donne chiesa mondo - n. 38 - settembre 2015

women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo Mensile dell’Osservatore Romano settembre 2015 numero 38 A cura di L UCETTA S CARAFFIA (coordinatrice) e G IULIA G ALEOTTI Redazione: R ITANNA A RMENI , C ATHERINE A UBIN , R ITA M BOSHU K ONGO , S ILVINA P ÉREZ (www.osservatoreromano.va , per abbonamenti: info@ossrom.va ) Teilhard de Chardin e le donne Guidato dal suo entourage femminile Il romanzo Uccelli di rovo Uno dei luoghi comuni della letteratura popolare è sempre stato l’amore colpevole di un prete per una donna, ricambiato con una passione che moltiplica la sua forza grazie alla seduzione esercitata dal “proibito”. Il romanzo di Colleen McCullough Uccelli di rovo (1977) è stato senza dubbio l’esempio di maggior successo di questo filone, come conferma il fatto che ne sono state tratte ben due miniserie televisive (1983 e 1996) che hanno raggiunto il massimo degli ascolti. Prevedibile la trama: sullo sfondo di una saga famigliare australiana nella prima metà del Novecento si sviluppa la passione fra un giovane e naturalmente bellissimo sacerdote e una bella e sfortunata ragazza. Il prete fra molte incertezze sceglie la sua vocazione, più per ambizione che per amore di Gesù, e la povera donna deve rinunciare al suo sogno e allevare sola il figlio nato dall’unione che, divenuto sacerdote, muore in un incidente. Complessivamente un drammone in cui il sacerdozio è visto come una carriera di prestigio piuttosto che come una vera missione, mentre più vero risulta l’amore, se pure trasgressivo, della donna. ( @LuceScaraffia ) Il film La moglie del prete Reduce da un amore finito male, Valeria (Sophia Loren) vanta trascorsi nella musica rock testimoniati da manifesti virati in tonalità psichedeliche che campeggiano nella sua stanza da tarda adolescente. Don Mario (Marcello Mastroianni) è un prete talmente convinto della propria vocazione che gli bastano un paio di giorni accanto a una donna per vacillare. I due, poi, si incontrano attraverso la linea di un telefono amico, quando Valeria, decisa a farla finita, chiama per avere un ultimo contatto umano; salvo essere dissuasa in cinque minuti dalle parole confortanti dell’uomo. Basta questo assunto per capire quanto per La moglie del prete (1970) a Dino Risi non interessasse tanto la credibilità, quanto sfruttare una coppia collaudata e amatissima dal pubblico. Per di più alle prese con un argomento che senz’altro avrebbe sollevato polemiche e attirato attenzione. A dispetto di un certo sdegno suscitato in effetti in ambienti cattolici dell’epoca, la trama è sviluppata quasi sempre con garbo e con una leggerezza che fa spesso sorridere. Quando però si vuole affrontare il tema del celibato dei preti, la sceneggiatura deve fare i conti con la superficialità dei suoi presupposti, arrivando inesorabilmente a sfaldarsi. ( emilio ranzato ) I L DRAMMA DELLE SPOSE BAMBINE IN N EPAL A distanza di pochi mesi dal terremoto, l’ong Plan Internacional ha lanciato l’allerta sul rischio di un aumento del traffico di matrimoni precoci: in Nepal due bambine su cinque si sposano prima di aver compiuto diciotto anni. In un comunicato, la ong dichiara inoltre che il sisma ha aggravato i già fragili sistemi idrici e igienici e, con l’arrivo dei monsoni, è aumentato il rischio di malattie. Per tutelare le minorenni, l’ong è anche impegnata nella costruzione di centri scolastici provvisori per farle tornare a scuola il prima possibile: il fine è quello di aiutare a riprendere la loro istruzione e offrire loro un luogo sicuro dove prevenire derive terribili, come la tratta. D OMENICANE E DOMENICANI IN A MAZZONIA Cento anni fa, nel 1915, le suore domenicane giunsero dalla Spagna in Perú per dedicarsi alla cura pastorale e sociale delle donne indigene dell’Amazzonia, nel sud del Paese. Andarono ad aiutare i missionari domenicani che erano già presenti con la loro opera pastorale. Il centro culturale “José Pío Aza” retto dai domenicani nella zona di Puerto Maldonado ha voluto ricordare con un video l’arrivo delle religiose: «Le suore erano coraggiose, semplici e forti, con una visione ampia per comprendere la missione nel suo complesso. Ricordare il loro arrivo e il loro prezioso contributo ci aiuta ancora una volta a riflettere e riscoprire la missione del nostro istituto. Ci aiuta a vivere in modo nuovo il nostro carisma e a promuovere la nuova era che stiamo vivendo come Famiglia domenicana». S ACERDOTESSE TRIBALI PER IL MIGLIO IN I NDIA Se fino a sessant’anni fa il miglio occupava il quaranta per cento delle terre coltivate a cereali in India, oggi — nonostante l’enorme valore nutritivo — la produzione si è ridotta all’undici per cento. Ecco allora che sulle colline di Niyamgiri, nello Stato orientale di Orissa, dove la denutrizione è molto diffusa e la fame raggiunge l’ottantatré per cento della popolazione, le donne della tribù dei dongria kondhs , abitanti dei boschi che ricoprono le montagne circostanti, hanno deciso di avviare una campagna di sensibilizzazione presso i contadini locali: partendo a piedi dal villaggio di Kadaraguma, queste sacerdotesse, conosciute nel dialetto locale come bejunis , vanno di porta in porta per incoraggiare gli abitanti a recuperare il loro unico patrimonio. Una strategia che sta, lentamente, dando i primi frutti. M YRIAM C ORTÉS D IÉGUEZ RETTORE A S ALAMANCA Per la prima volta nella sua storia, il nuovo rettore dell’università pontificia di Salamanca è una donna: Myriam Cortés Diéguez, cinquantuno anni, studiosa di fama e docente di diritto canonico, con alle spalle altri importanti incarichi nell’ateneo. I N AIUTO DELLE DONNE RIFUGIATE A B ANGKOK Sono donne rifugiate a Bangkok da Paesi asiatici e africani, come la Somalia e il Pakistan, dove hanno affrontato guerre, stupri e oppressioni sistematiche. Nella capitale thailandese trovano un aiuto: quello del Jesuit Refugee Service (Jrs) che ha avviato per loro uno specifico progetto di assistenza psicologica e materiale. «Le donne rifugiate, quasi tutte vittime di violenze sessuali, sono estremamente vulnerabili. Le aiutiamo a sentirsi meno sole» dice Jennifer Martin, consulente psico-sociale del Jrs. Tuttavia è difficile aiutare davvero queste ragazze, nota il Jrs. Unica certezza è che la socializzazione e la relazione umana restituiscono loro «dignità e fiducia». La lettera Ai sacerdoti «L’amava come madre, visse nell’obbedienza. Benché fosse Dio, rispettava ogni sua parola». Comincia con i versi di un canto mariano polacco la lettera ai sacerdoti sull’«importanza della donna» scritta da Giovanni Paolo II in occasione del giovedì santo 1995. In essa non si chiede solo amore e rispetto per la madre, in nome «dello specialissimo rapporto di Maria con il Verbo incarnato e con la Chiesa ma della “sorella”. Per vivere nel celibato in modo maturo e sereno — scrive Wojtyła — il sacerdote deve sviluppare profondamente in sé l’immagine della donna come sorella». Questa immagine è una specifica manifestazione della bellezza della donna e una rivelazione della sua «intangibilità». Innumerevoli donne — ricorda — sono diventate sorelle in modo universale. La loro presenza è garanzia di gratuità nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri. Il sacerdote deve capirne il valore, tenerla da conto. «Ogni prete — conclude — ha dunque la grande responsabilità di sviluppare in sé un atteggiamento di fratello nei confronti della donna, un atteggiamento che non ammette ambiguità». ( @ritannarmeni ) Il ruolo femminile nella formazione dei seminaristi Cosa dovrebbe cambiare? di C ATERINA C IRIELLO P erché la Chiesa, intesa come ge- rarchia, o almeno una sua parte, fa fatica — per non dire quasi si rifiuta — a dialogare liberamente e in sincerità con il mondo fem- minile? Aristotele affermava con decisione che «la femmina è un maschio mancato» ( femina est mas occasionatus ), nasce per un “difetto” naturale, cioè è un “accidente”. Per Agostino e Ambrogio la donna è la causa del peccato e quindi deve essere su- bordinata all’uomo. Ma san Paolo ci ram- menta che in Cristo siamo tutti uguali: non esiste né giudeo né greco, né uomo né don- na ( Galati, 3, 28). Lo stesso Papa Francesco non si stanca di ricordare, alla cristianità e al mondo intero, l’importanza e la centralità del ruolo della donna nella vita sociale e nella Chiesa. Eppure quanto dice sembra passare sotto silenzio, quasi si trattasse di una frattura “dogmatica” all’interno di un pensiero con- diviso e radicato in molti “uomini” di Chie- sa. La donna appare come fonte di proble- mi e non di ricchezza e complementarità quale in effetti è. Questa tradizione antro- pologico-culturale è stata consegnata alle generazioni successive di sacerdoti e futuri seminaristi, i quali hanno accettato tacita- mente questa eredità scellerata e difficile da scardinare. Sarebbe interessante fare un sondaggio, per aiutare e aiutarci a capire cosa c’è che non va tra donne e sacerdoti, perché stiamo parlando di un problema ben reale, concreto. Pensiamo sia necessario partire da un no- do fondamentale: la presenza e il ruolo del- le donne nei seminari e nella formazione dei seminaristi. Vorremmo sbagliare, ma possiamo contarle sulle dita di una mano. E quando ci sono, si trovano in posizione di subalternità, cioè sono persone a dir po- co invisibili, che cucinano, lavano, stirano, puliscono le stanze dei giovani e si aggira- no tra le sacre mura pronte a svanire al mi- nimo cenno. Sono religiose e laiche. Le pri- me lo fanno per missione; le seconde per- ché devono lavorare per vivere. Ma questa attività le obbliga, spesso e volentieri, al si- lenzio, a una totale — o quasi — assenza di rapporti umani con i loro interlocutori. Nella Pastores dabo vobis si sottolinea «la connotazione essenzialmente “relazionale” dell’identità del presbitero» e l’importanza di definire chiaramente «la natura e la mis- sione del sacerdozio ministeriale, se non in questa molteplice e ricca trama di rapporti, che sgorgano dalla Santissima Trinità e si prolungano nella comunione della Chiesa, come segno e strumento, in Cristo, dell’unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (n. 12). E ancora possiamo leggere: «Di particolare importanza è la ca- pacità di relazione con gli altri, elemento veramente essenziale per chi è chiamato a essere responsabile di una comunità e ad essere “uomo di comunione”» (n. 43). La relazionalità uomo-donna è un atto voluto da Dio stesso al momento della crea- zione, è intrinseca in ogni persona: ignorare questo aspetto fondamentale significa por- tarsi fuori dalla dinamica di quell’amore tri- nitario precedentemente citato — e di cui sentiamo parlare spesso nelle omelie — es- senza prima nella vita dei cristiani e della stessa Chiesa. Altro tema da affrontare. Perché le donne non hanno libero accesso all’insegnamento nei seminari? Negli Stati Uniti fortunata- mente si riscontra la presenza di almeno una donna o due, come affermato nel 2013 da suor Sara Butler, professore emerito di teologia sistematica al Mundelein Seminary in Illinois. Ma quante sono le donne che possono farlo, specialmente in Italia? A questo punto la conclusione sorge sponta- nea: la teologia è una cosa per soli uomini e sacerdoti? Quando Papa Francesco affer- ma che è necessaria una «profonda teologia della donna» e dice che le donne debbono fare riflessione teologica, sostiene un’uto- pia? Ci pare che il Papa abbia compreso molto bene l’entità del ruolo della donna nella Chiesa, come nella società, ma si è an- che reso conto di quanto sia difficile e com- plicato scardinare la diffidenza, una vera e propria paura — direi ancestrale — nei con- fronti dell’altro sesso, del “femminile”, con- siderato una pericolosa minaccia all’integri- tà sessuale e celibataria dell’uomo consa- crato. Il risultato di questa obsoleta scuola di pensiero è una certa misoginia, più o meno latente, la quale è in sostanza un sentimen- to di avversione, se non di odio, verso le donne, inquadrate più che altro nella fun- per il singolo, anche se è ministro di Cristo. Scriveva Gregorio Magno nella Regola pa- storale : «Ci sono poi alcuni che investigano le regole della vita spirituale con esperta cu- ra, ma poi calpestano con la loro condotta di vita ciò che riescono a comprendere con l’intelligenza». La testimonianza è il frutto evidente dell’attaccamento del cuore a Dio. Ma quale è il livello relazionale dei semi- naristi con le donne? Se i risultati sono quelli che solitamente traspaiono alla vista di tutti una volta divenuti sacerdoti, non è forse il caso di ripensare alcuni aspetti della loro formazione? Se il sacerdote deve essere “persona di comunione”, crediamo si stia ri- schiando molto proprio in questo senso se si esclude la presenza femminile nei luoghi di formazione, comprese le facoltà teologi- che. Se vogliamo sacerdoti affettivamente maturi, si deve necessariamente dar loro l’opportunità di esercitare la propria libertà, cioè la capacità di scegliere ogni giorno Cri- sto di fronte alle sollecitazioni mondane e le possibili provocazioni — logiche e legitti- me nelle relazioni uomo-donna — create da una presenza femminile che non si può, evidentemente, evitare. Ci pare pure di ca- pire, seguendo quanto si è detto negli ulti- mi anni, che si punti molto alla maturità af- fettiva anche rispetto a eventuali manifesta- zioni di omosessualità. Ma il punto è un altro. Usciti dal semi- nario — dove questi giovani si preparano a diventare pastori vivendo “l’ideale” della vi- ta sacerdotale — una volta catapultati nel mondo concreto, abitato da uomini e da donne in carne e ossa, cosa accadrà? Sa- pranno adeguatamente rispondere alle esi- genze delle persone che sono chiamati a guidare nel loro cammino di fede nella Chiesa? La comunità parrocchiale si co- struisce intorno al pastore, un sacerdote che deve essere in grado di gestire i momenti di disanimo, di crisi personale, senza coinvol- gere emotivamente i fedeli. Infatti, è pro- prio in questi casi che scoppiano quei pro- blemi di carattere affettivo che non sono stati affrontati in seminario. Allora diventa pericoloso aprire relazioni con le donne, perché ci si può illudere di trovare in una parrocchiana devota, la madre o la sorella, l’amica e confidente, fraintendendo i rap- porti. Ciò che diciamo vale per tutti i con- sacrati, donne e uomini. Ecco, allora sarebbe bello che i futuri sa- cerdoti avessero l’opportunità di scoprire senza timore e con sano desiderio la ric- chezza dell’universo femminile, consideran- dolo una preziosa risorsa, necessaria per giungere alla completezza della loro voca- zione. Poiché maschio e femmina siamo sta- ti creati, non per la divisione, ma per la complementarità. Ribaltare la statistica di F RANCA G IANSOLDATI Anni addietro, ma nemmeno troppi, ve- dere una suora salire in cattedra a impar- tire lezioni di teologia o filosofia in semi- nario a dei futuri preti, era un evento sta- tistico quasi irreale. Rientrava in una ca- sualità remota. Non proprio fantascienza, ma comunque che ci si avvicinava molto, un avvenimento altamente improbabile, considerando la cornice culturale genera- le e la scarsa propensione delle autorità ecclesiastiche ad aprire alle insegnanti donne i luoghi di formazione di eccellen- za. Naturalmente lo spirito conciliare ha soffiato anche in questa direzione e il tempo ha lavorato per fare emergere il merito di tante insegnanti e così, nel si- lenzio, fuori dai riflettori, gli esempi sono cresciuti di numero, qui e là, in diverse diocesi del mondo, senza che fosse un fe- nomeno codificato, né particolarmente incoraggiato dalla gerarchia vaticana. Il sentiero per arrivare a un giusto equilibrio dentro la Chiesa è infatti lun- go. Le religiose pur essendo la maggio- ranza si confrontano con un potere ma- schile che fatica ancora a riconoscere loro Butler — con i miei studenti ho sempre avuto relazioni proficue e costruttive. Il mio bilancio è positivo». Dagli Stati Uniti alle Filippine: a Mani- la il cardinale Tagle ha affidato a una suo- ra, Nimfa Ebora delle Pie Discepole del Divin Maestro (ritratta a sinistra), l’incari- Quando ci sono, le donne sono subalterne Cioè sono persone invisibili che cucinano, lavano, stirano e puliscono le stanze dei giovani Si aggirano pronte a svanire al minimo cenno zione di donne di servizio, cioè soggetti che compiono quotidianamente, e gratuitamen- te, le varie incombenze domestiche nella parrocchia o nelle residenze dei religiosi. E chiariamo: sono persone che assumono con- sapevolmente anche il disagio psicologico di non ricevere neppure un semplice grazie, perché il loro servizio è per la Chiesa, non Al di là della didattica significa avere un modello di riferimento differente E induce a una naturale accettazione della parità un ruolo. Alle donne si delega ancora troppo poco in termini di gestione, go- verno e amministrazione. E in termini di presenza nei seminari come docenti. Tra le prime professoresse in un semi- nario vi è stata Sara Butler (che «donna chiesa mondo» ha intervistato nel marzo 2013): «È accaduto un po’ per caso. Sono stata invitata a insegnare perché c’era un posto vacante al Mundelein Seminary, in Illinois. Ormai sono vent’anni che inse- gno teologia agli uomini che si preparano per il sacerdozio. Ho anche insegnato al seminario della diocesi di New York. Ho scoperto che anche il seminario ha una dimensione importantissima. Un arricchi- mento per tutti». Per i futuri preti avere come insegnan- te una donna, al di là della didattica, si- gnifica avere un modello di riferimento differente, e induce a una naturale accet- tazione della parità. «Credo, infatti, che aiuti i futuri sacerdoti a conoscere le don- ne e a relazionarsi con loro. Io — dice di B OSCO L U L a maggior parte della gente conosce il Teilhard de Chardin scienziato e sacerdote, ma pochi sanno che fu anche un grande amante. Come scienziato, divenne celebre per la sua teoria dell’evoluzione. Come sacerdote e gesuita, si offrì completamente a Dio. Entrò nella Compagnia di Gesù nel 1899, fu ordina- to sacerdote nel 1911 ed emise i voti solenni nel 1918. Nonostante le prove che dovette af- frontare durante la sua vita tumultuosa, non mise mai in discussione la sua vocazione origi- nale. Restò per tutta la vita un sacerdote e uno scienziato. L’universo si presentava a Teil- hard come una realtà vivente, dinamica e per- sonale. Egli ripeteva spesso che l’universo possiede uno spirito, un cuore e un volto. Tale volto alla fine diventerà per lui quello di Cri- sto. Ispirato dall’Eterno femminino rappresen- tato dalla Beatrice di Dante, Teilhard ha svi- luppato la sua teologia di un principio uniti- vo. Beatrice viene da lui interpretata come Maria. In seguito, questa bellezza si concretiz- zerà in diverse donne. Gesuita, sacerdote e scienziato, come ha unito Teilhard de Chardin l’amore verso Dio e l’amore per una donna? Come ha tratto pro- fitto da questa esperienza amorosa? Per Teilhard l’universo non è un Egli ma un Tu che si preoccupa di me e s’impegna con me in un dialogo. Nel suo Inno alla materia leggiamo: «Ti saluto, Ambiente divino, carico di potenza Creatrice, Oceano mosso dallo Spirito, Argilla impastata ed animata dal Ver- bo incarnato (…). Se vogliamo possederti, bi- sogna che ti sublimiamo nel dolore dopo aver- ti voluttuosamente stretta fra le nostre brac- cia». Per Teilhard la salita spirituale era una comunione con Dio attraverso la Madre Terra. La fede nel Signore risorto l’ha portato alla nozione di Cristo cosmico, colmo di amore- energia per rinnovare il cosmo. In questa ri- cerca mistica, Teilhard de Chardin fu accom- pagnato, stimolato e, anzi, persino guidato dal suo entourage femminile. La Divina Commedia di Dante e l’Eterno femminino di Goethe nella seconda parte del Faust hanno ispirato Teilhard a scoprire l’Eter- no femminino. Thomas King scrive nella pre- fazione delle Letters : «Nel marzo 1918 Teilhard scrisse un saggio, L’Eterno femminino . In esso, spiega che “quando l’uomo ama una donna, s’immagina anzitutto che il suo amore vada solo a qualcuno come lei, che l’avvolga con il suo potere e che si unisca a lei liberamente”. Ma è presto sorpreso dalla violenza delle forze dispiegatesi in lui e “trema al comprendere” che non può essere unito con il femminino senza “divenire schiavo di un lavoro di crea- zione universale”. Così il Femminino è perce- pito come una forza che invita l’uomo a uscire da se stesso per entrare nella Vita. Il Vangelo ha raccomandato la verginità, ma ciò non si- gnificava affatto che il Femminino doveva per- dere il suo potere. La Verginità non doveva esiliare l’amore dal cuore dell’uomo: “Al con- trario, il suo dovere è di restare fondamental- mente un uomo”». Secondo Henri de Lubac, il motivo per cui Teilhard cambiò Beatrice in Beatrix è che vo- leva trasformare l’ideale verginale presente in Dante in una Vergine cristiana ben precisa, Maria. La prima, vagamente identificata, av- volta da un velo come un simbolo, non può rivelare il mistero del Femminino nella sua es- senza più pura. Nostra Signora, al contrario, come madre del Verbo Incarnato, è una perso- na reale. Attraverso Maria, Teilhard ha rispec- chiato la sua vocazione e il modo in cui dove- va vivere la sua vita nel celibato consacrato. Fu solo dopo la lunga formazione che si concluse nel 1911 con la sua ordinazione, quando aveva già trent’anni e si stava specia- lizzando in paleontologia a Parigi — che visse la sua prima esperienza amorosa. Questo epi- sodio avrebbe influenzato la sua visione del Femminino. Marguerite Teilhard-Chambon, lontana cugina di Pierre, sei mesi più grande di lui, era cresciuta anche lei a Clermont-Fer- rand. Da bambini condivisero molte esperien- ze. Marguerite poi si trasferì a Parigi, dove ot- tenne l’abilitazione in filosofia e insegnò in una scuola rinomata. Il loro incontro dopo una lunga separazione divenne una tappa im- portante nell’educazione sentimentale di Teil- hard . Quello tra il giovane sacerdote e la cu- gina fu, in tutti i sensi, un vero incontro d’amore. Ursula King descrive così la storia: «Teilhard scoprì il pieno potere dell’“ideale femminino” e della “sua bellezza inalterabile” solo quando ritrovò sua cugina Marguerite co- me donna adulta, colta, dallo spirito sottile, piena di fascino e molto gentile, dotata di una fede e di una devozione profonde. S’incontra- rono alla vigilia della guerra e s’innamoraro- no. Fu lei la prima a udirlo sviluppare le sue idee, fu anche la sua prima lettrice, come pure il suo primo critico. C’era tra loro una colla- borazione spirituale e intellettuale, ma Mar- guerite fu anche la prima donna ad amarlo co- me uomo e fu grazie a lei che Teilhard trovò pienamente se stesso. La scoperta del suo amore per Marguerite e la risposta amorosa di quest’ultima avrebbero cambiato ogni cosa. Era proprio l’energia di cui aveva bisogno per- ché le sue idee fermentassero e si organizzas- sero pienamente» ( Spirit of Fire ). Dicembre 1914: Teilhard viene arruolato. Dal fronte scrive a Marguerite molte lettere e capisce che il celibato non esclude una certa intimità con l’altro sesso. Nel suo elogio dell’Eterno femminino, fa dire alla donna: «Chi ascolta la chiamata di Gesù non deve scacciare l’amore dal proprio cuore. Deve, al re, Jeanne Mortier e altre, ma non deviò mai dal suo fine: ogni amore verso una donna è verso Dio e con Dio e in ultimo dovrà conver- gere in Dio. Il suo amore per ogni donna fu una relazione «a tre termini: l’uomo, la donna e Dio». Questa forma triangolare dell’amore o amore-a-tre fu in Teilhard il principio dell’amore non solo per lui e per i religiosi, ma per tutta l’umanità. «Presto non resterà che Dio per voi in un Universo interamente verginizzato. In me è Dio che vi aspetta!». Vediamo ora quale meravigliosa amicizia ha unito Teilhard e Lucille Swan, e il prezzo che lui ha pagato per mantenere quella relazione. S’incontrarono per la prima volta a Pechino nel 1929. La loro luna di miele nella città proi- bita durerà dodici anni. Teilhard dispiegò in gran parte la sua potenza creatrice grazie alle conversazioni con Lucille. Il loro scambio epi- stolare, iniziato nel 1932, prosegue per ventitré anni. La comparsa di questa americana scon- volse i suoi principi dell’amore-a-tre. Lucille era scultrice, divorziata, appena arri- vata a Pechino dall’Iowa. Conobbe Teilhard dal dottor Grabau, un geologo americano, nell’autunno 1929. Teilhard aveva quarantotto anni, Lucille nove di meno. I due divennero buoni amici. Nel 1932 Lucille realizzò il primo busto di Teilhard. Nel suo studio, quando lui posava come modello, continuavano le loro lunghe conversazioni. Nell’autunno di quell’anno, Teilhard partì per la Francia e si assentò per sei mesi. Dalla nave scrisse la sua prima lettera a Lucille (30 agosto 1932). L’an- no seguente si recò negli Stati Uniti e le lette- re divennero più frequenti, a intervalli di sei o tredici giorni. Lucille accese in lui un fuoco molto intenso che arse per tutti gli anni della sua maturità. La sua famiglia, i suoi amici e i suoi futuri ammiratori conobbero la potenza del loro amore reciproco, la loro intimità e il loro impegno, la loro separazione, la loro de- lusione e la loro sofferenza solo molti anni do- po la morte di entrambi. Di fatto la loro fu molto di più di una semplice amicizia. Non condivisero solo le stesse idee, ma anche la vi- ta, fin nei minimi dettagli. Nel 1950 Teilhard, sessantanovenne, scrisse Il cuore della materia , la sua autobiografia, che si conclude con «niente si è sviluppato in me se non sotto uno sguardo e sotto un’influenza di donna». Inviò una copia del libro a Lucille dicendo: «Da circa vent’anni voi mi aiutate sempre a salire verso Dio, sempre più lumino- so e più caldo». Lucille non era però soltanto la compagna di lavoro di Teilhard, ma diven- ne una parte della sua personalità. «Siete di- ventata una parte della mia vita più profon- da» (17 luglio 1936). L’itinerario mistico di Teilhard è stato agevolato dall’aiuto di una donna che l’ha accompagnato: Lucille. Era una donna che aveva bisogno di amore e osa- va amare. La sua agonia iniziò quando svilup- parono una relazione d’amore più profonda. Mentre Teilhard sognava un cammino di ver- ginità o di amore-a-tre che portasse a una convergenza, Lucille cercava qualcosa di più. «L’amicizia è indubbiamente la forma più alta dell’amore, e anche la più difficile. I miei bole ma sempre oltremodo impegnato nella ri- cerca accademica. Lucille si recava di tanto in tanto a New York per vederlo. Teilhard le chiese di ridurre le sue visite, di scrivergli e di telefonargli meno spesso, perché si sentiva troppo debole. Allo stesso tempo, Rhoda sta- va costantemente accanto a lui, soppiantando completamente Lucille, a quanto pare. Teil- hard era pienamente consapevole della soffe- renza che causava nelle persone che aveva amato. Thomas King scrive: «A Parigi, nel lu- glio 1954, Teilhard rilesse la fine de Il cuore della materia . Iniziò a piangere “nel ricordare tutte le Beatrici piene di rimproveri che aveva involontariamente ferito”. Una di queste era Lucille». Qualche giorno dopo, Teilhard cadde per strada a New York durante una passeggiata. All’ospedale chiese di Lucille. Lei giunse im- mediatamente e lo rassicurò del suo amore. In seguito Teilhard ritornò nella residenza gesui- ta da dove scrisse una lettera per ringraziarla: «Convergiamo, voi e io, coraggiosamente e gioiosamente, verso il nuovo volto di Dio che ci attira l’un l’altro». Nella sua ultima lettera a Lucille (30 marzo 1955), dice: «Ho veramente bisogno della vostra presenza, della vostra in- fluenza nella mia vita (…). Noi siamo sempre qui l’uno per l’altro». La sera della domenica di Pasqua del 1955, il 10 aprile, Teilhard morì mentre parlava con alcuni ospiti nella casa di Rhoda de Terra a New York. La creatività intellettuale di Teilhard de Chardin aveva bisogno di affetto per poter maturare. La sua esperienza d’amore con Mar- guerite fu fonte di nuove idee che sfociarono in alcuni articoli importanti durante la guerra, tra i quali l’intramontabile Eterno femminino . Secondo tale teoria, le persone caste hanno, anch’esse, la possibilità di vivere un’esperienza amorosa con Dio e con l’altro sesso. L’amore- a-tre, profondo e casto, s’inscrive qui. Per Teil- hard un amore casto o verginale libererà dalla Materia un Fuoco nuovo. È una nuova sorta di energia. L’amore verginale è uno stadio su- periore dell’amore umano. Dopo Marguerite, Teilhard incontrerà altre donne. Il loro calore e il loro fascino sono passati, goccia a goccia, nel sangue delle sue idee più care. La conferenza Marguerite, Léontine, Ida Lucille, Rhoda, Claude e Jeanne Il loro calore e il loro fascino sono passati goccia a goccia nel sangue delle sue idee più care istinti di donna sono così forti. Imparare a controllare questo amore è così difficile». Un anno dopo la fine della seconda guerra mondiale Teilhard ritornò in Europa. Da Pari- gi fece diversi viaggi a New York e in Sud Africa. Nel dicembre 1951 emigrò negli Stati Uniti, e vi si stabilì definitivamente. In quel decennio fu Rhoda de Terra a restare costan- temente accanto a Teilhard, sia a Parigi sia a New York, e anche durante i due viaggi in Sud Africa. La sua costante presenza accanto a lui suscitò una crisi spaventosa in Lucille. Dopo la crisi cardiaca di Teilhard nel 1947, pian piano Rhoda divenne la sua infermiera- segretaria. Quando, nel dicembre 1951, Teil- hard si trasferì negli Stati Uniti, era molto de- Pubblichiamo stralci della conferenza pronunciata da padre Bosco Lu, gesuita cinese, durante un convegno su Teilhard de Chardin, svoltosi a Pechino nell’ottobre 2003. Il testo è stato pubblicato nella «Nouvelle Revue Théologique» (126, 2004, pp. 177-203). co di formare i sacerdoti sul tema della Sacra Scrittura. «Prima di entrare nella vita religiosa insegnavo in una scuola elementare. Non pensavo di continuare questa professione da religiosa. Dopo il noviziato, la Congregazione mi ha mandato a studiare teologia. Mi sono laureata e poi ho fatto un master in Sacra Scrittura. Per due semestri ho in- segnato in una delle università cattoli- che a Cebu, nelle Filippine. Nel 2010, sono stata inviata ad approfondire gli studi a Gerusalemme, presso i padri francescani dello Studium Biblicum. Lì ho ottenuto la licenza in Scienze bibliche e Archeologia. Tornata nelle Filippine mi hanno inviata a insegnare nei seminari». Suor Nimfa racconta che nelle Filippi- ne non è sorprendente avere insegnanti donne. «È considerato un arricchimento per i seminaristi in quanto non solo pos- sono confrontarsi con una figura femmi- nile, ma la stessa figura femminile offre loro un completamento formativo. Posso- no ottenere prospettive teologiche da parte delle donne. Tra l’altro, la classe, a volte non è solo composta di seminaristi, ma di suore e laiche che frequentano gli stessi studi teologici. In classe non è raro che diversi soggetti teologici vengano di- scussi con la complementarità dei punti di vista maschile e femminile. È un arric- chimento mutuo». In questo modo, spie- ga la religiosa, la Chiesa mostra che l’evangelizzazione è davvero affidata a tutti, uomini e donne. contrario, restare essenzialmente umano. Ha dunque ancora bisogno di me per sensibilizza- re le sue forze e risvegliare la sua anima alla passione del divino». In uno dei suoi ultimi libri, Il cuore della materia , Teilhard dice che nessuno, anche se dedito alla causa di Dio, può trovare un cammino verso «la maturità e la pienezza spirituali al di fuori di qualche in- fluenza sentimentale che in lui possa sensibi- lizzare l’intelligenza e stimolare, almeno ini- zialmente, le forze di amare. Non più di quan- to possa fare a meno della luce, dell’ossigeno o delle vitamine, nessun uomo può fare a me- no del Femminino». Dopo Marguerite, Teilhard stabilì una rela- zione profonda con Léontine Zanta, Ida Treat, Lucille Swan, Rhoda de Terra, Claude Riviè-

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