donne chiesa mondo - n. 56 - aprile 2017

DONNE CHIESA MONDO 4 DONNE CHIESA MONDO 5 La prima domanda che i ginecologi fanno alle donne che aspetta- no un figlio è: «È desiderato?». Oserei dire che è una domanda che uccide. Di fatto ogni gravidanza è vissuta in modo ambivalente, con la sua parte di vita e di morte, di fragilità e di angoscia, senza di- menticare l’importanza dell’ambiente che accoglierà il bambino. E il compagno l’accoglierà? Si crea quindi uno stato di turbamento e di ricomposizione psichica che gli psicologi hanno ben descritto. Ebbe- ne, in questo momento di grande fragilità e di ambivalenza naturale (c’è desiderio ma anche paura, gioia ma anche angoscia) si chiede al- le donne di dare una risposta radicale (che assomiglia alla risposta di un computer: sì o no) mentre c’è una storia intima che si sta trac- ciando e che è sempre più complessa di un sì o un no. Quelle donne vivono quindi una solitudine drammatica, e vanno accompagnate, e non abbandonate a una “presunta” scelta individuale, che non acco- glie la complessità di ciò che di così straordinario si crea quando una vita sta per affiorare da un’altra, quando un corpo sta per forgiarsi in un altro. Come si può accompagnare una donna che ha appena abortito? Nel nostro ascolto in Alliance VITA ho notato che indubbiamente c’è un senso di sollievo: in effetti il “problema” che si poneva è stato “cancellato” dall’aborto, se pure in condizioni mai semplici e a volte molto dolorose per le donne. Ma poi nella vita di quelle donne s’in- nesta un gravissimo segreto di famiglia. In Francia tre donne su dieci fanno almeno una volta nella loro vita feconda l’esperienza dell’abor- to. È però sintomatico che solo poche ne parlino. Alcune hanno servato la decisione alle donne. Dal punto di vista legale, la decisione ultima spetta alle donne. Gli uomini non sono responsabili perché non conoscono il problema, ma a volte anche perché ne sono esclusi dalla stessa legge o dall’idea che l’aborto sia una questione che ri- guarda solo le donne. Invece, dietro a ogni aborto c’è un uomo. E dunque dietro a ogni decisione di abortire c’è un’immensa solitudine. Alcune persone a loro vicine, credendo di fare bene, le lasciano so- le dicendo, per esempio: «È una tua decisione, devi essere tu a sce- gliere...», senza tener conto che siamo tutti interdipendenti e legati, e che è l’intera umanità a essere coinvolta dal destino di un bambino. La donna, come diceva Giovanni Paolo II , è «sentinella dell’invisibi- le», e anche santuario di quella vita che è in lei. A rendere ancora più profonda la solitudine è il non riconoscimento dell’umanità, nel senso di quell’umanità che ci unisce ai più fragili. Una volta si dice- va: «Prima le donne e i bambini», ed era il riconoscimento di una fragilità intrinseca in una donna incinta. Quando si lascia alla donna una decisione come quella di abortire, come se spettasse solo a lei ta- gliare il filo della vita, il rischio è quello di rimuovere l’intera dimen- sione di umanità che si trasmette di generazione in generazione attra- verso le levatrici, che accompagnano quell’esperienza di fragilità e di morte che è la gravidanza. Per quanto riguarda le ragazze che si ritrovano incinte troppo pre- sto, queste devono confrontarsi, da una parte con un senso di gioia e dall’altra con un’ingiunzione: «Non è possibile», e dunque si sento- no minacciate nella loro vita familiare e personale. Le persone che le circondano non ritengono possibile quella gravidanza, in nome di va- lori religiosi o sociali, per esempio. Quelle ragazze allora si sentono ancora più fragili e provano una solitudine immensa. Si devono con- frontare con una serie di impedimenti esterni e normativi che non consentono loro di seguire sino in fondo il loro cuore materno. Isolamento e solitudine: quali difficoltà deve affrontare la donna in questa situazione? L’aspetto più doloroso per la donna è che deve fare una scelta im- possibile. Perché la scelta tra la vita e la morte del bambino che por- ta nel suo grembo (qualunque sia il grado di consapevolezza che ha della sua esistenza), il fatto di recidere quel destino umano, è inuma- no. È la cosa più difficile. La grande sofferenza che prova (di cui l’isolamento fa parte) dipende dal fatto che è imprigionata in una scelta impossibile. Non è in potere dell’uomo decidere sulla questio- ne della vita e ancor meno sulla vita del proprio figlio, ma la società chiede alla donna di dire sì o no. Pablo Picasso «Donna accovacciata» (particolare, 1902-1903)

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