donne chiesa mondo - n. 34 - aprile 2015

women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women L’OSSERVATORE ROMANO aprile 2015 numero 34 Inserto mensile a cura di R ITANNA A RMENI e L UCETTA S CARAFFIA , in redazione G IULIA G ALEOTTI www.osservatoreromano.va - per abbonamenti: ufficiodiffusione@ossrom.va donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo L’uovo di Ildegarda Macrocosmo e microcosmo nella visione ecologica della profetessa del Reno di M ARCO V ANNINI L a monaca benedettina tedesca Ilde- garda di Bingen (1098-1179) è uno dei personaggi più significativi del- la storia medievale. Ebbe infatti un ruolo importante nella vita non so- lo religiosa, ma anche politica del suo tempo, in rapporto con vescovi e Papi, con san Ber- nardo di Chiaravalle, con l’imperatore Federi- co I Barbarossa, prendendo parte attiva nelle dispute tra Chiesa e impero, come pure nella lotta all’eresia catara. Temperamento mistico, visionario, fino a meritarsi l’appellativo di profetessa del Reno, fu dotata di una cultura enciclopedica, che an- dava dalla teologia alla musica, dalla botanica all’anatomia e alla fisiologia, fino alla cura del corpo e all’alimentazione, tanto che oggi la sua riscoperta da parte del grande pubblico si deve, spesso, proprio a questa sua competen- za, che con termine attuale definiremmo “nu- trizionista”. Non si deve sorridere: c’è una logica in ciò. Infatti in Ildegarda l’attenzione all’essere uma- no — maschio e femmina, anche nella sua di- mensione corporea, inclusa la sessualità e la ri- produzione — deriva da una profonda rifles- sione filosofica e religiosa che affonda le sue radici nella cultura antica, ma che in lei assu- me accenti nuovi e originali. Il punto di partenza è quello classico: tutto è uno, questo cosmo è divino. Una concezio- ne, questa, che rafforza, per così dire, l’idea biblico-cristiana per la quale il mondo è buo- no in quanto creato da Dio. Il cristianesimo infatti tiene ben distinto Dio dal mondo e ha sempre visto nel panteismo un nemico morta- le, tanto da difendere a spada tratta quella creazione che stabilisce la differenza ontologi- ca tra Creatore e creatura. Si suole dire, anzi, che il cristianesimo ha, rispetto al paganesimo, desacralizzato la natu- ra: quei boschi, quelle acque, quelle montagne che venivano pensate dagli antichi come abita- ti da divinità e divinità esse stesse perdono, infatti, ogni carattere sacro. Così ha fine la contemplazione religiosa e si prepara quella osservazione neutrale da cui scaturirà la mo- derna scienza della natura. Nello stesso tempo però la natura stessa, privata di ogni intrinse- co significato religioso, diventa prevalente- mente oggetto di utilizzazione per l’uomo, considerato centro della creazione e destinato al dominio sul mondo inanimato. Non mera- viglia perciò che anche la contemporanea co- scienza ecologica pensi al rispetto dell’ambien- te per un motivo essenzialmente utilitaristico, ovvero perché lo sfruttamento indiscriminato rischia di compromettere la vita stessa dell’uo- mo su questo pianeta. Per comprendere la differenza tra questo modo di pensare e quello della cultura antica si pensi alla differenza che c’è tra non sporca- re un corso d’acqua perché così si inquinereb- be ciò che dobbiamo bere, e non sporcarlo perché così si commetterebbe un peccato, of- fendendo la sacralità del cosmo. La parola stessa “ambiente” lo testimonia: essa significa infatti, etimologicamente, ciò che ci circonda, come se, appunto, l’uomo fosse il centro, cui tutto ruota intorno e cui tutto deve servire. Perciò non meraviglia neppure il sostanziale fallimento dell’ecologia contemporanea: essen- do un’ecologia su base economica, un’ecolo- gia-economia, nel conflitto degli utili c’è sem- pre un utile economico più forte, più imme- diato, che ha la prevalenza sul “rispetto dell’ambiente”. Ildegarda trae la consapevolezza dell’unità del tutto dalla sua ispirazione mistica, dalle sue fonti tardo-antiche e alto-medievali, come pure — probabilmente — dall’eredità pagana, allora ancora viva nel mondo germanico, par- ticolarmente in quella conoscenza de occultis operationibus naturae che permaneva in quell’ambito marginale, prevalentemente fem- minile, che sarà poi oggetto della caccia alle streghe. Nel Libro delle opere divine , ad esempio, Il- degarda descrive l’universo in forma di uovo: il cosmo è uno come l’uovo, che racchiude in sé i quattro elementi: il guscio è simile all’ele- gio, appunto, lumen de lumine , luce emanata dalla fonte della luce, distinta ma non separa- ta da essa. Il cosmo, dunque, come qualcosa che ha in sé la luce divina, dalla quale è costi- tuito e che perciò è degno non solo di essere rispettato, ma anche profondamente amato co- me teofania divina. Questa esperienza non è affatto isolata nella storia della spiritualità. Essa interviene ogni volta che l’evangelico distacco dall’amore di sé fa uscire dalla prigione dell’ego: allora ci si sente in profonda unità con il cosmo, percepi- to appunto come un tutto. Questa esperienza implica anche il superamento di quel duali- smo mente-corpo o spirito-natura che tanto ha afflitto e affligge la cultura occidentale: all’uo- mo distaccato la natura appare, infatti, come lo spirito visibile e lo spirito come la natura invisibile. Tra le molte possibili testimonianze, voglia- mo ricordare quella di un altro monaco bene- dettino, nostro contemporaneo, Henri Le Saux, che nel suo Diario nota come la dualità primordiale da superare sia quella tra noi stes- si e il resto del cosmo, e non quella tra noi e Dio. Infatti, finché vi saranno “altri” fuori di noi, Dio e il mondo vi saranno confusi, anche se possono essere distinti e definiti in seconda battuta. Finché il mondo resta altro, Dio non potrà mai esser percepito all’interno di noi stessi. Occorre perciò — scrive — innanzitutto sop- primere questo “centro”, che chiamo “me stes- so” e attorno al quale traccio cerchi concentri- ci che sono la mia mente, il mio corpo, il mondo concepito essenzialmente in relazione a me e infine Dio, concepito anch’esso, ahimé, in relazione a me. È dal distacco da se stessa che la monaca Ildegarda ricava il senso dell’unità e della di- vinità del cosmo, con il quale l’essere umano è profondamente, mirabilmente unito, tanto da costituire esso stesso un cosmo, e un tutto. Se- condo un’etimologia errata ma significativa, per i medievali homo , essere umano, era infatti legato a omnis , tutto, e perciò non meraviglia che per Ildegarda le dimensioni del corpo umano e le loro proporzioni reciproche costi- tuiscano la misura dell’universo, per cui la mi- sura della statura e delle braccia aperte con- sentono di inscrivere la figura umana nel cer- chio, secondo quella rappresentazione che ispirerà le versioni rinascimentali, prima fra le quali quella di Leonardo da Vinci. Uomo microcosmo, dunque, in profonda corrispondenza con il macrocosmo: non ci si stupisca di trovare in una monaca del lontano medioevo le radici di quanto viene spesso pre- sentato come nuovo, laico, moderno. di S ILVINA P ÉREZ I l diritto a far nascere i figli in un luo- go dove possano crescere. C’è una parte di umanità ad esempio che vive nel bacino del fiume Matanza, in Ar- gentina, all’ottavo posto tra i dieci luoghi più inquinati del mondo. Nello spazio di pochi chilometri si concentrano infatti una molteplicità di strutture che inquinano l’am- biente rendendo l’atmosfera carica di vele- ni. Una striscia lunga sessanta chilometri do- ve numerose fabbriche manifatturiere, so- prattutto chimiche, hanno riversato per anni i loro materiali di scarico. Zone ritenute ina- datte alla presenza umana eppure densamen- te popolate. Lo Stato negli ultimi anni ha stanziato molti milioni destinati a interventi di riquali- ficazione e risanamento del corso d’acqua, ma i primi risultati si vedranno tra vent’anni. L’enciclica verde di Papa Francesco, in fase di preparazione, è proprio questo: un docu- mento composto da pagine di vita vera, lega- te con un lungo filo d’acciaio dalle storie dei profughi dalla dignità sociale negata, vittime dello sfruttamento delle risorse e della «cul- tura dello scarto». Papa Bergoglio infatti inquadra il suo am- bientalismo in queste situazioni, cioè senza mai disgiungerlo dalla condizione dei poveri della terra, i primi a subirne le conseguenze. E si sa, il peso della povertà cade in misura maggiore sulle donne rispetto agli uomini. Proprio per questo, grazie alla loro concreta conoscenza del territorio e delle risorse natu- rali, le donne sono divenute protagoniste di primo piano nella lotta per la tutela ambien- tale. Parlare di salvaguardia del creato per Francesco vuol dire parlare di globalizzazio- ne, di sviluppo solidale e di donne. L’idea dello “scarto” che si ritrova spesso nei discorsi del Papa vale per tutto. A comin- ciare dall’uomo, perché viviamo in una cultu- ra che scarta gli uomini che non servono. Francesco parte dalla valorizzazione e dalla centralità dell’uomo cui è stato affidato il creato e che ha il compito di farlo fruttificare e, al tempo stesso, di trasmetterlo il più pos- sibile integro ai suoi figli. Bergoglio ha chie- sto molti pareri e contributi, ha lavorato per lunghi mesi alternando e sovrapponendo — tra scrivania e altare — giornali, testi segnalati da vecchi collaboratori e letture liturgiche. Ma non solo. Il parere delle donne nella fase di proget- tazione di questo documento è stato fonda- mentale. In particolare quello di Clelia Luro, scomparsa alla fine del 2013 che di solito chiamava tutte le domeniche alle 15. Da grande esperta della storia e delle culture an- dine, Clelia raccontava con grande passione a Bergoglio di quanto fosse diffuso il rispetto per l’ambiente, ancora oggi, nelle popolazio- ni indigeni locali: «L’essere umano non è pa- drone della terra, non la possiede, ma è inve- ce parte di essa: noi siamo la terra, ci nutria- mo di essa. Facciamo parte della madre terra; come possiamo arrogarci il diritto di posse- derla?». Come possiamo pretendere di posse- dere lo spazio-tempo? Chi è in grado di im- padronirsene? È impossibile. In una tranquilla domenica di settembre, nel 2013, Clelia Luro, seduta nell’androne della sua casa coloniale — che miracolosa- mente ancora resisteva all’assedio delle palaz- zine nel cuore di Buenos Aires — tra i suoi quadri, i mobili di bambù e l’artigianato in- digeno in terracotta, ricevette la telefonata del Papa. Emozionata, Clelia disse a France- sco che c’era lì, insieme a lei, Leonardo Boff che, proprio in quei giorni, aveva finito di scrivere la sua ultima opera, Dignitas terrae , dove afferma che cos’è la militanza verde: «Non si tratta semplicemente di difendere l’ambiente in quanto tale, ma di elaborare il paradigma di un modo nuovo con cui l’esse- re umano può e deve entrare in relazione con la natura». Boff sostiene che «le maggiori vittime dell’inquinamento sono i poveri, costretti a vivere nelle favelas senza acqua e senza igie- ne ma oggi tutta l’umanità, e non solo i po- veri, è oppressa. Tutti siamo vittime di uno sviluppo disumano. Le nostre attività econo- miche stanno contribuendo alla perdita di biodiversità e degli habitat: questo mina i si- stemi naturali dai quali dipendiamo per il ci- bo che mangiamo, l’aria che respiriamo e il clima stabile di cui abbiamo bisogno». Si muove così velocemente, Papa Bergo- glio, da riuscire a sentire in modo informale tante persone. Tra queste, Pino Solanas, regi- sta cinematografico e politico argentino, il quale sostiene che sarà un’enciclica che non indulge a un certo tipo di ideologia verde, ma si tratterà di un documento che chiamare green o ecologista è un po’ riduttivo. Secon- do fonti Onu — sostiene Solanas — attual- mente in tutta l’America latina ci sono anco- ra centotrenta milioni di persone che non hanno accesso all’acqua potabile. Parliamo di un continente che può contare su riserve idri- che imponenti: il Rio delle Amazzoni, il Pa- raná e l’Orinoco sono tra i fiumi più impor- tanti al mondo, e il solo Brasile possiede la quinta parte di tutta l’acqua del pianeta. Il lago Titicaca, che si estende tra il Perú e la Bolivia, e quello di Maracaibo, in Venezuela, soddisfano da soli il fabbisogno di acqua di milioni di persone. In Brasile la situazione è più critica. È il Paese che possiede la più grande riserva di acqua dolce al mondo ma si trova a dovere affrontare addirittura il ri- schio di razionamento nelle grandi città per- ché l’acqua, sempre più sottratta al consumo domestico, viene preferibilmente dirottata verso l’utilizzo agro-industriale, sotto la ge- stione delle imprese transnazionali. È questo uno dei più grandi paradossi dell’America latina: una terra ricchissima di fonti idriche, i cui abitanti non sono però in grado di disporre della loro acqua in modo adeguato e “democratico”. Succede in Ameri- ca latina, ed è in America latina che il cardi- Perché, prosegue Fernández, «la vocazione del custodire non riguarda solamente noi cri- stiani ma una dimensione che è semplice- mente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato. Sono certo che l’enciclica verde di Francesco pro- porrà soltanto dottrina sicura, non ipotesi». Il cardinale Peter Turkson e gli esperti del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace hanno raccolto materiale proveniente da varie parti del mondo, sviluppato varie bozze che Papa Francesco ha visto e rivisto, invian- do la terza stesura alla Congregazione per la dottrina della fede, alla Segreteria di Stato e al teologo della Casa pontificia. Il tempo stringe. Papa Bergoglio vorrebbe che la pub- blicazione dell’enciclica avvenisse prima dell’avvio della Conferenza sul clima di Pari- gi: «Quella di Lima mi ha un po’ deluso, speriamo che a Parigi siano un po’ più co- raggiosi» ha detto il Pontefice durante il suo viaggio in Sri Lanka e Filippine, a proposito della precedente conferenza internazionale sul tema. Chi non ha mai udito la voce del Río de la Plata non capirà mai la tristezza di Buenos Aires, la tristezza del fango che reclama un’anima diceva Adán, personaggio letterario dello scrittore argentino Leopoldo Marechal. Oggi l’anima del fiume e del fango presenta- no il conto e ci ricordano che le risorse della natura non sono inesauribili. Il romanzo Next «Questo romanzo è opera di fantasia, tranne per le parti che non lo sono» scrive lo statunitense Michael Crichton in apertura di Next (2006): ambientato nel presente, il libro descrive un mondo dominato dall’ingegneria e dalla ricerca genetica in cui governi e privati fanno a gara — tra scienza e diritto — per accaparrarsi il controllo sulla natura e sui cittadini, sui loro corpi e le loro vite. In teoria, in nome del progresso; in pratica, per trarne il maggior vantaggio possibile. Perché — racconta Crichton, con lo stile avvincente che lo caratterizza, prendendo però spunto da fatti di cronaca e casi giudiziari realmente avvenuti — una volta messe a punto, le scoperte scientifiche scivolano via verso orizzonti impensati, ben al di là di ciò che il singolo esperto avesse o non avesse voluto e preveduto. In questo circolo perverso che riduce il corpo umano a un mero insieme di geni e tessuti da sfruttare e vendere, le vittime più vittime sono però, ancora una volta, le donne. Figlie e madri, sorelle e scienziate. ( @GiuliGaleotti ) Il film Noah Non si cerchino somiglianze o contraddizioni con il testo biblico nel film Noah (2014) di Darren Aronofsky; sarebbe un esercizio inutile. Meglio abbandonarsi alla storia e alle immagini di un colossal che fra tanti errori, effetti speciali, ingenuità, induce a qualche riflessione importante. Dio incarica Noè (Russell Crowe) di costruire un’arca e di salvare gli animali perché l’uomo, divenuto cattivo, sta distruggendo la terra e la natura. Su quell’arca si salverà la famiglia di Noè, ma anch’essa si estinguerà perché, come il resto del genere umano, è incapace di apprezzare il dono del Creatore e non è degna di abitare sulla terra. Noè porta al termine il compito che gli è affidato da Dio — salva gli animali, la natura e il mondo — e si accinge ad attendere l’estinzione della sua famiglia. Il genere umano sarebbe finito, ma la nuora, la moglie di Sem (Emma Watson), dà alla luce inaspettatamente due bambine che possono essere la salvezza. Di fronte a quella maternità che è disposta a tutto per salvare se stessa, la mano di Noè che vorrebbe uccidere le due bimbe si ferma. L’umanità è salva. L’uomo accetta il nuovo messaggio che Dio manda attraverso la donna. Una riconciliazione con la natura è possibile. ( @ritannaarmeni ) I L C ORANO RILETTO DALLE DONNE «Il vero problema è l’ignoranza»: punta dritta al bersaglio Shahrzad Houshmand Zadeh, teologa musulmana docente di studi islamici alla Gregoriana di Roma, intervistata da Chiara Zappa sul numero di marzo di «Mondo e missione». Nata e cresciuta in Iran, madre di tre figli, da sempre impegnata nel dialogo islamo- cristiano, Shahrzad Houshmand — con altre teologhe musulmane — porta avanti un’opera di interpretazione e attualizzazione dei testi sacri. «A livello globale — spiega — sono molti i segnali che dimostrano quanto le donne dell’islam possano contribuire alla crescita e allo sviluppo umano della società. Pensiamo solo alla premiazione con il Nobel per la pace, negli ultimi anni, di ben tre attiviste musulmane: l’iraniana Shirin Ebadi, la yemenita Tawakkol Karman e la pachistana Malala Yousafzai. Donne provenienti da contesti geografici e culturali diversissimi, eppure accomunate dall’impegno per rinnovare le proprie società. Segno che lo Spirito ci porta ad agire per il bene comune. Mi auguro — conclude — che il cambiamento possa partire dalle donne». K AVITHA DALLO TSUNAMI AI BIMBI IN DIFFICOLTÀ Il 26 dicembre 2004, mentre la madre era in spiaggia a vendere pesce e Kavitha era a casa nel villaggio di Samiyarpettai con le sorelle minori, la grande onda generata da uno dei più forti terremoti della storia si abbatté sulle coste del Tamil Nadu, regione poverissima del sud dell’India. Fu proprio in quelle ore di terrore — si legge sul sito www.cesvi.org — che Kavitha incontrò gli operatori di Ekta, associazione locale partner del Cesvi, acronimo che sta per cooperazione e sviluppo. «A loro — racconta la ragazza oggi trentenne — devo i miei successi perché mi hanno dato la possibilità di studiare e affinare le mie capacità». Kavitha è ora la responsabile di una delle Case del sorriso per minori in difficoltà nel Tamil Nadu: quando è stata assunta, aveva appena ottenuto il diploma in biotecnologie, mentre ora, concluso un corso di laurea in inglese a distanza, frequenta un master di secondo livello. La ragazza — che ha imparato a guidare, usare il computer, cucire e gestire le relazioni pubbliche — è riuscita a ripagare i debiti della madre e a far sposare le sorelle. Nel Tamil Nadu, moltissime famiglie povere lavorano in condizioni di semischiavitù nei mulini di riso o nelle fabbriche di mattoni, vivendo senza luce, servizi sanitari e la possibilità di entrare in contatto con l’esterno. I bimbi, che non vanno a scuola, accompagnano i genitori al lavoro, mentre i più piccoli rimangono incustoditi. Nelle Case del Sorriso bambini e ragazzi di famiglie disagiate trovano un punto di riferimento importante fatto di cure, sostegno psicosociale, possibilità di studiare e di ricevere assistenza legale. A T UNISI IL DIALOGO PARTE DALLE DONNE È Giada Frana a raccontare su www.santalessandro.org la storia delle “suore bianche” a Tunisi, chiamate così a causa del loro abbigliamento, adattato a quello della popolazione dell’Africa del Nord. Ufficialmente sono le Suore missionarie di Nostra Signora d’Africa, congregazione fondata nel 1869 dal cardinale Charles Lavigerie: il presule aveva prima creato ad Algeri la Società dei Missionari d’Africa, ma ben presto comprese che, per entrare in contatto con le famiglie, bisognava puntare sulle donne. A raccontare la storia della comunità di Tunisi è la religiosa belga Chantal: «La nostra missione è stare al fianco delle donne africane, siano esse cristiane o musulmane, per formarle in modo che possano esercitare il loro ruolo nella famiglia e nella società. L’educazione parte dalla donna». Inoltre, specie dopo il concilio Vaticano II , queste suore si dedicano al dialogo interreligioso, cercando il dialogo tra la cultura arabo- musulmana e quella occidentale. «Organizziamo conferenze per parlare di attualità e una formazione permanente in islamologia, missiologia, dialogo delle culture e delle religioni rivolta sia al personale religioso sia a tutti coloro che desiderano conoscere meglio la religione musulmana e approfondire la religione cristiana. Altre attività a cui partecipiamo riguardano l’accompagnamento delle donne dei cosiddetti matrimoni misti, che noi chiamiamo di disparità religiosa, sostenendole nel loro percorso di fede in un Paese a maggioranza musulmano». L A FAMIGLIA SECONDO D OLCE E G ABBANA È partito nel 2013 il progetto #Dgfamily che chiede ai partecipanti di mandare una fotografia della propria famiglia: nemmeno due anni dopo, sono più di quattromila gli scatti giunti, da dieci Paesi, agli stilisti italiani Domenico Dolce e Stefano Gabbana. Autori di abiti veramente notevoli — ma proibitivi per i comuni mortali — i due, contrari all’utero in affitto e fautori della “famiglia tradizionale”, hanno appena presentato una collezione invernale sorprendente. Un’autentica ode alla maternità, in un tripudio di colori, forme morbide, scritte affettuose dedicate alle mamme e disegni di bambini. Maternità di stoffa e maternità di carne: sulla passerella milanese, davanti a una scenografia con madri e figli di generazioni diverse, molte modelle sorridenti e raggianti hanno sfilato con i loro figli in braccio o per mano. La moda e la pubblicità non esitano il più delle volte a strizzare l’occhio, per interesse, al politicamente corretto. Dolce e Gabbana invece lo hanno strizzato alle mamme. Un messaggio solare, confortante, ottimista. Anche per chi quegli abiti non li potrà mai indossare. Il saggio The Green Belt Movement Era il 1977 quando la biologa keniota Wangari Maathai (1940-2011), la prima donna centroafricana laureata (nel 1966 presso l’università di Pittsburgh) lanciò la sua sfida: per combattere l’erosione selvaggia che stava minando la sussistenza del suo Paese, e dell’intero continente africano, Maathai fondò un’organizzazione non governativa composta da donne provenienti dalle aree rurali. La loro arma, la vanga: le aderenti, infatti, iniziarono a piantare alberi indigeni, alberi da frutto e piccoli arbusti. Da allora in Kenia si contano più di 51 milioni di alberi piantati e curati dal Green Belt Movement. Tra i tanti libri firmati da Maathai, la prima donna africana a vincere il Premio Nobel per la pace, ricordiamo The Green Belt Movement: Sharing the Approach and the Experience (uscito nel 2003, l’anno prima del riconoscimento ricevuto a Oslo). In esso l’attivista descrive un percorso che intende unire ecologia, democrazia e pace in nome del rispetto per il creato e per le creature. Specie per quelle più deboli e minacciate. ( @GiuliGaleotti ) L’immagine racchiude in sé i quattro elementi Il guscio è freddo e secco come la terra il bianco è simile all’elemento acqua la parte gialla e oleosa al fuoco la parte acquosa all’aria Per i medievali secondo un’etimologia sbagliata ma significativa la radice della parola «homo» era legata a «omnis», tutto «Ildegarda e le stagioni», Codex Latinus 1942, c. 38r (Lucca, Biblioteca statale) La voce del fango Viaggio fra i testimoni di uno sviluppo disumano Il tempo stringe Papa Francesco vorrebbe che la pubblicazione dell’enciclica verde avvenisse prima dell’avvio della Conferenza sul clima di Parigi «Facciamo parte della madre terra come possiamo arrogarci il diritto di possederla?» si chiedeva Clelia Luro amica di Bergoglio e grande esperta delle culture andine nale Bergoglio ha cominciato a riem- pire questo diario di bordo con l’esperienza nei luoghi dove le «logi- che di mercato non risparmiano niente e nessuno: dalle creature agli esseri umani». Un altro contributo fondamentale è quello di monsignor Víctor Ma- nuel Fernández, il rettore della Pon- tificia Università Cattolica Argenti- na, uno degli ecclesiastici argentini più vicini a Bergoglio. Ha lavorato nel Consiglio episcopale latinoameri- cano nel campo della riflessione teo- logica pastorale e ha collaborato con Bergo- glio nella stesura del testo finale di Apare- cida. Per Fernández «tutti gli esseri umani sono chiamati a un’assunzione di responsabilità nei confronti dell’ambiente in cui vivono, la riflessione sull’opera di Dio e sulle meraviglie create dall’uomo sono strettamente intrecciate tra loro e se la fede nel Creatore è parte es- senziale del credo cristiano, allora è compito della Chiesa manifestare la propria responsa- bilità nella salvaguardia del creato, difenden- do la Terra, l’aria e l’acqua, e anche l’uomo contro la distruzione di se stesso». mento terra, freddo e secco; il bianco è simile all’elemento acqua; la parte gialla e oleosa al fuoco; la parte acquosa al soffio o aria. Que- sta immagine risale addirittura alla tradizione orfico-pitagorica, pervenuta al mondo medie- vale attraverso la cultura ellenistica, l’ermeti- smo e gli scritti alchemici, ma non dobbiamo supporre che la monaca benedettina conosces- se tutta questa letteratura. Basta ricordare la descrizione della mirabile visione cosmica che Gregorio Magno attribui- sce a san Benedetto: «Poiché l’ora esigeva il riposo, il venerabile Benedetto prese dimora nella parte superiore della torre e il diacono Servando nella parte inferiore (…). Poiché l’uomo del Signore, Benedetto, aveva anticipa- to il tempo della preghiera, era in piedi per le veglie notturne quando i fratelli riposavano ancora. Mentre era affacciato alla finestra e pregava il Signore onnipotente, improvvisa- mente, nel cuore della notte, vide una luce diffusa dall’alto fugare tutte le tenebre della notte, una luce che rischiarava con tanto splendore, pur irraggiando nelle tenebre, da vincere la luce del giorno. Una cosa veramen- te mirabile si produsse in questa contempla- zione poiché, come successivamente ha rac- contato egli stesso, il mondo intero, come rac- colto in un unico raggio di sole, fu portato di- nanzi ai suoi occhi». In questa — che giustamente Marta Cristia- ni definisce «ultima folgorante sintesi di pla- tonismo antico e cristianesimo» — l’intero co- smo appare raccolto in un unico raggio: rag- A E STHER I BANGA IL PREMIO N IWANO PER LA PACE È andato alla nigeriana Esther Abimiku Ibanga, pastora protestante fondatrice nel 2010 del Women Without Walls Initiative (Wowwi), l’ultima edizione del Premio Niwano, il cui scopo è quello di «incoraggiare individui e organizzazioni che abbiano contribuito in maniera significativa alla cooperazione interreligiosa, promuovendo in tal modo la causa della pace nel mondo». La Wowwi — istituita con l’intento di porre un freno agli assassini di donne e bambini nello Stato nigeriano di Plateau — è presto diventata una forte coalizione composta da donne che, al di là delle divisioni etniche e religiose, collaborano insieme. Il risultato è quasi storico: si tratta, infatti, della prima organizzazione in cui il nucleo dirigente vede la partecipazione di esponenti di ogni gruppo tribale, incluse leader cristiane e musulmane. Esther Abimiku Ibanga mira in alto: sottolineando il ruolo femminile per costruire la pace — tema particolarmente urgente nelle regioni della Nigeria in cui sono attivi i terroristi di Boko Haram — la fondatrice ha dato vita a iniziative concrete. Volte, ad esempio, a incrementare le competenze femminili legate alla micro finanza e, attraverso i «dialoghi comunitari con la polizia», diminuire le distanze e aumentare la fiducia tra le comunità e le forze dell’ordine per sconfiggere il terrorismo. Agosto 1996: la fotografa italiana Sebastiana Papa (1932-2002) coglie le monache del monastero greco ortodosso Panagia Kalivyani, nell’isola di Creta, intente a vendemmiare. Come le altre famiglie della zona, le religiose fanno asciugare al sole l’uva per preparare l’uva sultanina. Una specialità rinomata della zona Barbara Sukova interpreta Ildegarda nel film di Margarethe von Trotta (2009)

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