donne chiesa mondo - n. 38 - settembre 2015

donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne Il cardinale Barbarigo e le donne Come tre sorelle di F ABIO F ABENE F ra il XVII e il XVIII secolo fu il cardinale Marco Antonio Barbarigo a incarnare l’ideale del vescovo tratteggiato dal concilio di Trento, diventando autentico padre e pastore. Il sentire pastorale di Barbarigo è espresso nello scritto Disinganni per i vescovi , in cui scriveva: «Il vescovo e i sudditi devono stare sempre insieme, perocché questi senza quegli periscono e quegli senza questi pericola… il vescovo ha da prendersi cura di tutti: del povero artigiano, dell’abbandonata vedova, del misero pupil- lo». Queste convinzioni personali portarono Barbarigo ad attua- re un progetto pastorale che prevedeva la riforma e la formazione del clero con la fondazione del seminario, la visita pastorale e la celebrazione dei sinodi diocesani. A questo egli unì la promozio- ne umana, cristiana e sociale della donna, come punto qualifican- te del suo ministero episcopale. Questa attenzione per la donna Barbarigo l’aveva fin da giova- ne sacerdote, quando chiese al patriarca di Venezia la facoltà di insegnare la dottrina cristiana anche alle donne e alle fanciulle, e fin dall’inizio del suo episcopato si propose di «contribuire al buon vivere cristiano delle famiglie intere, alla buona educazione delle donne e specialmente delle fanciulle». Questo desiderio, oggetto della sua preghiera, lo attuò attraverso tre donne: santa Rosa Venerini, santa Lucia Filippini e Caterina Comaschi. Con quest’ultima ridiede vita a un antico monastero a Montefiascone, fondando l’Istituto del Divino Amore, mentre con Rosa Venerini e Lucia Filippini fondò “scuole”, che poi vennero chiamate “pie”, in tutti i centri della diocesi. La volontà e l’azione del cardinale furono così decise che tra il 1692 e il 1694, anni della collabora- zione con Rosa Venerini, si aprirono ben undici scuole, che poi vennero guidate da Lucia Filippini, che impresse loro il suo per- sonale carisma e il suo metodo educativo. Attraverso queste don- ne, il cardinale Barbarigo aprì spazi nuovi alla donna nella Chie- sa, inserendola nella stessa vita pastorale, riconoscendone il ruolo educativo e apostolico. Il legame e la collaborazione pastorale furono particolarmente intensi e “filiali” con Lucia Filippini, che il cardinale aveva cono- sciuto nel 1688 a Tarquinia e aveva portata con sé a Montefiasco- ne facendola accogliere come educanda nel conservatorio di San- ta Chiara. Uomo esperto, il nuovo vescovo ne aveva subito rico- nosciuto «l’ottima indole» e «la grande apertura d’ingegno e ca- pacità». Queste doti, nonché la sensibilità della giovane, colpiro- no anche Rosa Venerini che viveva con lei nello stesso conserva- torio. Fu proprio questa maestra più anziana e più esperta a pre- sentare al prelato Lucia, come la persona adatta per continuare l’opera delle scuole. Nonostante la giovane età di Lucia, Barbari- go accolse il suggerimento e Filippini accettò quell’incarico, che divenne missione. Il coraggio di Maria Zhu-Wu La santa del mese raccontata da Marc Lindeijer Marc Lindeijer (Paesi Bassi, 1966) ha studiato storia all’università cattolica di Nijmegen. È entrato nella Compagnia di Gesù nel 1994 ed è stato ordinato sacerdote nel 2002. Dal 2009 lavora presso la curia generalizia dei gesuiti come assistente del postulatore generale. vivevano in basse casette di argilla, annidate tra irregolari distese di sor- go e dominate da una chiesa sempli- ce, con il tetto piatto e un’alta faccia- ta; dalla cima di quest’ultima, la cro- ce sovrastava la campagna. Pastore della comunità cattolica di Zhujiahe era il gesuita francese Léon- Ignace Mangin, quarantaduenne e missionario in Cina sin dal 1882. Nel villaggio era assistito da un saggio di mezz’età, Zhu Dianxuan, abile ammi- nistratore e molto versato anche nell’arte della guerra. Sua moglie cin- quantenne, Maria Zhu-Wu, era molto stimata dagli abitanti del villaggio: donna gentile di grande fede, nel suo servizio a Dio dava la priorità all’as- sistenza ai poveri. Senza mai cercare fama né gloria, queste tre persone si sarebbero trovate al centro del massa- cro di cristiani più violento avvenuto durante la rivolta dei boxer. Non occorre spiegare qui la storia della rivolta, né le macchinazioni po- litiche e la guerra che l’avevano inne- scata. Avevano poca importanza per gli abitanti di Zhujiahe quando, nell’estate del 1900, avevano accolto migliaia di rifugiati cattolici dai vil- laggi vicini. Ciò aveva portato la po- polazione a 3000 abitanti, vale a dire dieci volte più di quelli abituali, quando il 17 luglio furono attaccati da 4500 uomini ben armati, le forze congiunte dei boxer e dell’esercito imperiale. Pochi giorni prima, gli abitanti del villaggio, protetti dalle fortificazioni costruite da Zhu Dian- xuan, erano ancora riusciti a respin- gere gli attacchi e perfino a conqui- stare un cannone del nemico. Padre Mangin e il suo confratello gesuita Paul Denn, anche lui rifugiato a Zhujiahe, avevano celebrato la messa ogni mattina e ascoltato confessioni per tutto il giorno; la sera avevano dato il cambio alle guardie sui ba- stioni. Il giorno seguente, Zhu Dian- xuan, l’unico leader esperto tra i mil- le e più uomini in grado di difendere il villaggio, si arrampicò sui bastioni per usare il cannone contro le forze nemiche. Ma quella sera stessa, quan- do ormai oltre la metà dei suoi uomi- ni era morta in battaglia, il cannone esplose sul petto di Zhu Dianxuan. Mangin, che si trovava lì vicino, cor- se dall’uomo morente e gli diede l’estrema unzione. Il terzo giorno, quando la situazione ormai apparve senza speranza, quanti potevano fug- gire lo fecero, lasciando indietro chi era troppo debole per farlo, special- mente donne e bambini. Quando la mattina presto del 20 luglio i soldati presero il villaggio, le prime persone che uccisero furono un gruppo di vergini della parrocchia e di catechiste. Colti dal panico, ottan- tacinque tra donne e bambini fuggi- rono verso l’orfanotrofio, dove salta- rono nel pozzo, morendovi affogati o soffocati. Pare che il loro pianto e le loro grida si siano sentiti per due giorni. sori sfondarono la porta e iniziarono a sparare a caso all’interno della chie- sa, fino a quando non fu piena di fu- mo. Si diffuse il panico mentre la gente veniva uccisa, ma i sacerdoti riuscirono a unirla in preghiera, reci- Attraverso Rosa Venerini Lucia Filippini e Caterina Comaschi il porporato adottò un’efficace strategia di valorizzazione ed emancipazione poveri e lei stessa scrive: “Io per me vorrei moltiplicarmi in ogni angolo della terra per poter gridare da per tutto e dire a tutte le genti di ogni sesso, di ogni età e condizione: Amate Iddio, Ama- te Iddio! O mio Dio! Perché non fate che io diventi tante Lucie, sicché moltiplicandomi possa da per tutto dilatare la Vostra glo- ria?”». Così aveva risposto all’invito del cardinale: «Lucia, Lucia, andate per tutte le strade e per le piazze e cercate storpi, zoppi, e deboli e fate che questo luogo sia pieno». Proprio le strade e le piazze furono il luogo della missione di Lucia; percorrendole, chiamava fanciulle e donne nella sua scuo- la, che fin dall’inizio si caratterizzò per il suo carattere popolare. Le scuole furono case aperte e accoglienti dove si insegnava for- mazione della personalità e crescita religiosa attraverso il lavoro manuale, la riflessione religiosa, lo studio e la preghiera. Non è difficile immaginare l’impatto sociale che ha avuto que- sto insegnamento sulle famiglie e sulle stesse comunità. La don- na non dipendeva più da un altro, ma lei stessa comprendeva e poteva esprimersi: è stato un primo passo fondamentale nel cam- mino di emancipazione della donna. Con l’istituzione delle Maestre Pie, di cui Lucia fu la pietra fondamentale, il cardinale Barbarigo segnò un punto sostanziale nell’inserimento della donna nella vita ecclesiale. Il cardinale vol- le donne inserite pastoralmente nell’apostolato parrocchiale, creando così «un terzo stato di vita», come affermano le Regole, per attuare la missione pastorale, senza essere legate dai voti reli- giosi, proprio per essere a disposizione della vita apostolica della Chiesa. Barbarigo aprì così la strada per l’apostolato delle donne nel cattolicesimo dopo il concilio di Trento, e ciò avvenne grazie alla collaborazione con la maestra, uniti nella carità pastorale. Se fu decisiva la personalità del cardinale, non meno incisive furono la sensibilità femminile e la tenerezza di Lucia che aiutò il cardi- nale a maturare nella paternità episcopale. Marco Antonio Barbarigo e Lucia Filippini si uniscono a quelle coppie di santi che hanno segnato la vita della Chiesa co- me Francesco e Chiara di Assisi, Francesco di Sales e Francesca di Chantal. Una collaborazione che è stata particolarmente fe- conda per la vita della Chiesa e continuerà a esserlo anche in futuro. Ella si rivelò disce- pola autentica del car- dinale divenendo mae- stra, missionaria e apo- stola. Così la descrive il suo primo biografo: «Donna veramente apostolica, in quanto catechista, educatrice di donne, aiuto delle prostitute e amica dei Maria Zhu-Wu Z hujiahe è un piccolo villag- gio situato nella vasta pianu- ra grigia della Cina setten- trionale, al confine tra le province di Zhili e Shandong. Tra- dotto, il nome significa “fiume della famiglia Zhu”. Diversi membri di quella famiglia si erano convertiti al cattolicesimo durante il XVIII secolo, quando i gesuiti da Beijing si erano inoltrati nella provincia di Zhili. All’inizio del XIX secolo la famiglia Zhu si era stabilita vicino al fiume, dandogli il suo nome. Nel 1900 il vil- laggio aveva circa 300 abitanti, che La maggior parte degli abitanti del villaggio, circa mille, si era rifugiata nella chiesa, assistita spiritualmente dai due sacerdoti gesuiti. Troppo pressati per celebrare un’ultima mes- sa, Mangin e Denn si sedettero sui gradini dinanzi all’altare ad ascoltare confessioni, mentre la maggior parte delle persone era inginocchiata in preghiera o semplicemente attendeva. Maria Zhu-Wu, presumibilmente in lutto per il marito, rimase però cal- ma, esortando tutti a confidare in Dio e a pregare la Madre celeste. Verso le nove del mattino, gli aggres- tando insieme il Confiteor e l’atto di contrizione, poi diedero l’assoluzione generale mentre le armi continuavano a sparare sulla gente. Qui Maria Zhu-Wu assurse a par- ticolare grandezza: si alzò e si mise con le braccia tese davanti a padre Mangin per fargli scudo con il pro- prio corpo. Non molto tempo dopo, una pallottola la colpì ed ella cadde davanti alla balaustra dell’altare. An- che Mangin, sgranando il rosario con una mano e afferrando un crocifisso con l’altra, ben presto cadde vittima degli uomini armati. Poi i boxer sprangarono la chiesa e le diedero fuoco. La maggior parte di quanti si erano rifugiati al suo interno morì a causa del fumo inalato, gli ultimi — tra loro Mangin e Denn — finirono arsi quando, alla fine, il tetto della chiesa crollò. Solo 500 cattolici riu- scirono a sopravvivere al massacro fuggendo o apostatando; pochi altri, principalmente donne, furono vendu- ti come schiavi o condotti come pri- gionieri a Beijing, dove probabilmen- te finirono in qualche postribolo. Ma Maria Zhu-Wu continua a vi- vere a Zhujiahe, il fiume della fami- glia Zhu, trasformato in un fiume di sangue. Mentre suo marito aveva di- feso il villaggio contro il nemico esterno, lei aveva rafforzato la fede e il coraggio interiore delle persone, sa- crificando addirittura la propria vita per salvare il loro pastore. Nel 1955 Pio XII la proclamò beata, insieme ai due gesuiti e ad altri 53 martiri; tutti sono stati canonizzati nel 2000 da Giovanni Paolo II .

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