donne chiesa mondo - n. 43 - febbraio 2016

L’OSSERVATORE ROMANO febbraio 2016 numero 43 Sua madre confrontava tutte queste cose nel suo cuore donne chiesa mondo Le associazioni femminili cristiane La mancanza di solidarietà femminile è uno dei tanti stereotipi che riguardano le donne: esse sarebbero talmente occupate a rincorrere l’attenzione dei maschi da non prestare attenzione alle proprie simili, viste piuttosto come minacciose concorrenti. Invece, ancora una volta, la storia racconta il contrario. Lo dimostrano tante vicende delle nostre società, così come tanti avvenimenti del millenario percorso cristiano. A pensarci, le donne ai piedi della croce — le sole rimaste fedeli a Gesù nell’ora del dolore più atroce, quando tutti i discepoli (comprensibilmente spaventati) fuggono — costituiscono il primo meraviglioso esempio di associazionismo femminile cristiano. È proprio questo che ci racconta «donne chiesa mondo» di febbraio, richiamando la nostra attenzione sulla varietà di realtà femminili presenti nella Chiesa, che vivono e lavorano per la Chiesa stessa e per le società. Donne che camminano e collaborano insieme. Dalla storia della Uisg (l’Unione internazionale delle superiore generali, nata alla chiusura del concilio Vaticano II che da poco festeggiato il suo primo cinquantennio) a quella delle donne messicane dell’associazione Las Patronas che si prodigano per i migranti, pericolosamente aggrappati ai treni in corsa, che attraversano la frontiera con gli Stati Uniti; dalla associazione tedesca Hildegardis-Verein che, tra le mille attività, lavora per far crescere il numero di donne in posizioni dirigenziali nella Chiesa cattolica alla fraternità italiana femminile Tenda del Magnificat, nata nel 1957 con la benedizione di Giovanni Battista Montini per seguire Gesù e vivere il vangelo. Testimonianze preziose, tasselli indispensabili per una rete umana di crescita e solidarietà al servizio di tutti. Testimonianze indispensabili anche per la Chiesa ma purtroppo poco ascoltate e poco valorizzate, anche se — come ricorda l’arcivescovo Paul-André Durocher nel suo prezioso intervento — «il ministero episcopale non può che arricchirsi ascoltando la voce carismatica femminile nella Chiesa». ( giulia galeotti ) Per decidere il futuro della Chiesa Intervista a suor Carmen Sammut, da tre anni a capo dell’Unione internazionale delle superiore generali di L UCETTA S CARAFFIA Le suore sembrano sempre più giovani della loro età, grazie a una vita appassio- nante e al coinvolgimento in esperienze sempre nuove. Lo penso mentre mi appre- sto a intervistare Carmen Sammut, presi- dente dell’Uisg (Unione internazionale delle superiore generali) nella sede dell’or- ganizzazione, sul lungotevere quasi di fronte al Vaticano. La posizione è strategi- ca ma di rapporti con la gerarchia eccle- siastica non ce ne sono molti: solo un in- contro ogni sei mesi presso la congrega- zione dei religiosi, presenti anche i rappre- sentanti dell’analoga unione maschile. «Con la congregazione per la vita consa- crata abbiamo avuto degli incontri in oc- casione dell’Anno della vita consacrata», dice Sammut. «Si lavora insieme ai cam- biamenti da apportare a un documento che risale agli anni Settanta, relativo alla regolamentazione dei rapporti fra istituti religiosi e vescovi. Un documento quasi tutto declinato al maschile, al rapporto fra i chierici. Nel nuovo documento in gesta- zione speriamo invece si possa configurare la grammatica di un nuovo rapporto fra le religiose e le gerarchie, fra donne e uo- mini». È franca e battagliera, suor Carmen, col sorriso pronto e aperto, gli occhi vivacissi- mi, pieni di progetti e di speranze. L’asso- ciazione che dirige — lo spiega subito — è soprattutto interna al mondo delle religio- se di vita attiva, nata cinquant’anni fa per coordinare e rendere più intensi gli scambi di informazioni fra le numerose congrega- zioni femminili attive nel mondo. Ne fan- no parte quasi duemila superiore generali, divise in costellazioni secondo i Paesi: 10 in America, 8 in Europa, 10 in Africa, 8 in Medio oriente, Asia e Oceania. Carmen infatti è anche superiora generale della sua congregazione, le suore missionarie di No- stra Signora di Africa, in cui è entrata a 22 anni. Quando ha sentito la vocazione alla vita reli- giosa? Sono nata a Malta da famiglia maltese, ho studiato per diventare insegnante. La mia prima vocazione è stata per l’Africa, poi è arrivata quella alla vita religiosa, e le ho riunite scegliendo una congregazione che a Malta non c’era, ma che viveva per l’Africa. Le prime suore, nate a metà Ot- tocento in Algeri, erano chiamate suore bianche per i lunghi vestiti e il velo: da dietro, non si distinguevano dalle donne musulmane. Dopo un periodo di prepara- zione a Londra, sono stata per due anni in Malawi, per verificare le mie due voca- zioni. Poi il noviziato in Canada. Che strano: cosa c’entra con il Canada una congregazione nata in Algeria per l’Africa? Perché è stata una canadese a salvarci dalla decisione del vescovo di Algeri di scioglierci, ritenendoci inadatte al compito che ci eravamo proposte. Ci aveva proibi- to di accettare nuove postulanti, ma poi, dopo un lungo viaggio, è arrivata dal Ca- nada Adelaide e fu impossibile rifiutarla. Fin dall’inizio nella congregazione c’è sta- to un piccolo gruppo di maltesi. Come si è trovata in Malawi? Benissimo! Insegnavo inglese e vivevo con 120 giovani studentesse. Ma sono sta- ta molto bene anche quando mi sono re- cata in Algeria, per vivere finalmente il rapporto con i musulmani in un piccolo centro a 1100 chilometri da Algeri, Bechar. Eravamo due suore a insegnare in una scuola secondaria, in un quartiere mode- sto, abitato solo da musulmani. Ci affida- vano i casi più difficili, pensando che co- me cristiane avremmo saputo affrontarli. È stato veramente servire i più poveri fra i poveri. Ha incontrato difficoltà nei rapporti con i musulmani? Mai. Ci rispettavano, in un certo senso ci aiutavano a testimoniare il nostro essere cristiani, a sentirci lievito anche nella loro società. Lì ho vissuto un episodio che considero esemplare per capire cosa sono i rapporti interreligiosi: avevo fatto amicizia con una giovane operaia, che la mattina compiva il mio stesso percorso per andare al lavoro. L’inverno era molto freddo, e io non avevo i guanti, mentre lei sì. Una mattina mi ha offerto un suo guanto, di- compiti, imparare a predicare. Ce ne sono già che hanno fatto degli studi per potersi impegnare in questo ministero. E poi pos- sono assistere spiritualmente anche gli uo- mini, non solo le altre religiose. Una pra- tica ancora troppo poco frequente. Dal 2011 è superiora generale, dal 2013 pre- sidente della Uisg, per tre anni. Pensa che potrebbe essere rieletta? Non credo: è necessario essere superiora generale, e io cesserò quel ruolo nel corso di un eventuale secondo mandato. Come si è trovata in questo ruolo? Chi l’aiuta? Sono affiancata da un consiglio di dieci superiore generali provenienti dai cinque continenti elette dall’assemblea. La segre- taria esecutiva, invece, è nominata dal consiglio. L’Unione è divisa in costellazio- ni. È un’organizzazione complicata, per- ché siamo in tante, ma funziona. L’orga- nizzazione maschile corrispondente fun- ziona diversamente, perché i religiosi sono molto meno numerosi. Durante il sinodo un superiore generale mi ha detto che, alla sua proposta di fare delle riunioni comuni superiori e superiore, era sta- to risposto che voi eravate troppo numerose. Li avreste fatti scomparire... È vero, la situazione è paradossale: le religiose sono quasi i tre quarti dei religio- si, ma sono invisibili, è come se non ci fossero nella Chiesa. Proprio per questo abbiamo avviato nuovi progetti per farci conoscere e per condividere meglio i pro- getti tra di noi e con gli altri. Innanzitut- to, un rinnovamento della nostra immagi- ne verso l’esterno, con facebook, un sito nuovo: siamo consapevoli di dover rinno- vare la comunicazione. Questa attenzione alla comunicazione si affianca agli obietti- vi tradizionali: riconoscerci come organiz- zazione a carattere profetico, risvegliare l’aiuto reciproco, dare un contributo alla vita religiosa. Avete un dialogo aperto con le congregazioni? Vi pongono problemi? Certo, e da questi suggerimenti arriva l’input per nuovi progetti. Due sono in corso: Talita kum , una rete per salvare le donne dalla schiavitù sessuale che coinvol- ge diverse congregazioni, e un progetto di aiuto al Sud Sudan, in cui collaboriamo non solo fra congregazioni femminili, ma anche con quelle maschili (di entrambe, «donne chiesa mondo» si è già occupata). Ma abbiamo anche avviato progetti nuovi, come quello di rafforzare la presenza delle canoniste. Stiamo creando una rete fra tutte le esperte di diritto canonico nel mondo: non sono molte e sono isolate. È Di rapporti con la gerarchia ecclesiastica non ce ne sono molti Solo un incontro ogni sei mesi presso la congregazione dei religiosi Nata a Malta il 20 dicembre 1951, Carmen Sammut è stata insegnante per tre anni a Malta prima di entrare, nel 1974, nelle suore missionarie di Nostra Signora d’Africa. Come religiosa, si è formata a Londra e in Malawi, e ha svolto il noviziato a Ottawa, in Canada. Nel 1989, si è diplomata al Pontificio istituto di studi arabi e di islamistica. Dal 1980 è stata tre anni in Mauritania, nove in Algeria e quindici in Tunisia. Provinciale dal 2000 al 2006, nel 2011 è stata eletta superiora generale e due anni dopo presidente della Uisg. donne chiesa mondo ne. Mi sono impegnata per for- nire testi arabi alla biblioteca, per seguire le ragazze nei loro studi. Nel 2000 sono stata elet- ta, per sei anni, provinciale della provincia dell’Africa del nord (Algeria, Tunisia, Mauritania) che aveva la sede ad Algeri. Dunque si è occupata di progetti molto diversi, ha svolto tanti ruoli... Sì. Finita l’esperienza della provincia, nel 2006, ho seguito in Galles un corso dei gesuiti per l’accompagnamento spiritua- le e ritiri. Nel frattempo seguivo le sorelle che dovevano prepa- rarsi ai voti perenni. Cosa pensa del fatto che le religio- se si rivolgono quasi sempre a sa- cerdoti o religiosi maschi per l’inse- gnamento e l’assistenza spirituale? Le sembra proprio necessario? No. Penso che le religiose de- vono imparare a svolgere questi cendomi: così ognuna di noi può riparare una mano in tasca, e l’altra difenderla con il guanto! Aveva imparato l’arabo? L’ho studiato a Roma, presso il Pontifi- cio istituto di studi arabi, in due fasi, fra il 1983 e il 1989. Poi sono andata in Mauri- tania, nella capitale, per tre anni: anche lì insegnavo inglese, i cristiani erano pochis- simi. Poi in Tunisia, dal 1989 al 2000. Per sei anni sono stata amministratore della nostra provincia, quindi viaggiavo molto, sono stata anche nello Yemen. Poi di nuo- vo in Tunisia, dove non insegnavo, ma mi occupavo di una biblioteca dove venivano il pomeriggio a studiare le ragazze tunisi- Le religiose possono assistere spiritualmente anche gli uomini Non solo le altre suore Valerie Narozniack (2015) importante collegarsi, offrirsi reciproca- mente consulenza, stimolare l’aumento delle esperte su questo tema: abbiamo in programma di finanziare tre borse di stu- dio per le africane. Il diritto canonico è un nodo essenziale sia per difendersi da soprusi, sia per proporre modifiche che permettano di allargare il ruolo delle donne. Certamente. È molto importante che ne diventiamo consapevoli e che, in caso di necessità, impariamo a usare anche gli strumenti legislativi. La prossima tappa è quella di uscire dal nostro isolamento e di diventare voce riconosciuta e ascoltata all’interno della Chiesa. In fondo, le isti- tuzioni di religiose, come la nostra, ci so- no già: basterebbe dare loro un compito, farle partecipare ai momenti in cui si deci- de il futuro della Chiesa. Di quella Chiesa che anche noi, e non in piccola parte, contribuiamo a far vivere e crescere.

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