatori volontari, all’accoglienza di bambini, adolescenti e giovani adulti portatori di handicap mentale, durante i fine settimana o le vacanze. Dal 1994 è delegato generale di Alliance pour les droits de la vie, divenuta poi Alliance VITA . A tale titolo interviene regolarmente sui media in difesa e a tutela della vita e della dignità umane e su questioni bioetiche. Nel 2013 ha lanciato la Courante pour une Ecologie Humaine. Dal 1989 è sposato con Raphaële con la quale ha avuto sei figli. Tugdual Derville

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