donne chiesa mondo - n. 43 - febbraio 2016

women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo Mensile dell’Osservatore Romano febbraio 2016 numero 43 A cura di L UCETTA S CARAFFIA (coordinatrice) e G IULIA G ALEOTTI Redazione: C ATHERINE A UBIN , A NNA F OA , R ITA M BOSHU K ONGO , S ILVINA P ÉREZ (www.osservatoreromano.va , mail: dcm@ossrom.va , per abbonamenti: info@ossrom.va ) L’impegno dell’Associazione Hildegardis-Verein di Bonn per la promozione femminile nella Chiesa e nella società Con l’episcopato tedesco S embra impossibile pensare che ci sia ancora chi parte, quando la morte lungo il cammino è diventa- ta una storia comune. Eppure in migliaia ogni anno intraprendono una corsa drammatica, che comincia con un salto e un solo obiettivo: la frontiera nord. C’è un treno che attraversa il Messico dal sud al nord, passando per quattromila chilo- metri tra boschi e deserti, fino al Río Grande e che trasporta la maggior parte di migranti fino alla fermata dell’ultimo ostacolo al so- gno. La Bestia, come è chiamata comune- mente questa ferrovia, con il suo carico di treni e dolore, merita il suo nome. Morti e mutilazioni per incidenti sono all’ordine del giorno, insieme a estorsioni, omicidi e stupri. A migliaia sono i migranti che scompaiono semplicemente nel nulla. Bambini e donne sono i più esposti ai rischi del viaggio. «Bi- sogna provare la povertà per capire. Il biso- gno di credere che ci sia qualcosa di più del- la miseria e dell’abbandono è più forte di qualsiasi muro, di qualsiasi fiume, di qualsia- si mafia, di qualsiasi crisi». È la forza di chi non ha nulla da perdere. Sono parole di Norma Romero Vásquez che, mentre parla, si trova accanto alle rotaie e ha in mano tre bottiglie tenute insieme con lo spago. La Bestia stride sulle rotaie mentre entra in stazione, i rumori si amplificano. La tensione cresce. Il carico umano che è arriva- to fin qui ha già percorso centinaia di chilo- metri con ogni mezzo, a piedi, in barca, in pullman. E una delle linee ferroviarie colle- gata a Città del Messico, principale via di trasporto per centinaia di migranti prove- nienti dall’America centrale, destinazione Stati Uniti. Aggrappate al treno centinaia e centinaia di persone: in alto sopra i vagoni e anche sul lato che guarda la donna, si allungano nel vuoto tenendosi a finestrini, maniglie. Il tre- no fischia e lei inizia a darsi da fare. Qualche cucchiaio di riso in una borsa di plastica ben annodata e una bottiglia d’acqua. Il tutto lanciato con perizia dal bordo dei binari at- traverso i portelloni aperti dei vagoni, con il loro carico di uomini, donne, bambini e spe- ranze. Nella desolazione del viaggio, un pun- to di speranza e ristoro è rappresentato dalla cittadina di Guadalupe (o La Patrona), nello Stato di Veracruz, nel sud del Messico. Me- no di quattromila abitanti fra montagna e fo- resta, una strada statale fra le cittadine di Amatlán de los Reyes, Coetzala e Cuichapa. Las Patronas, questo il nome che ha dato lo- ro la comunità, collaborano a offrire semplici pasti per le centinaia di migranti che attra- versano il loro territorio a bordo dei treni merci che corrono quotidianamente da sud a nord, direzione Stati Uniti. Norma Romero Vásquez è la leader del gruppo. Il documentario Las Patronas , girato da Javier García, è la storia di un gruppo di donne messicane, contadine, che non hanno fatto finta di niente davanti al treno merci che passa dal loro villaggio e porta migliaia di persone dai Paesi del Centroamerica fino al confine con gli Stati Uniti. Guadalupe in poco più di quindici anni si è trasformata nella Lampedusa latinoamericana. Un villag- gio piccolo ma punto nevralgico della migra- zione tra America centrale e Stati Uniti. «Tanti anni fa il treno non portava gente — racconta la più anziana delle donne, magra, pelle incartapecorita da una vita passata a ta- gliare le canne da zucchero — poi hanno co- minciato a salirci, sempre di più. Sembrava- no mosche incollate ai vagoni. Credo che quello che facciamo per loro sia dovuto all’insegnamento dei nostri genitori: rispetta- re le persone e soprattutto amarle. Amare non costa niente». L’obiettivo passa a inquadrare un ragazzo: è sul tetto del treno che sta andando, siede sopra il vagone in movimento, il vento gli fa sbattere la maglietta. «Quando non si può mantenere la famiglia si va fuori. Veniamo da Nicaragua, El Salvador, Guatemala, Hondu- ras. Voglio andare negli Stati Uniti d’Ameri- ca per lavorare e dare da mangiare ai miei fi- gli, non m’importa di avere la residenza, solo del loro futuro». Salire sul treno non è facile. Su questi tre- ni materie prime e prodotti agricoli viaggiano insieme a coloro che hanno contribuito a estrarli e che andranno a lavorarli nelle gran- di fabbriche del nord. Chi ce l’ha fatta rac- conta di ragazzi che restano mutilati, o rie- scono a evitare per un soffio le ruote del tre- no. C’è anche la storia di Carlos María, 26 anni, ricoverato in Messico. La gamba destra gli è stata tranciata dal treno in corsa sotto il ginocchio, quando — come tanti altri suoi compagni — era piombato sfinito sulle rotaie. Sognava di raggiungere la sua famiglia in California. Un sogno infranto e brutalmente spezzato. Seduto sulla sedia accanto al suo letto d’ospedale, racconta di quel “piccolo” incidente che gli impedirà per sempre di tra- scorrere un’esistenza normale. Saltellando sulla gamba buona, come se niente fosse, di- ce in primo piano: «Io a Los Angeles ci tor- nerò». È da brivido lo spezzone in cui cerca- no di salire sul treno in corsa due genitori che si passano la bambina di pochi anni, ur- lante. «Un giorno — spiega Norma — ci siamo avvicinate al treno e gli uomini ci gridavano: “Madre, abbiamo fame”. Sono tornata a casa e ho detto: “Dobbiamo dargli del cibo”. Non sapevamo chi fossero». Erano migranti che affrontavano un viaggio di venti giorni sotto il sole, la pioggia, verso la speranza. Alcuni non mangiavano da cinque giorni, erano stanchi, affamati. La famiglia di Norma si mette all’opera: vengono preparate bottiglie d’acqua, riso, tortillas . Cuociono i fagioli con il pomodoro, per farli più buoni. Poi vanno ai binari. «Quando il macchinista ci ha viste e il treno ha iniziato a fischiare la gente si è affacciata. Abbiamo iniziato a lanciare il cibo e l’acqua». I vicini di casa volevano denunciarle. «Che male facevamo a dare da mangiare ci- bo nostro a gente affamata? Non c’erano or- ganizzazioni umanitarie». Era il 1995. Do- vranno passare quasi vent’anni perché giun- gano riconoscimenti. Il vescovo della diocesi di Saltillo in Messico, monsignor José Raúl Vera López, è stato uno dei primi a chiedere un riconoscimento internazionale per questo gruppo di donne che gratuitamente lavorano a favore dei migranti. Per Las Patronas pas- sare dalla parola all’azione ha significato sfi- dare i luoghi comuni sull’immigrazione dei loro stessi concittadini: spesso le donne, oltre a preparare il cibo per gli indocumentados , ospitano i migranti in condizioni di salute critiche dopo giorni e giorni di viaggio espo- sti alle intemperie. Dal Governo, nessun aiu- to: il comedor messo in piede da Norma e dalle sue sorelle è stato costruito su un terre- no di proprietà del padre, senza alcun aiuto municipale o statale. «I clandestini, per sfuggire ai controlli, tentano di attraversare il deserto dell’Arizona, dove la temperatura arriva anche a cinquanta gradi, oppure il fiume, che ha correnti fortis- sime. Questo ha aumentato il numero dei de- cessi per disidratazione o annegamento tra quelli che tentano di entrare illegalmente ne- gli Stati Uniti. Sempre che non cadano vitti- ma dei raggiri dei cosiddetti polleros , i con- trabbandieri di vite umane. «I “traghettatori” — aggiunge Rosa, volontaria da più di dieci anni nel gruppo — dopo aver incassato cifre enormi spesso li derubano e li abbandonano nel deserto». Nel frattempo arrivano altre persone ad aiutare, come la cognata di Norma: «Pensa- vo: perché dovrei farlo? Finché un giorno si ferma un treno carico di più di cinquecento persone, ho avuto paura. Molti iniziano a scendere dai vagoni e circondano il mio fur- gone. In quel momento non capivo se voles- sero rubarmi qualcosa o picchiarmi. Ma quel- lo che cercavano era solo aiuto. Mi doman- davano aiuto. Vedere quella donna che si in- ginocchiava davanti la porta di casa; non po- trò più dimenticarlo. Bisognerebbe inginoc- chiarsi solo davanti a Dio, e invece queste persone sono costrette dalla disperazione a supplicare per ricevere aiuto». Norma si commuove ricordando una storia che le è stata raccontata: quella di un ragaz- zo che, sfinito dopo giorni di freddo e digiu- no, si era addormentato felice perché grazie a loro aveva potuto sfamarsi. Ma il treno frenò bruscamente, lui cadde. I suoi compagni di viaggio raccontano che morì riconoscente, sa- pendo che nel mondo esiste gente di cuore. «Se non ci fossimo noi — commenta Norma — potrebbero pensare che non ci sia più spe- ranza». La testimonianza La Tenda del Magnificat di S ILVIA G USMANO S e dovessimo fare una fotografia dall’esterno della Tenda del Magnificat, vedremmo alcune donne che vivono in un appartamento in affitto, nel cuore di un quartiere popolare, mantenendosi con il proprio lavoro e tessendo rapporti fraterni con chi le circonda. E per spiegare cosa sia la Tenda del Magnificat, questa immagine, da sola, è già sufficiente. La vita in comune, la rinuncia al superfluo, l’apertura verso il prossimo, sono infatti i perni su cui si fonda un’esperienza unica e potente nella sua semplicità. Stefania Lecce, una delle dieci laiche consacrate che oggi animano la comunità femminile nata a Milano nel 1957 con la benedizione dell’arcivescovo Montini e istituita come associazione privata di fedeli nel 1965, lo sottolinea con forza: «Per noi, conta prima di tutto l’esserci, il calarci nell’ambiente dove viviamo, il muoversi con l’altro». Conta «visitare», così come Dio visita il suo popolo e Maria visita Elisabetta: incontri d’amore che passano soprattutto per la condivisione della Parola. Sin dagli esordi le donne della Tenda — che oggi conta tre fraternità, a Lamezia Terme, San Benedetto del Tronto e Pesaro — si radicano infatti nelle periferie, raccontando Gesù con un linguaggio comprensibile a tutti e, settimanalmente, si ritrovano con amici sempre nuovi nei «gruppi del Vangelo» per pregare e leggere le Scritture alla luce della vita quotidiana. Riunioni nel nome del Signore che avvicinano le persone le une alle altre, oltre che a Dio. Riunioni tra laici, tra fedeli, tra amici — centinaia oggi in tutta Italia — che proseguono anche quando le donne della Tenda, chiamate in altri contesti, non possono più prendervi parte. A ispirare queste esperienze, la spiritualità monastica dei primi secoli e lo stesso desiderio di un ritorno alle origini che ha guidato i grandi testimoni della storia della Chiesa. Tra i quali, molte donne. Cita le sorelle carmelitane, Stefania Lecce, e cita Madeleine Delbrêl, la mistica francese del Novecento che, vivendo e soffrendo tra gli operai, in un ambiente intriso di marxismo, rivendicava la giustizia sociale nel nome di Dio. Una rivoluzionaria tenace, sebbene discreta, è la fondatrice della Tenda del Magnificat, Costanza Badoni, che oggi vive a San Benedetto del Tronto e che, come Madeleine, ha trovato terreno fertile al proprio ardore spirituale nel mondo operaio. Un mondo cercato ed eletto, a dispetto di una condizione sociale privilegiata. Costanza infatti è figlia di un importante industriale di Lecco, che pur avendole trasmesso un’educazione cristiana, considera una bizzarria il desiderio della figlia di seguire il messaggio evangelico in modo tanto radicale da scegliere di vivere con e tra gli ultimi. Vani tuttavia i suoi tentativi di dissuaderla, tra cui una richiesta di incontro con Montini. Deludendo forse le aspettative del padre, il futuro Pontefice coglie la profondità della vocazione di Costanza — la cui guida spirituale è il gesuita Michel Ledrus — e anziché scoraggiarla la spinge a proseguire il proprio cammino. Inizia così un’avventura che si identifica con l’immagine della tenda, un riparo senza pareti non isolato dal mondo esterno e, allo stesso tempo, capace di far trapelare la luce che brilla al proprio interno. La gente accoglie con entusiasmo questa offerta di fraternità, che comporta una convinta rinuncia a ogni certezza materiale e richiede «la stessa pazienza di tessere» che fu degli apostoli. Più disorientato è il clero. Le inquiline della Tenda frequentano le parrocchie del territorio, ma non sono facilmente inquadrabili — «siete suore o no?» chiedono loro — e spesso devono accettare una certa marginalità. Fu tuttavia un vescovo che da Crotone incoraggiò la più grande svolta vissuta dalla Tenda in quasi sessant’anni di vita: il trasferimento nel sud Italia. Si tratta di monsignor Giuseppe Agostino che nel 1985 chiede a Costanza e alle sue sorelle, ormai presenti in cinque città del centro e del nord del Paese, di portare la loro testimonianza in Calabria. Crotone allora è la Milano del Sud per l’alta concentrazione di fabbriche e di operai: la fondatrice decide di accettare la chiamata. È un momento difficile per la Tenda, in molte non sono d’accordo, ma il passo viene compiuto e si rivelerà fecondo, replicandosi in diversi contesti meridionali. Alla base, sempre la medesima intuizione, definita da Juan María Laboa l’enorme paradosso cristiano: «Rimanere immersi nel mondo senza essere mondani, senza che la mondanità ci domini». È NATA IN I NDONESIA L ’U NIONE DEGLI ORDINI RELIGIOSI FEMMINILI È nata in Indonesia l’Unione degli ordini religiosi femminili che riunisce diciassette congregazioni religiose. In una riunione a Bandung, le religiose hanno eletto come prima presidente suor Veronica Manaan delle Serve di San Giuseppe; segretaria, la domenicana suor Anna Marie. Al termine dell’incontro, le rappresentanti delle congregazioni — rimarcando di voler «annunciare il Vangelo in modo creativo, secondo lo spirito dei rispettivi fondatori» — hanno rilasciato una dichiarazione riportata da PenaKatolik, il network di informazione dei cattolici indonesiani: «Desideriamo vivere la natura della nostra vocazione religiosa mostrando il volto di Dio, che è misericordioso, compassionevole, e condividere la gioia in questo mondo, proclamando la salvezza per gli altri, soprattutto ai piccoli, ai deboli, ai poveri, agli emarginati, essendo attivamente coinvolti nella cura di tutto il creato». In quest’opera le religiose hanno scelto consapevolmente di vivere il proprio incontro e di sostenere l’iniziativa dell’Eco Camp, un campo interreligioso in cui «condividere la cura della Terra e imparare dalla Terra» che, di fatto, ha anticipato molti temi dell’enciclica di Papa Francesco Laudato Si’ . Nato nel 2002, infatti, l’Eco Camp, esperienza di formazione e di vita in armonia con la natura, insegna a costruire una «consapevolezza ecologica e ambientale» e a sviluppare l’amore per la madre terra. L EGION D ’ ONORE A SUOR C ÉCILE R ENOUARD C’è anche una suora tra le personalità insignite con la Legion d’onore, il massimo riconoscimento francese. Si tratta di Cécile Renouard, religiosa assunzionista, economista e ricercatrice, autrice di saggi su mercato e finanza, tra cui 20 Propositions pour réformer le capitalisme (Flammarion, 2009). Dal 2006 Renouard è docente di etica sociale e filosofia politica al Centre Sèvres dei gesuiti a Parigi. S UELEM RITRATTA DA V IK M UNIZ La donna nell’immagine qui accanto è Suelem — raccoglitrice di rifiuti a Rio de Janeiro in una delle più grandi discariche del mondo — ritratta con i suoi due figli dall’artista Vik Muniz, brasiliano naturalizzato, a New York. Muniz ha proposto ai raccoglitori della discarica di Rio di ritrarli sul modello di opere famose utilizzando i rifiuti che essi raccolgono quotidianamente. I proventi della vendita delle opere sono destinati agli stessi raccoglitori. Come nota il sito del monastero di Bose, Suelem è ritratta come nei classici quadri delle Madonne con Bambino e san Giovanni, ma i materiali utilizzati per realizzarla sono tutti provenienti dalla discarica e sapientemente disposti a produrre l’immagine: una donna povera e materiali poveri sono il punto di partenza per quest’opera straordinaria. «Questo è lo scandalo dell’incarnazione di Dio! Questo bambino appare debole, figlio di migranti, nato in incognito, senza che vi sia per lui un luogo degno, una casa! Proprio in questa debolezza si nasconde il figlio di Dio». L E PIÙ DEBOLI TRA I DEBOLI Una donna costretta a far sesso con i contrabbandieri per «ripagare il viaggio»; un’altra picchiata fino a perdere i sensi per aver respinto le avances di un agente di custodia in una prigione ungherese; una terza, travestitasi da ragazzo, che non si lava più per rendersi indesiderabile ai suoi compagni di viaggio: sono tre storie siriane raccolte in Germania da un’inchiesta del «New York Times». La tela — composta da decine di interviste a protagoniste della grande migrazione, assistenti sociali e psicologi che le hanno prese in cura — racconta una storia in cui le donne e le bambine si confermano come i soggetti doppiamente vulnerabili. «Guerra e violenza in Siria, trafficanti di persone senza scrupoli, viaggi pericolosi in mare e un futuro incerto in un continente straniero sono alcuni dei rischi che affrontano decine di migliaia di migranti che continuano a cercare una nuova vita in Europa. Ma a ogni passo i pericoli sono amplificati per le donne» scrive il quotidiano newyorkese, specificando come l’attuale migrazione sia stata accompagnata da un aumento della violenza contro le donne che «hanno denunciato violenze da parte di altri profughi, trafficanti, membri della propria famiglia, ma anche poliziotti europei». L’inchiesta conferma i timori che l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati aveva espresso già in ottobre. Secondo le statistiche Onu, del milione di migranti arrivati nel 2015 in Europa, un terzo sono donne. «Gli uomini dominano numericamente e in ogni altro senso», ha detto Heike Rabe, esperta di politiche di genere al German Institute for Human Rights. L A PENSIONE DELLA SINDACHESSA Avendo compiuto 65 anni, il sindaco di Bra Bruna Sibille ha maturato il diritto al vitalizio regionale per l’attività da assessore svolta dal 2005 al 2009. Ma Sibille ha ritenuto che un doppio compenso pubblico fosse eccessivo: ha quindi deciso di devolvere lo stipendio da sindaco (1700 euro mensili, equivalenti al vitalizio) a capitoli comunali dedicati alla socioassistenza. «Ritengo — ha spiegato — che chi si impegna in un’attività amministrativa debba avere il giusto compenso, nel mio caso però ne avrei avuto uno doppio tra vitalizio e stipendio da sindaco. Questo mi sembrava superfluo, pertanto ho deciso di devolverlo, da qui a fine mandato, per coprire emergenze sociali. Per gennaio 2016, ho devoluto 1720 euro all’emergenza farmaceutica, l’ultimo dei capitoli creati a dicembre: si tratta di voci specifiche su cui possono convergere eventuali donazioni anche private e che possono coprire emergenza abitativa, prestito sociale, occupazione. Ho scelto l’emergenza farmaceutica perché è un’urgenza. All’apertura del bando abbiamo già cento persone che ne hanno diritto. Mese per mese valuterò l’area in cui è più urgente intervenire». A GGREDITE LE SUORE DI S OLIDARITY WITH S OUTH S UDAN Su «donne chiesa mondo» di gennaio abbiamo intervistato suor Yudith Pereira Rico, responsabile dell’ufficio internazionale di Solidarity with South Sudan, associazione di congregazioni maschili e femminili che cerca di dare aiuto alle enormi necessità del Paese africano. Purtroppo, proprio mentre il pezzo usciva, il Solidarity Teacher Training College a Yambio veniva attaccato da cinque uomini armati che — in cerca di soldi, armi, telefoni e computer — hanno pesantemente aggredito le suore. Nelle zone di guerra, ancora una volta le donne restano le vittime preferite. Era il 1907 quando Maria Schmitz con coraggiosa lungimiranza si prefisse l’obiettivo di rendere possibile una partecipazione paritaria alla vita accademica professionale e sociale L’attuale programma — spiega la presidente Gisela Muschiol — mira a preparare le iscritte ad assumere un compito dirigenziale in istituzioni ecclesiali Seduta finale del primo gruppo del progetto «Lebensweg inklusive» La bestia che attraversa il Messico Las Patronas e il loro aiuto ai migranti diretti verso nord È il 1995 quando la famiglia di Norma Romero Vásquez si mette all’opera Vengono preparate bottiglie d’acqua e riso tortillas e fagioli con il pomodoro E poi si va lungo i binari Meritando il suo soprannome il treno porta i disperati al confine con gli Stati Uniti E così in poco più di quindici anni Guadalupe si è trasformata nella Lampedusa latinoamericana Vik Muniz, «Waste picture» (2008) di U RSULA S AUTTER Q uando il 17 maggio 1907 l’insegnan- te di Colonia e politica centrista Maria Schmitz, insieme ad altre cattoliche dalle idee affini, diede vita a un’associazione per la promozione di studentesse cattoliche — in seguito chiamata semplicemente Hildegardis-Verein — nelle uni- versità tedesche le donne costituivano ancora una rarità. Erano trascorsi solo sette anni da quando, per la prima volta in tutto l’impero, nel granducato di Baden era stato ufficialmen- te concesso loro di accedere agli studi superio- ri. In Prussia avrebbero dovuto attendere fino al 1908. Era dunque ancora lunga la strada che Schmitz e le sue colleghe avrebbero dovu- to percorrere per raggiungere il loro obiettivo, all’epoca avanguardistico, di «mostrare i valori della nostra fede in persone di grandissimo pregio e porli al servizio dello sviluppo del nostro popolo». Detto in altre parole, rendere possibile una partecipazione paritaria delle donne alla vita accademica, professionale e so- ciale. Più di un secolo dopo, anche alle successo- re delle madri fondatrici resta molto da fare. Malgrado tutte le conquiste nell’ambito delle politiche di uguaglianza, le donne sono anco- ra oggi sottorappresentate ai piani alti delle università e delle imprese, della Chiesa e della però togliere alle finanze familiari il denaro necessario per i nuovi studi; c’è la trentatreen- ne che aveva interrotto gli studi e, dopo esser- si presa cura dei genitori per un periodo pro- lungato, desidera riprendere gli studi superiori per conseguire un diploma; c’è la vedova cin- quantenne, che dopo la morte del marito è co- stretta a tornare al lavoro, ma per questo ha bisogno di ulteriori specializzazioni e di for- mazione. L’Hildegardis-Verein è aperto anche e proprio a questi percorsi formativi, perché solo così la formazione continua per tutta la vita è più che una mera parola d’ordine. Sostenuto dai suoi membri, l’Hildegardis- Verein è oggi (come ieri) un’organizzazione piccola e agile: proprio in questo sta la sua forza. «Nello scambio diretto e costante con i nostri membri, siamo sempre riuscite — spiega Muschiol — a reagire ai continui mutamenti delle condizioni politico-educative e sociali e a orientare a essi il nostro lavoro, senza per que- sto rinunciare alla nostra identità cattolica. Ci sono stati tempi in cui, data la grave mancan- za di abitazioni, abbiamo costruito pensionati per studentesse. Attualmente ci sono altri temi in agenda». In tutto ciò è però molto importante anche un lavoro intenso nell’ambito delle reti. «Col- laboriamo con molte organizzazioni operanti negli ambiti degli studi superiori, della Chie- sa, dei movimenti femminili, dell’inclusione e della politica — spiega ancora Muschiol — ed è lì che continuiamo a cercare interlocutori sempre nuovi per poter offrire ulteriori prestiti per lo studio». Per esempio, in cooperazione con la comunità degli istituti di studi superio- ri cattolica di Rüsselheim, l’Hildegardis-Verein offre prestiti a studentesse straniere con figli. Insieme all’associazione Albertus-Magnus-Ve- rein di Colonia, l’Hildegardis-Verein ha istitui- to prestiti d’onore dedicati a studentesse dell’arcidiocesi di Colonia. E con il generoso sostegno della Hofmann-Stiftung, dal 2013, in tutta la Germania, l’associazione concede pre- stiti senza interessi a ragazzemadri che si tro- vano in situazioni di vita particolarmente pre- carie. L’Hildegardis-Verein si considera un’apri- porta per le donne cattoliche nel loro cammi- no verso la formazione e la specializzazione. E vuole essere un’apriporta anche per le donne preparate che desiderano impegnarsi nella Chiesa, nella società e nella politica. Pertanto, accanto ai prestiti d’onore senza interessi, ne- gli ultimi anni l’associazione ha dato partico- lare importanza allo sviluppo di proposte per la formazione femminile e per aumentare le opportunità per la partecipazione delle donne. Secondo le responsabili dell’Hildegardis-Ve- rein, la convivenza e la collaborazione parita- ria e partenariale tra femmine e maschi costi- tuiscono un importante presupposto per ri- spondere alle drammatiche sfide del nostro tempo nella società e nella Chiesa. E per im- pegnarsi nella comune responsabilità per un mondo giusto, sostenibile e pacifico. In ciò, alla Chiesa spetta la particolare fun- zione di modello. Pertanto, l’Hildegardis-Ve- rein sta realizzando il suo nuovo progetto in collaborazione con la conferenza episcopale e le diocesi tedesche. Con il motto “La Chiesa nel mentoring : le donne emergono”, l’obiettivo è quello di far crescere il numero di donne in posizioni dirigenziali nella Chiesa cattolica (www.kirche-im-mentoring.de) . Questo pro- gramma, unico e innovativo per la Germania, mette a disposizione delle diocesi cattoliche tedesche complessivamente quaranta posti in tandem, suddivisi su due cicli di mentoring dalla durata annuale. In ogni tandem un diri- gente esperto ( mentor ) delle arcidiocesi lavora insieme a una nuova leva ( mentee ), facendole conoscere un’attività dirigenziale ecclesiale. Come mentor vengono impiegati sia uomini sia donne. Al primo gruppo di mentoring par- tecipano le arcidiocesi di Aachen, Bamberg, Essen, Hamburg, Hildesheim, Köln, Limburg, München und Freising, Münster e Trier. «Nel complesso, il programma mira a inco- raggiare e a preparare le donne ad assumere un compito dirigenziale in istituzioni ecclesia- li», spiega Muschiol. «Studi empirici dimo- strano che le strutture dirigenziali nelle quali sono rappresentati sia donne sia uomini lavo- rano in modo più mirato, creativo e trasparen- te. Oltretutto, quando si dovrà attribuire un posto dirigenziale in strutture o uffici nelle diocesi sarà un vantaggio poter attingere a un novero maggiore di pretendenti qualificate». Con questo programma, della durata di due anni e mezzo, nel periodo 2015-2018 l’associa- zione intende inoltre, più in generale, pubbli- cizzare il posto di lavoro che è la Chiesa e rendere visibili esempi femminili in posizioni dirigenziali nella Chiesa. Nell’ambito del mentoring , strumento di so- stegno già consolidato nelle aziende e negli istituti di studi superiori, l’Hildegardis-Verein ha ormai una lunga esperienza. Grazie all’ap- poggio finanziario della Conterganstiftung, dal 2008 al 2013 ha realizzato, a livello federa- le, il primo progetto di mentoring per studen- tesse con disabilità e con malattie croniche. Il programma, più volte elogiato, ha offerto a complessivamente sessanta mentee la possibilità di farsi seguire e consigliare per un anno da un/una mentor (anche questi ultimi erano in parte affetti da una disabilità). «Lo scambio aperto e tagliato su misura con mentor esperti del mestiere e della vita ha offerto alle studen- tesse che vi hanno partecipato l’opportunità di sviluppare non soltanto le loro competenze ac- cademiche e professionali», precisa ancora Muschiol. «Come esempio vivente, il/la men- tor trasmette anche e soprattutto valori, raffor- zando così la personalità delle giovani donne». Lo dimostra anche un altro progetto, il “Cammino di vita incluso: tandem di compe- tenze per studentesse con e senza disabilità” (www.lebensweg-inklusive.de ) promosso dal ministero federale per l’educazione e la ricerca (Bmbf) e organizzato dall’Hildegardis-Verein tra il 2013 e il 2016. In due cicli annuali, qua- rantuno studentesse di istituti tecnici superiori e universitarie con e senza disabilità hanno potuto valutare la propria carriera accademica e professionale insieme a ragazze dalle idee af- fini e allargare la loro prospettiva personale. «L’impegno volontario delle/dei mentor ha anche fatto comprendere a molte delle studen- tesse partecipanti quanto sia importante assu- mersi, accanto all’attività lavorativa, anche una responsabilità sociale attraverso il volontaria- to», afferma Muschiol. E motivare a questo è «un altro obiettivo del nostro lavoro all’Hilde- gardis-Verein». Quale sarà la prossima voce in agenda? «Adegueremo nuovamente le nostre politiche di promozione alle situazioni e alle esigenze attuali, e quindi nei prossimi anni potrebbe certamente rientrarvi il lavoro con i rifugiati. In effetti — precisa la presidente dell’Hildegar- dis-Verein — dato il numero crescente di stu- denti con diritto d’asilo anche il paesaggio de- gli istituti di studi superiori tedesco si trova dinanzi a grandi sfide». politica, come anche in molti altri ambiti so- ciali, sia in Germania sia a livello internazio- nale. «Perciò oggi è da qui che parte il nostro la- voro» spiega Gisela Muschiol, presidente dell’Hildegardis-Verein e docente presso la fa- coltà di teologia cattolica dell’università di Bonn. «L’ideale della formazione cristiana tie- ne conto dell’intera persona; per questo soste- niamo donne di tutte le età, sia finanziaria- mente, attraverso prestiti senza interessi, sia con proposte orientate alla persona, come il mentoring , gli esercizi e l’inserimento in reti». Scuola, studio, professione, pensione: una biografia formativa e lavorativa così completa e lineare oggi non è ovvia né in Germania né altrove. Non lo è per gli uomini e tantomeno per le donne. Tuttavia, la maggior parte degli aiuti pub- blici alla formazione è orientata a questo tipo di modello di vita. Tanto per il Bafög (legge federale sulla promozione dell’istruzione che prevede prestiti d’onore), quanto per le borse di studio sono previsti limiti di età chiari: trent’anni per gli aiuti a chi vuole conseguire il baccellierato, trentacinque per chi deve com- pletare un master. Le biografie delle studentesse cristiane che si presentano all’Hildegardis-Verein rivelano invece spesso un percorso diverso: c’è la ma- dre quarantenne che, dopo essersi dedicata per un certo periodo alla famiglia, vuole otte- nere un’ulteriore specializzazione per prepa- rarsi al ritorno alla vita professionale, senza Perciò l’associazione sta attualmente elabo- rando un progetto per aiutare le donne rifugiate con una base accademica, ovvero con ambizioni accademiche, a stabilirsi con successo in Germania e a inserirsi con le loro capacità, forze e interessi nella nostra società. Anche in futuro, dunque, varrà l’antico motto dell’associazione Hildegardis: “La cultura met- te le ali”. Maria Schmitz

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