donne chiesa mondo - n. 45 - aprile 2016

donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne Avvicinarsi tutti alla Scrittura Per non mutilare la Torah di C ATHERINE C HALIER P er secoli, in paesi in cui la cultura, cristiana o musulmana, lasciava la sua impronta sullo scandire del tempo, sui pae- saggi, sui costumi e sull’esistenza quotidiana, lo studio ( limmud ) ininterrotto della Torah è stato la modalità per eccellen- za di continuità della vita ebraica. Più che i cristiani e i musul- mani, gli ebrei avevano in effetti un bisogno vitale di sondare i loro testi, di interpretarli e di trasmetterli. E questo anche se i lo- ro ospiti — spesso loro persecutori — ignoravano tutto della vita dello spirito ebraico o la negavano con violenza pretendendo di ridurla a una “lettera” morta o superata. Lungi dal costituire un mondo chiuso e intoccabile, il testo scritto della Torah è stato — ed è ancora – inseparabile dalla To- rah orale ( Torah shebealpeh ), ossia dalla Torah “che è sulla bocca” di quanti la studiano e la interpretano in modo nuovo. Il Tal- mud, l’esegesi del Midrah, i commenti filosofici e mistici, costi- tuiscono l’immensa ricchezza della Torah orale, divenuta essa stessa un’immensa bi- blioteca, in ebraico e in aramaico, e poi an- che in altre lingue: senza di essa l’ebrai- smo perde il suo senso e la sua forza. Questo compito è fondamentale, e questa vita in sintonia con lo studio è stata quasi sempre appannaggio degli uomini: le donne vi hanno avuto pochis- simo accesso. E tutto ciò con il duplice pre- testo che lo studio era un obbligo ( mitzvà ) solo per gli uomini e le donne non ne erano capaci (argomento misogino), e che le donne avevano un accesso più diretto alla vera pietà (argomento adulatorio). Imprigionando così la mente femminile in una natu- ra che le sbarrava il cammino dello studio, le donne, fino a poco tempo fa, venivano quasi sempre escluse. In una religione in cui lo studio costituisce un asse importante, ciò ha anche significato la loro subordinazione a quanti studiavano, interpretavano e legi- feravano in ogni ambito. Certo, ci sono donne che condividono questa ripartizione tradizionale dei ruoli e si sottomettono alla parola maschile che ingiunge loro di sostenere il proprio marito, di allevare i figli, anzi di lavorare per mantenere la famiglia in modo che gli uomini possano dedicarsi allo studio. Ma accade anche — e sempre più spesso — che si rifiutino di farlo. Il desiderio di condividere il mondo dello studio con gli uomi- ni non è d’altronde solo una questione di dignità personale, sia pur legittima, e ancor più importante per le donne che nei paesi democratici sono cittadine al pari degli uomini e che spesso han- no ricevuto un’educazione nelle materie profane inconciliabile con una condizione di minorità in seno alla loro religione. Ma c’è anche un altro motivo. Se è vero che il rinnovamento di significato dei versetti della Torah dipende dalle domande che gli esseri umani pongono lo- ro, è altrettanto vero che tali domande non nascono dal nulla. Provengono dalle difficoltà, non solo intellettuali, incontrate dai lettori, ma anche dalle prove che attraversano (sofferenza, lutto, disgrazie) e dalle gioie (amore, nascita, successo), che sentono ed esprimono. E le donne — tanto quanto gli uomini, ma anche in modo diverso — provano tutto ciò. Volerle allontanare dal mondo dello studio è dunque vietarsi di ascoltare le loro domande, quelle che permettono di chiarire in modo diverso il senso dei versetti. Ciò presuppone che lo scambio tra gli uomini sia sufficiente e che essi non abbiano nul- la da imparare dalle interpretazioni femminili. Questo porta a un impoverimento della Torah orale, anzi alla sua mutilazione e a un disinteresse nei suoi confronti. Constatazione ancor più im- portante in quanto i giovani e le giovani istruiti, ma che cono- scono i testi religiosi solo per sentito dire o sotto forma di pro- positi sclerotizzati, non pensano più di rivolgersi a essi per dare un qualche senso alla loro vita. Non riconoscere il contributo delle donne sul piano dello stu- dio significa dimenticare che la Torah sul monte Sinai è stata do- nata a tutti. Laddove le donne si sono inserite nel mondo dello studio (Israele, Stati Uniti, Europa) certo la situazione non è cambiata all’istante, come per incanto, ma è stata comunque aperta la via a un dinamismo indispensabile. Inoltre, che gli uo- mini imparino a loro volta ad ascoltare la parola delle donne, non come qualcosa che li rende inferiori ma come qualcosa che li pone in un faccia a faccia con loro, significa anche contribuire all’avvento della pace. Nessuna pace sarà possibile tra gli uomini finché una metà dell’umanità sarà da loro screditata e costretta a sottomettersi alle loro parole. Miriam, Mosè e Aronne furono le tre guide degli ebrei nel de- serto (cfr. Michea 6, 4). La prima doveva vegliare sull’acqua viva del pozzo destinato ad appagare la loro sete. L’acqua viva è però associata alle parole della Torah. Quindi dimenticare il pozzo di Miriam significa assetare anche gli uomini, benché essi sostenga- no il contrario. Il taam (gusto, sapore, significato) di quell’acqua è indispensabile per ogni uomo e per ogni donna. Due donne per un posto Emma, santa del mese, raccontata da Lucetta Scaraffia L o sanno tutti: in paradiso i san- ti, insieme con gli angeli, canta- no la gloria di Dio immersi nel- la sua beatifica visione. Ma an- che lì, alla fine, ci sono proble- mi di confusione, soprattutto quando il numero di santi continua ad aumentare e quelli che serie ricerche storiche sulla terra hanno definito inesistenti si rifiutano di andarsene da quel posto privilegiato. Si sa, sono lì da tanto tempo, hanno stretto amicizia, hanno le loro abitudini. Per esempio, san Giorgio, che gli studiosi di- cono non esista, è diventato molto amico dell’arcangelo Michele, che non lo lascerà mai cacciare dal coro. Impossibile man- darli via, ha pensato Pietro. «Va be’, allora almeno mettiamo un po’ d’ordine» si è detto allora il primo fra gli apostoli, e ha deciso che a ogni nome dovesse corrispon- dere nel coro un posto preciso, sempre quello, per l’eternità. Tutto sembrava procedere con ordine, e Pietro era soddisfatto. Ma poi, improvvi- samente, si è trovato di fronte un imprevi- sto: al posto riservato a santa Emma si erano dirette, infatti, due donne, che recla- mavano entrambe di averne diritto. Certo le comunicazioni fra loro erano facilitate dal fatto che parlavano entrambe tedesco, ed erano più o meno della stessa epoca, intorno all’anno Mille. Ma sul resto, era disputa accesa, violenta per quanto pote- vano essere violente due gentildonne ben- nate e cristiane ferventi, ma entrambe si- cure, in cuor loro, di essere l’unica santa Emma. La situazione si faceva difficile, altri santi si avvicinavano incuriositi — le di- spute sono rare in paradiso — finché non arrivò sant’Alfonso, insigne giurista napo- letano, che subito istituì una vera e pro- pria istruttoria. Le sante gli sembravano uguali, vestite allo stesso modo, entrambe consapevoli del casato a cui apparteneva- no pur senza volerlo far apparire: come devono fare le vere sante, ovviamente. Alfonso si rivolse a quella alla sua de- stra, chiedendole da dove veniva, e perché era stata canonizzata. Emma rispose che era nata a Gurk, in Stiria, e dopo la morte del marito e del figlio in battaglia — erano tempi duri per gli uomini — aveva eredita- to gli immensi beni della contea di Sann. Finalmente libera di amministrare la gran- de ricchezza come voleva, ne aveva destinato una parte ai poveri, l’altra alla fondazione di due monasteri, uno per mo- naci e uno per monache. «Appena ho po- tuto — aggiunse — mi sono ritirata anche io nel monastero femminile, nella cui chie- sa è ancora conservato e venerato il mio corpo». Subito saltò su l’altra Emma, quasi in- dignata: «Ma quella che tu racconti è la mia vita! Sono io, Emma di Sassonia, ve- dova, che ho donato tutte le mie sostanze alla Chiesa e ai poveri, dedicandomi solo al bene del mio prossimo. Tu mi hai co- piata, vuoi essere come me! Il mio corpo è conservato nella cattedrale di Brema, e una reliquia — la mia mano incorrotta — è conservata a Werden. È una sicura prova di santità!». Alfonso cercò allora di rifarsi alle prove scritte, ai documenti — le reliquie, si sa, non sono mai affidabili — ma per nessuna delle due esistevano documenti coevi: le prime agiografie risalivano a secoli dopo la loro morte, e quindi non erano molto attendibili. Mentre il povero Alfonso fati- cava a trovare una soluzione, le due Em- ma si erano tranquillizzate, e avevano co- minciato a fare amicizia, soprattutto a spettegolare sulle donne che avevano portato, più o meno degnamente, il loro nome. Se per la suffragetta Emma Pankhurst entrambe provavano una inquieta attrazio- ne, incerte se condannare o aderire, si di- chiaravano tutte e due fervide ammiratrici dell’attrice Emma Thompson. Ma quello che le univa di più era la feroce avversione verso una Emma che non era mai esistita sul serio, ma che ciononostante era diven- tata molto più nota e famosa anche di lo- ro due: Emma Bovary! Che vergogna, di- cevano, il nostro nome portato così male... sulla bocca di tutti, poi... Alfonso cercava di intervenire per rab- bonirle — in paradiso tutti cercano di esse- re buoni — per ricordare loro che non tut- te le donne erano così fortunate da rima- nere vedove giovani e molto ricche, come era successo a loro due. Ma non c’era ver- so di farsi ascoltare. E poi rimaneva insoluta la questione del posto, che doveva essere uno solo. Lu- ca, il vero intellettuale del paradiso, che leggeva sempre, si ricordò improvvisa- mente di avere letto che talvolta nello scrivere le leggende agiografiche, nel dif- fondere i culti, due sante erano state unifi- cate in un’unica figura, che conteneva in una sola vita entrambe le esperienze, op- pure che una sola santa, per ragioni di culto locale, era stata sdoppiata in due luoghi di culto, ciascuna con la sua reli- quia. Forse era questo il caso delle due Emma, vissute nello stesso periodo, dalle vite così simili. Davanti a questa bassa insinuazione, le due sante si allearono e risolsero da sole la situazione: il posto sarebbe stato occupato a turno, un giorno per ciascuna. L’altra avrebbe approfittato della libertà per farsi una passeggiata, per riposare. Così la pace tornò in paradiso, ed entrambe le sante di nome Emma vissero felici e contente per l’eternità. Lucetta Scaraffia ha insegnato storia contemporanea all’università di Roma La Sapienza. È membro del Comitato nazionale italiano per la bioetica e consultore del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. Tra i suoi libri: La Chiesa delle donne (con Giulia Galeotti, 2015), Le porte del paradiso (2015), La santa degli impossibili (2014), Per una storia dell’eugenetica (con Oddone Camerana, 2013), Due in una carne (con Margherita Pelaja, 2008), Francesca Cabrini. Tra la terra e il cielo (2003). Gli uomini debbono imparare ad ascoltare la parola delle donne non come qualcosa che li rende inferiori ma come qualcosa che li pone in un faccia a faccia con loro E ciò contribuirà anche all’avvento della pace

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