donne chiesa mondo - n. 33 - marzo 2015

women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women L’OSSERVATORE ROMANO marzo 2015 numero 33 Inserto mensile a cura di R ITANNA A RMENI e L UCETTA S CARAFFIA , in redazione G IULIA G ALEOTTI www.osservatoreromano.va - per abbonamenti: ufficiodiffusione@ossrom.va donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo Risposta alle urgenze e ai pericoli del suo tempo Il mondo è in fiamme di L UCETTA S CARAFFIA L a forte personalità di Teresa emer- geva con troppa libertà nella Chie- sa della Controriforma: già le pri- me edizioni delle sue opere furono purgate dei passi ritenuti troppo arditi per una donna — e non erano pochi — in modo da garantirle una perfetta ortodos- sia in vista della canonizzazione. Che fu trionfale: celebrata nel 1622 — in compagnia dei grandi santi della Controriforma, il con- terraneo Ignazio di Loyola e Filippo Neri — dopo che era trascorso un lasso di tempo in- solitamente breve dalla sua morte, avvenuta nel 1582. Una canonizzazione esemplare per- ché per la prima volta la santità veniva misu- rata in base all’esercizio eroico delle virtù, e non più solo sulle prove di capacità miraco- losa. Anche in questo Teresa fu una pioniera, la prima donna santificata per le sue virtù. Teresa è stata la prima anche nell’unica al- tra forma di glorificazione che la Chiesa pre- vede per le donne: è stata infatti la prima donna dichiarata, nel 1970 da Paolo VI , dot- tore della Chiesa. Bisogna ammettere che la sua personalità è stata così forte e così ricca da aprire sempre vie nuove e da imporsi a tutti, nonostante si fosse tentato, in più mo- di, di soffocarla. Chi era veramente Teresa de Jesús? La ri- sposta a questa domanda ha una storia lunga e complessa: ha contribuito lei stessa a occul- tare parti della sua vita, per prudenza, dal momento che il suo operato è stato sempre guardato con sospetto dall’Inquisizione. Ha sempre detto «scrivo per obbedienza» facen- done un’efficace formula di protezione esibi- ta, quasi con ironia, all’inizio di ogni scritto. Ma naturalmente i custodi dell’ortodossia, quanti pensavano che una donna può scrive- re solo se le viene dato il permesso da un rappresentante del clero, la presero sul serio. E questa divenne una prassi abituale, nei se- coli successivi, e fu seguita dai confessori di tutte le monache desiderose di narrare le pro- prie esperienze mistiche. Potevano scrivere solo se richieste dal confessore, per obbe- dienza. L’immagine di Teresa che emerge dalla ca- nonizzazione e dai suoi scritti opportuna- mente “purgati” è quindi quella di una mo- naca obbediente, assolutamente aderente a quella cultura controriformistica chiusa e ag- gressiva verso l’esterno che aveva prevalso: la santa quindi viene raffigurata come una ne- mica acerrima dei luterani — dei quali non sapeva quasi niente — e di qualsiasi compor- tamento che non fosse stabilito e accettato dalla Chiesa. Ma la descrizione che ne ha fatto una car- melitana che l’aveva conosciuta personalmen- te, María de San José, ci fa cogliere la forza della sua personalità e ci fa capire che la sua libertà spirituale era visibile nel volto: «La santa era di media statura, più grande che piccola; in gioventù ebbe fama di essere mol- to bella e dimostrava di esserlo stata fino in vecchiaia; il suo volto non era affatto comu- ne, ma straordinario, e non poteva dirsi né tondo né affilato». Ma per alcuni secoli questa immagine fol- gorante — questa forte personalità che aveva affermato «non dirò cose che non so per esperienza», staccandosi così da tutta la lette- ratura devozionale precedente — è stata ap- pannata, quasi spenta. Tanto che si può dichiarare devoto della santa un personaggio che con la sua vera personalità certo non aveva molto a che fare: Francisco Franco, che nel 1939 riceve una sua reliquia — il braccio — dalla quale non si se- para più, sino alla fine. In Teresa il caudillo vede la santa de la raza , cioè la discendente di puro sangue spagnolo, colei che in un mo- do inflessibile difende la Chiesa più tradizio- nale, e ne fa un uso politico a sostegno della sua ideologia. In sostanza, Franco costituisce l’apoteosi di un processo di normalizzazione della santa iniziato in occasione della cano- nizzazione. Ma la situazione riceve una scossa definiti- va nel 1946, quando il diligente erudito Nar- ciso Alonso Cortés trova nell’archivio di Val- ladolid le carte che provano, fuori di ogni dubbio, l’origine ebraica della famiglia di Te- resa. Emergono così il processo al nonno di Teresa, accusato di essere un marrano, la sua condanna a sfilare con il sanbenito per la cit- tà di Toledo e il successivo trasferimento ad Ávila, città meno importante, ma dove era meno conosciuto questo disonore, a cui se- gue l’acquisto di un certificato di limpieza de sangre per far dimenticare le origini e riscat- tare l’onore della famiglia. Da questo mo- mento anche la figura di Teresa viene guar- data in modo diverso e torna a illuminarsi di luce propria. E si comincia a leggere con altri occhi la risposta che la santa diede al supe- riore dei carmelitani che la interrogava sui suoi nobili antenati: Teresa avrebbe detto che «le pesava di più avere commesso un peccato veniale che se fosse stata discendente dei più vili e bassi villani e conversos del mondo». Dopo questa scoperta — nonostante qual- che resistenza — la biografia di Teresa viene rivista e riscritta, e si trova finalmente il po- sto per la sua figura di scrittrice accanto a quella della monaca mistica. Perché Teresa ha sempre accettato censure e controlli senza smettere di scrivere, di prendere appunti, di provarsi in generi letterari minori che si sot- traevano a quei controlli. Non smise mai di ricorrere alla parola scritta, anche attraverso le lettere, per affrontare i problemi dell’ordi- ne, per denunciare ingiustizie, per confidare stati d’animo. Comincia a essere messo in luce quello che costituirà un nuovo aspetto di interesse degli studiosi: il “femminismo” di Teresa, il suo es- sere uno dei primi autorevoli esempi di “pa- rola di donna”. Teresa allora — si scopre — non solo aveva affrontato con ironia e consa- pevolezza la sua condizione di donna, ma aveva anche anticipato quello che sarebbe stato poi uno dei cavalli di battaglia delle femministe: la presenza delle donne nel Nuo- vo Testamento. Di fronte all’ennesima replica dell’unica frase di condanna, quella di san Paolo che proibisce alle donne di parlare in chiesa e le riduce alla più stretta clausura, lei replica scrivendo: «Vagli a dire che non stia- no solo a una parte della Scrittura, che guar- dino alle altre, e che si possano per caso per- mettere di legarmi le mani». L’attenzione di femministe laiche era stata accesa su di lei già nel 1943, da una biografia della scrittrice inglese Vita Sackville West, ben lontana da uno scritto agiografico, che conobbe un discreto successo. In lei le fem- ministe ritrovavano un modello di donna for- te e autorevole, che sa combattere le gerar- chie maschili con coraggio e con risultati po- sitivi. La storia di Teresa, quindi, si capovolge: da modello di obbedienza diventa modello di affermazione della propria volontà, del proprio progetto, in una società come quella contemporanea, in cui le donne cercavano modelli autorevoli e positivi nel passato. Uno dei testi più importanti fra le opere di questo filone è senza dubbio il libro di Ali- son Weber Teresa of Avila and the Rethoric of Feminility , pubblicato nel 1996, che investiga tutti i modi che la santa ha usato per difen- dersi dalle persecuzioni subite in quanto donna che scrive di teologia. Ma sicuramente l’autrice femminista che più ha contribuito a una lettura contempora- nea di Teresa è Julia Kristeva, semiologa e psicanalista, che le dedica un lunghissimo ro- manzo-saggio, Thérèse mon amour , uscito nel 2008. Il libro racconta un rapporto vivo, una sorta di corpo a corpo fra le due donne, la scrittrice mistica e l’autrice, un’appassionata credente, l’altra atea. Ma il fascino di Teresa sta, anche per la famosa intellettuale, nella sua fede: «L’infinito è in lei e in ogni cosa» scrive, considerandola una terapeuta delle anime, capace di connettere mente e corpo, cultura e natura, materia e rappresentazione. Kristeva riconosce in Teresa «una premoni- zione di Freud» in quanto esperta «dello spazio interiore del sentimento amoroso». Ma queste recenti letture, che liberano sen- za dubbio la santa dal modello costrittivo in cui era stata rinchiusa, dimenticano spesso che si tratta di una donna appassionatamente legata a Dio, che muore dicendo «alla fine, Signore, sono figlia della Chiesa». E certe volte l’impressione è quella di pas- sare da un eccesso a un altro. A quando la vera Teresa? Il romanzo Figura universale «Le grandi difficoltà sono il sale della vita; occorre lottare per difendere ciò in cui si crede»: così lo scrittore spagnolo Jesús Sánchez Adalid (giudice diventato sacerdote) presenta il suo ultimo romanzo Y de repente, Teresa (Ediciones B, 2014). Al centro l’Inquisizione spagnola del XVI secolo, «epoca difficile — spiega — in cui nessuno era libero da sospetti. Teresa soffrì le pene proprie del suo tempo e, con l’aiuto di Dio, andò avanti lasciandoci un’opera imprescindibile. Sull’Inquisizione spagnola è stato scritto molto: quasi sempre, però, con fantasia, avvolgendola in luoghi comuni che ritornano, malgrado lo scarso fondamento. Nel romanzo, cerco di presentare un racconto reale e credibile, nel quale, in modo appassionante, si scoprono a poco a poco gli arcani, i metodi, le leggi interne e i procedimenti inquisitoriali, tutto all’interno del celebre segreto a cui erano vincolati gli inquisitori. In mezzo a tutto ciò una donna si sforza di unire il presente e l’eterno; di separare la verità dall’apparenza e di vivere una fede autentica e una spiritualità pura: Teresa, la figura più grande e universale della Spagna del XVI secolo, che nonostante la sua fine intuizione, la sua magistrale scrittura e la sua comprovata virtù, fu tormentata dagli inquisitori. Fatto occultato nei secoli seguenti, che oggi deve essere portato alla luce». (@ GiuliGaleotti ) Il film Ritratto sobrio Non sono molti i film su santa Teresa d’Ávila. E probabilmente il migliore di cui è rimasta traccia, anche se difficile da reperire, è lo spagnolo Teresa de Jesús , diretto da Juan de Orduña nel 1961. Piccola produzione, rappresenta un veloce e utile compendio sulla vita della santa. Anche se non si può dire che renda interamente giustizia al suo spessore umano e religioso. La regia infatti non ha i mezzi per rappresentare in modo adeguato le sue illuminazioni spirituali, o i tormenti interiori quando viene accusata di essere preda di visioni demoniache dai suoi detrattori. Rimane, in ogni caso, il ritratto sobrio e meritevolmente poco romanzato di una donna che ha saputo lottare anche sul piano politico per le proprie convinzioni contro un ambiente a dir poco scettico. E se la sceneggiatura non ha la capacità di allargare lo sguardo sul contesto storico della Chiesa dell’epoca, di cui almeno in parte la figura della santa era ovviamente il frutto, riesce però a spiegare comunque bene il suo bisogno di riforma dell’ordine carmelitano grazie a un disegno preciso di ambienti e personaggi, nonché all’ispirata interpretazione di Aurora Bautista. ( emilio ranzato ) D EBORAH S AWYER Nella relazione che ha inaugurato a Terni le celebrazioni per i cinquecento anni della nascita di Teresa, Deborah Sawyer, teologa dell’università di Lancaster, ha collocato il ruolo e le opere della santa di Ávila nel contesto della storia della rivelazione: i personaggi femminili inclusi in questa tradizione sarebbero legati non solo e non tanto dalla comune appartenenza di sesso, ma soprattutto dal modo in cui avrebbero interpretato la rivelazione di Dio. Un’influenza sulla tradizione religiosa occidentale e, dunque, sulla fondazione della cultura occidentale, che si sarebbe esercitata solo al di fuori degli edifici visibili di tempio, sinagoga o chiesa, scaturendo dalla diretta comunicazione con Dio. Ma una comunicazione profetica che non passa per i mediatori dell’ordine convenzionale, se da un lato è soggetta a sospetto da parte delle autorità, dall’altro però ha la grande forza di indirizzare i fedeli verso direzioni più fresche e innovative. È in questa tradizione il cui perno è Maria, in virtù della sua posizione speciale all’interno del ministero di Cristo, che si colloca Teresa, sulla via già tracciata da Chiara, «faro — sostiene Sawyer — nella testimonianza religiosa delle donne». Collocare Teresa in questo contesto significa sviluppare una riflessione sul piano teologico e sull’originale contributo femminile alla fede cristiana: tutte donne che nel corso dei secoli hanno abbracciato la povertà come stile di vita, hanno rivalutato quanti sono privi di mezzi e di potere, hanno riformato (fondando nuovi ordini monastici), con coraggio e determinazione, mai scissi da costante e profonda preghiera. Una spiritualità che non ha potuto essere ignorata dai loro contemporanei, sia principi che Papi. Nonostante i vincoli sociali a cui sono state sottoposte, la loro unione mistica con il divino le ha condotte ben oltre ciò che è raggiungibile tramite i poteri del mondo. L OPPIANO PREMIA F ABIOLA G IANOTTI È andato a Fabiola Gianotti, prossimo direttore generale del Cern di Ginevra, il premio “Renata Borlone, donna in dialogo”, dedicato ai cultori della ricerca scientifica. Giunto quest’anno alla terza edizione, il premio è stato conferito a Loppiano il 15 febbraio alla fisica italiana, che ha tenuto una lectio dal titolo Il Bosone di Higgs e la nostra vita . I L SOLE DI K ABUL Il suo nome, Shamsia, significa sole: ebbene, i raggi di questa giovane ventiseienne, insegnante di scultura presso la facoltà di Belle arti a Kabul, si stanno da qualche tempo riflettendo sui muri della capitale afghana. Shamsia Hassani, infatti, disegna burqa azzurri — come racconta Jessica Cugini su «Combonifem» — che prendono vita grazie a spray, colori acrilici e pennelli, riempiendo scorci della città. Shamsia ha deciso di mostrare l’arte a chi spesso ha potuto vivere circondato da immagini che parlano solo di guerra, e ha scelto di farlo all’aperto affinché i suoi disegni siano accessibili alla gente attraverso «immagini simboliche che riescano a dire quel che a voce sarebbe difficile esprimere in pubblico». Nata in Iran nel 1988, Shamsia è figlia di rifugiati afghani originari di Kandahar, patria dei talebani, dove il suo sogno di dipingere e studiare arte non avrebbe potuto realizzarsi. Ma nel 2005 la famiglia decide di trasferirsi a Kabul, e per la ragazza inizia un’altra storia. Che la porta nel 2009 a venire premiata come uno dei migliori artisti del suo Paese, e poi a esprimersi pubblicamente con l’arte di strada, idea nata dopo aver frequentato un laboratorio con l’artista inglese Waybe “Chu” Edwars, noto per i graffiti tridimensionali. «Il problema vero — racconta la giovane — non è tanto la polizia, che non si occupa di queste cose, ma la mia sicurezza» in un Paese in cui solo il 14 per cento delle donne sa leggere e scrivere, e dove bisogna uscire velate. Non è facile agire indisturbate: a piovere su Shamsia non sono solo insulti, ma spesso anche pietre. Le molestie sono all’ordine del giorno. Ma Shamsia non si scoraggia: se non può intervenire subito, fotografa gli scorci della città scelti e, tornata nel suo studio, davanti al computer, crea disegni digitali e li adorna, oppure stampa direttamente le foto che ha realizzato e poi ci dipinge sopra. A questa alternativa ha dato anche un nome, Dreaming Graffiti , perché dalla foto prima o poi — ne è sicura — il disegno arriverà al muro. «Dipingo — racconta a Cugini — per lo più donne dal burqa azzurro, colore che associo alla libertà e alla serenità: voglio raccontare le loro storie, trovare un modo per salvarle dal buio, per mostrarle in altro modo, per dare visibilità a una realtà di cui non si può parlare. La gente è convinta che il problema principale delle donne afghane sia il burqa. Ma non è così. C’è una mentalità da combattere, che porta il sesso femminile a essere escluso dai canali dell’istruzione, relegato in casa, costretto a una vita già decisa dove la donna può essere solo madre e moglie». Non a caso il suo graffito più famoso raffigura proprio una donna in burqa seduta sui gradini di un’abitazione diroccata: rappresenta l’incertezza femminile odierna. «Si sta chiedendo se riuscirà a salire o meno questa scala simbolica che altro non è che la società o se invece questa scala crollerà sotto i suoi piedi. L’ho dipinta perché le donne in Afghanistan devono stare attente a ogni passo che compiono». D IRITTI E DIGNITÀ PER LE LAVORATRICI IN P AKISTAN Garantire assistenza sanitaria, tutela e sicurezza alle lavoratrici; adottare un codice di condotta che salvaguardi le donne da ingiustizie e soprusi; creare per loro un ambiente di lavoro sicuro, privo di molestie, abusi e intimidazioni; garantire la maternità alle lavoratrici: sono queste le richieste formulate al Governo pakistano dalle associazioni che promuovono nel Paese asiatico i diritti delle donne in occasione della Giornata nazionale della donna, tenutasi il 12 febbraio a Faisalabad. L’evento, a cui hanno partecipato donne di comunità e religioni diverse, è stato organizzato dalla Awam (Association of Women for Awareness and Motivation), in collaborazione con altre ong. Zarfishan Nasir, attivista per i diritti delle donne, ha detto a Fides che la giornata, indetta per ricordare la campagna iniziata da un gruppo di donne che hanno alzato la loro voce contro le politiche e la legislazione imposte dal dittatore Zia-ul-Haq, subendone dure conseguenze, ha segnato «una pietra miliare nella storia del movimento delle donne in Pakistan». La direttrice di Awam, Nazia Sardar, ha quindi ricordato che «è urgente garantire la parità di retribuzione e istituire maternità e asili nei luoghi di lavoro». Secondo l’attivista cristiana Shazia George, infine, «è necessario intraprendere azioni di sensibilizzazione per la promozione dei diritti delle donne. E attuare strumenti nazionali e internazionali a tutela dei diritti delle lavoratrici». Il saggio Vita di una scrittrice La più bella biografia di Teresa è quella dell’ispanista comunista Rosa Rossi Teresa d’Ávila , sottotitolo Biografia di una scrittrice , uscita nel 1983. Rossi ricostruisce con vivezza la sua condizione di «cristiana nuova», la sua personalità vivace e sensibile, capace anche di diplomazia pur di realizzare i suoi progetti, e soprattutto pur di continuare a scrivere. Oltre che valorizzare il suo lato di scrittrice come non era mai stato fatto, Rossi ricollega con competenza Teresa al contesto culturale nel quale era vissuta. Un contesto complesso, conflittuale e in ebollizione proprio dal punto di vista religioso. Dagli studi realizzati negli anni Sessanta dai carmelitani, infatti, «emerge in modo incontrovertibile che il vero schieramento di Teresa fu quello che la vide accanto a quei cristiani spagnoli e non solo spagnoli che erano decisi a sviluppare e difendere un rapporto nuovo con Dio, un rapporto interiore, silenzioso, quel rapporto che è poi il nucleo da cui nacque una delle direttrici della moderna libertà di coscienza». ( @LuceScaraffia ) Le metamorfosi di Teresa Chi era veramente colei che morì dicendo «alla fine, Signore, sono figlia della Chiesa» Alcune letture recenti se la liberano dal modello costrittivo in cui era stata rinchiusa dimenticano però che fu una donna appassionatamente legata a Dio Anticipò quello che sarebbe stato uno dei cavalli di battaglia delle femministe La presenza delle donne nel Nuovo Testamento di C HRISTIANE R ANCÉ È difficile riassumere la spiritualità di Teresa d’Ávila, tanto è ricca e sottile. Quel che però si può dire, per presentarla, è che trova la sua forza nell’azione. Teresa di Gesù ha elaborato una mistica che rispondeva alle ur- genze e ai pericoli del suo tempo e che si arti- cola attorno a tre poli: la sua illuminata com- prensione dell’Incarnazione e di ciò che com- porta come risposta; la sua invenzione — come si dice della scoperta di un tesoro — del centro dell’anima come residenza di Dio; e infine, la preghiera come operazione amorevole sul mondo. «Il mondo è in fiamme», scrive Teresa nel primo capitolo del suo Cammino di perfezione . E il mondo, aggiunge, ha bisogno di amici forti ( amigos fuertes ). Contro quale fuoco vuole agire Teresa d’Ávila? Quello che divora la Chiesa dall’interno, con le idee nuove della Riforma e di altre correnti di pensiero che contestano a Roma il suo dogma e la sua in- fallibilità. Quel che è accaduto è che la rivolu- zione copernicana ha distrutto le basi del mondo antico e diffuso nelle menti di quel XVI secolo, il primo dell’era moderna, un’an- goscia generale: né la Terra né Dio sono più i centri di un universo eterno e incorruttibile che girava attorno a loro. Teresa spazza via magistralmente gli interro- gativi che questa vertiginosa scoperta pone al- le menti di allora. Che importa se a causa di questa teoria Dio ha perso il suo luogo di re- sidenza? Basta cercare il divino come trascen- denza pura, come esperienza interiore, rispon- de Teresa. Che importa poi se la terra non è più il luogo di un teocentrismo? Se Dio è tut- to, se «la macchina del mondo ha, per così di- re, il proprio centro dappertutto e la sua cir- conferenza in nessun luogo», il centro del mondo è là dove c’è l’uomo, e Dio in lui. La citazione di Nicola Cusano ripresa da Pascal, non è un’allegoria; una sfera di raggio infinito ha effettivamente il proprio centro ovunque. Qualunque sia il punto in cui ci si trova in questa sfera, si è de facto a una distanza infini- del mondo — ci riesce: la sua preghiera ricol- loca il mondo nello sguardo divino e Dio al centro dell’universo. Pregando, Teresa rimette al suo posto Cristo che viene. Ironia della sor- te! Ciò che l’ha quasi fatta definire eretica dall’Inquisizione — la nozione del centro dell’anima — è ciò che ce la rende tanto neces- saria. Teresa di Gesù è stata canonizzata per la santità della sua vita, la creazione del suo Car- melo e la sua irriducibile fedeltà alla Chiesa. Ma ciò che ne fa una nostra contemporanea è questa invenzione. Ben più dell’apertura indi- viduale di un’anima perdutamente fedele a Dio, è colei che dona perpetuamente a Dio un futuro, non con un «penso dunque sono» ma con un «credo dunque Egli è». In tal mo- do forza l’avvento di un mondo di cui Gesù Cristo resterà l’inevitabile misura. Teresa d’Ávila ha compreso l’attrazione per la materia e le teorie contemporanee dei suoi simili; da qui la sua avversione per la falsa erudizione, la pretesa al sapere e le smanie dello spirito nei suoi conventi. «L’anima non è il pensiero, e (…) la volontà non è diretta da esso, il che sarebbe una vera disdetta. Ne consegue che il profitto dell’anima non consi- ste nel molto pensare, ma nel molto amare», afferma. Teresa si è sentita obbligata ad amare il Gesù uomo-Dio e Dio-uomo. L’umanità di Cristo offre una possibilità di unione, di co- munione e di unità d’amore. Per mezzo di Gesù, la reciproca attrazione tra Dio e la sua creatura si formalizza. Che pensi alla Passione o che mediti su questo mistero, l’orante si ri- trova ai piedi di una scala che conduce a Dio, una scala come quella di Giacobbe, una scala di preghiera che dovrà salire per giungere «Nada te turbe, nada te espante, todo se pasa, Dios no se muda; la paciencia todo lo alcanza; quien a Dios tiene nada le falta. Solo Dios basta». Semplici e radicali le parole di questa stupenda preghiera di Teresa d’Ávila, fonte di ispirazione e conforto per donne e uomini nei secoli. Addirittura per una cantante come l’italiana Mina, che nel 2000, nell’album Dalla terra , l’ha magistralmente interpretata. Tamara de Lempicka, «Santa Teresa d’Avila» (1930) Dio al centro dell’anima è la risposta all’angoscia generata dalla scoperta copernicana ta dal bordo, e ciò in tutte le direzioni dello spazio. Così Dio, poiché risiede nel centro segreto dell’anima, è sem- pre e inevitabilmente al centro dell’universo. È questa una delle fonti della spiri- tualità teresiana: nella scoperta del centro dell’anima. Tomás Álvarez, nel Diccionario de santa Teresa de Jesús , sottolinea l’originalità della madre su questa nozione che diverrà una linea maestra del suo capolavoro, Il castello interiore . Questo centro dell’anima è «la stanza principale, quella dove si svolgono le cose di grande segretezza tra Dio e l’anima». Là, nel suo centro, Dio continua a dimorare e a risplen- dere. È in questo centro che si celebra l’unione dell’anima con Cristo nostro Signore, precisa Teresa, perché il suo rapporto con lui sia definitivamente stabilito: «L’anima resta sempre con il suo Dio in quel centro di cui ho par- lato». Questa concezione, indubbia- mente singolare, attirerà su di lei le ire dell’Inquisizione. Si tratta di «errore in filosofia, sogno e fantasia in teolo- gia» decretano i giudici. Quanto all’idea di Dio che sta in questo cen- tro, viene definita un’eresia rivoltante. Tale è la risposta puramente geniale di una donna che risponde intuitiva- mente, dalla sua anima, all’angoscia generale che la rivoluzione copernica- na genera. Riesce così a mantenere la forza di un divino pacificante. Lei che ha la folle volontà di ridare a Dio il suo posto — di far sì che la sua anima, se si unisce a Dio, ridivenga il centro giorno in cui la vista di un crocifisso le ha fatto capire, all’improvviso, quanto Dio l’amava per averle donato la propria vita nell’infamia e nel dolo- re della croce. Quanto l’amava per es- sersi fatto così simile alla sua creatura da incarnarsi nell’essere più debole e più umile che ci sia, non in un princi- pe, ma nel figlio di un falegname del- la periferia della Palestina. Da quel momento comprende, in un lampo, che non potrà accedere a nessuno sta- to superiore della fede senza una pie- na consapevolezza e senza una piena esperienza di questo amore, attraverso la fusione in esso: si rende conto che, perché Dio le risponda, si deve impe- gnare in modo commisurato all’amore che la sua Passione ha dimostrato. Così la rappresentazione dell’uma- nità di Cristo in ciò che ha avuto di più parossistico — la Passione — l’ha sconvolta, ed è attraverso di essa e a partire da essa che ha potuto com- prendere appieno quella che costituiva la follia e lo scandalo del cristianesi- mo: l’incarnazione. «Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» ( Gio- vanni 14, 6). Gesù è il volto umano di Dio. C’era forse metafora migliore di questa verità, che Teresa assimilerà co- me un’ostia, ossia che la realtà di Dio, il suo essere è accessibile solo in Gesù e attraverso Gesù? Nel Libro della Vita scrive che Gesù è il vero libro dove ha scoperto tutte le verità. La vista scon- volgente del corpo sofferente di Gesù le ha inoltre rivelato, in modo folgo- rante, tutte le promesse del mistero di all’unione divina, «dove nulla è paragonabile ai godimenti dell’anima». Da qui l’esortazione di Teresa a pregare. La preghiera è, secondo lei, «un intimo rapporto di amicizia, un frequente trattenimento da so- lo a solo con colui dal quale sappiamo d’esse- re amati». Bisogna pregare perché la preghiera è il momento centrale della creazione religiosa di cui Gesù è il maestro. Pregare perché la preghiera è la lingua dell’amicizia, come il si- lenzio è quella di Dio. Teresa assicura così la sopravvivenza di quella formidabile rivoluzio- ne teologica, teleologica e umana che è l’incar- nazione. Pregare e andare avanti: Ir adelante . Il suo motto ritorna ben centotrenta volte nel- la sua opera. Andare avanti nel mondo e allo stesso tempo penetrare nel più profondo di se stessi. Non possiamo «pretendere di entrare nel cielo senza prima entrare in noi stessi», avverte. Che cosa c’insegna la sua spiritualità? Agendo d’amore, come si dice d’istinto, l’irra- diazione infinita di ognuno dei nostri atti si diffonde nella trama infinita del mondo. At- traverso l’amore, la mistica di Teresa — la sua contemplazione beata, la sua preghiera — di- venta un’azione e crea una dinamica da dove scaturisce la carità. Di fatto, cosa sarebbe l’Amore se si accontentasse di se stesso? Se non fosse partorito dalla carità? Se non s’in- carnasse a sua volta nell’amore per il prossi- mo? Sarebbe nulla. Non sarebbe altro che una vuota speculazione, il contrario stesso della spiritualità di Teresa, che è una mistica dell’azione amorosa. Ade Bethune, «Saint Teresa» (da «The Catholic Worker», ottobre 1935) Vetrata della parrocchia di Santa Teresa a Summit, nel New Jersey Le mura di Ávila al tramonto

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