donne chiesa mondo - n. 56 - aprile 2017

DONNE CHIESA MONDO 38 DONNE CHIESA MONDO 39 Ma non basta. La poesia di Mariangela, fon- datrice con Cesare Ronconi del Teatro Valdoca, «vuole respiro, saliva, corpo e voce. Vuole usci- re dalla polvere della pagina scritta, (...) sbavar- si in una bocca che porta bene impressa la terra in cui è nata, il pane che ha mangiato, il vino che ha bevuto», vuole «diventare musica». Sin- golarità d’una poeta che nasce leggendo Rilke ad alta voce, nel corso delle prove, a teatro. È Ronconi che le chiede di leggere le Elegie Duinesi al microfono, con sempre maggiore len- tezza, mentre gli attori si riscaldano. Sino alla sparizione del sé che dice, all’apparizione del sé che rammemora. Poi c’è la scuola di poesia realizzata da Val- doca a Cesena, l’incontro con alcune delle figu- re più importanti del nostro contemporaneo, e un passaggio d’esistenza impervio, traversata del deserto da cui Mariangela esce col dono dei suoi versi, quasi dettati da un’altra forza. Esce con Antenata (Crocetti, 1992), che dà voce e lin- gua verticale al Teatro Valdoca, in un rituale di consegna che si mantiene nel tempo, la compo- sizione di versi su un corpo, una voce, poesia, incarnata più che detta, soffio ( pnèuma, ruach ) catturato. C’è una relazione precisa tra il teatro «anti- narrativo e a-progettuale» di Teatro Valdoca e la parola poetica della Gualtieri. Il teatro – ha scritto Mariangela – «è un bellissimo rito per la poesia: c’è una piccola comunità che ascolta e c’è una presenza viva che emette suoni e parole. Finalmente lì i versi non ti arrivano dalla pagi- na scritta, ma li si ode, insieme agli altri, e que- sto fa la differenza». È quanto nutre, oggi, i suoi essenziali, fre- quentatissimi «riti sonori», come il più recente, Bello mondo . Poesia detta ad alta voce, detta a memoria o meglio ri-cordata ( par coeur / by hearth ) per «en- trare nella musica dei miei versi e tenere le pa- role nel loro stato di nascita». L’apprendistato a questo dire libera le parole dalla gabbietta del mentale. Le rende fragranti come venissero composte qui e ora e come se attraversassero qui e ora chi le dice e chi ascol- ta. Rendendo possibile un canto di celebrazio- ne, di grazie attraverso una doppia dimissione, quella dell’io che scrive e della voce che dice, non reading , non lettura ma, appunto, rito sonoro. Rito perché «riattiva quel simbolo che è la parola», come ha scritto la Gualtieri, sonoro perché è attraverso l’orale/aurale che si possono far entrare in risonanza le profondità di ognuno. Fondamentale, l’amplificazione che le con- sente un particolare «stato del respiro, dell’ascolto e della mente, per poter entrare nel- la melodia dei versi, per trovarne la ritmica, per meglio entrare nelle immense architetture sono- re che il microfono, come le antiche cattedrali, contiene». Del rito, ogni lettura di Mariangela ha la cura esatta della liturgia, quello «splendore gratuito, spreco delicato, più necessario dell’uti- le» di cui scrive la Campo. Regolato da «armo- niose forme e ritmi». L’esperienza dello spettatore è quella di un rito di guarigione dal suo «incrosto duro». Una catarsi nel senso più profondo, che Ma- riangela ha sondato raccontando il lavoro verso la trilogia di Valdoca Paesaggio con fratello rotto : «Tutto, in quelle prove mi portava verso un pianto. Ho poi ritrovato quello stesso pianto sulle facce di molti spettatori. Non era il pianto intimistico dell’auto-identificazione, ma quello della pietas . Un lavacro che mi ripuliva dalle tante parole e immagini sanguinarie che il mon- do mi gridava contro quasi in ogni momento». Come per la comunità temporanea raccolta nell’ascolto, una possibile trasfigurazione del «dolore in pietà e della pietà in energia ripara- trice». G IOVANNI 8, 1-11 Q uesto Vangelo ci annuncia la misericordia di Dio incarnata e narrata da Gesù. Alcuni scribi e farisei, per mettere alla prova Gesù e avere di che accusarlo, gli conducono davanti nel tempio una donna che dicono sorpresa in adul- terio. Costoro gli imputano la misericordia ver- so i peccatori come una violazione della Torà. Ma come i profeti, Gesù interpreta e adempie la legge di Mosè cercando nella lettera del testo lo Spirito di Dio, che la scrisse perché fosse luce ai nostri passi. E la luce di Dio è sempre miseri- cordia per noi. Dal momento che la Torà dice di uccidere l’uomo e la donna sorpresi in flagrante adulte- rio, perché sottopongono al giudizio per la lapi- dazione solo la donna? O l’adulterio non era flagrante, e quindi il loro è delitto di falsa testi- monianza; oppure fanno uso ingiusto della To- rà, risparmiando l’uomo secondo l’eterno pre- M EDITAZIONE La mite misericordia di Gesù a cura delle sorelle di Bose Margherita Pavesi, «Peccatrice perdonata» A pagina 40: un’icona sullo stesso tema dipinta da Lara Sacco

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