donne chiesa mondo - n. 46 - maggio 2016

DONNE CHIESA MONDO 6 DONNE CHIESA MONDO 7 versa) crea qualcosa di nuovo. È la nostra vita nuova che comincia! E potrei raccontarle mille altre storie come questa. Emanuela (già responsabile della comunità di Tre Fontane), qual è la sua esperienza? Io ho vissuto una parte della mia vita a Cuba. Sono arrivata lì nel 1985 e vi sono rimasta 22 anni. Era una realtà completamente diversa: un paese comunista, composto da tutte le razze, neri, bianchi, mulat- ti. Era un’esperienza del tutto nuova per me, non l’avevo mai vissuta prima, avevo 29 anni. In quel paese in teoria erano tutti atei, ma in pratica non lo era nessuno. Ho scoperto anzitutto molto rispetto per il sacro e poi un vero desiderio di provare a capirci, di creare un rap- porto con noi. Allora lavoravo in una casa di riposo, dove lavavo la biancheria con un’altra cubana. M’insegnava lo spagnolo e a piegare le lenzuola e diceva: «Lei è la mia figlia bianca!». Erano rapporti molto semplici. C’era tanta gratitudine. In effetti in ogni nostro in- contro si dava importanza all’altra persona, ci valorizzavamo a vicen- da. O, per dirlo in altre parole, loro ci facevano pensare: «ogni vita è veramente importante». E io mi dicevo che c’era qualcosa di Dio dentro tutto ciò. E il tutto senza pronunciare una parola. Era già una prima Visitazione. Il fatto che potevamo incontrarci a livello umano in modo così semplice, su un piano di parità e di dignità rispetto all’altro che è simile a te, faceva nascere qualcosa di più profondo, cioè qualcosa di quella presenza di Dio che c’è in ognuno di noi. Quando penso a Maria che incontra Elisabetta, e ai figli che portano in grembo, che sussultano in loro, ebbene, penso che ogni volta che c’è un incontro, avviene lo stesso. Perché alla fine di tutto c’è sempre Dio che sussulta di gioia in ognuno di noi, anche se non ce ne ren- diamo conto. Cosa deve succedere perché un incontro sia una Visitazione? Noi arriviamo con semplicità per dare amicizia. C’è dunque una gratuità da parte nostra che le persone percepiscono. E per me, che non sapevo parlare la loro lingua e che ero lì per imparare, ciò ha dato subito un altro tono al rapporto. Per esempio, ho dovuto anche imparare a cucire, e per questo ho seguito un corso per tre mesi. Un giorno una sarta si è seduta accanto a me e mi ha detto: «Chi avreb- be mai detto che un giorno avrei insegnato a una suora!». È sempli- ce, ed è anche in un certo senso il mondo alla rovescia. Penso che sia quello che ha vissuto la piccola sorella Magdeleine quando era a Touggourt. A pagina 6: le Piccole Sorelle di Gesù della comunità delle Tre Fontane; nel riquadro: la fondatrice, Magdeleine Hutin La fondatrice delle piccole sorelle è Magdeleine Hutin (1898-1989), originaria della Lorena, a pochi chilometri dalla frontiera con la Germania, dove vive un’infanzia profondamente segnata dal dramma della guerra. Dopo aver coltivato a lungo il sogno di partire per l’Africa, trova nella figura di Charles de Foucauld e nella sua idea di vita religiosa l’ispirazione che attendeva e nel 1936 parte per l’Algeria. Tre anni dopo fonda la Fraternità delle Piccole Sorelle di Gesù. Nel 1949 si dimette dalla carica di responsabile generale per dedicarsi totalmente alla fondazione di nuove fraternità negli angoli più remoti della terra. Nel 1959 le piccole sorelle sono già 800 e 184 le fraternità sparse in tutto il mondo. Dal 1956 e fino a poche settimane prima della sua morte, avvenuta nel 1989, Magdeleine attraversa ripetutamente la cortina di ferro a bordo della “Stilla filante”, un furgoncino trasformato in camper, spingendosi fino in Cina. Nei paesi del blocco sovietico, intesse relazioni con le comunità cristiane locali, fonda fraternità, intreccia profondi legami ecumenici. Quasi segno di una profezia realizzata, il giorno del suo funerale cade il muro di Berlino. La fondatrice delle Piccole Sorelle

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