donne chiesa mondo - n. 33 - marzo 2015

L’OSSERVATORE ROMANO marzo 2015 numero 33 Sua madre confrontava tutte queste cose nel suo cuore donne chiesa mondo Cinquecento anni con Teresa Quante madri, quanti genitori hanno scelto il suo nome per le loro figlie. Quante religiose (molte divenute a loro volta beate e sante) lo hanno voluto per il loro battesimo spirituale. Quante persone, credenti e non, hanno attinto dal suo esempio e dalle sue pagine forza e nuovo coraggio per affrontare la vita. In cinquecento anni — tanti ne sono passati dal 28 marzo 1515 — Teresa ha lasciato segni profondi. Per questo abbiamo deciso di dedicarle questo numero di «donne chiesa mondo», ripercorrendo la sua eredità: nel dialogo tra una carmelitana scalza e una studiosa atea (eccezione alla nostra regola che vuole sempre intervistata in prima pagina una donna cattolica); nel racconto di una scrittrice francese che le ha appena dedicato il suo ultimo romanzo; nell’inchiesta di una storica cattolica che indaga le innumerevoli metamorfosi a cui la santa è stata sottoposta nei secoli; nella narrazione di una storica ebrea che di Teresa ci racconta le origini non cristiane. Meditare su di lei è compiere, però, anche un viaggio nella storia dell’arte. A partire dall’unico ritratto eseguito quando Teresa era ancora viva, a sessantuno anni: il dipinto di fra Juan de la Miseria (oggi l’immagine più riprodotta nei tantissimi souvenir in vendita ad Ávila), restituisce i tratti di una donna intelligente, forte e sicura ( «Dio ti perdoni! Mi hai fatta cisposa e vecchia!» disse all’artista). E se nel Settecento importanti pittori la ritrassero in piena estasi mistica — Zurbarán, Velázquez, Ribera e Rubens tra gli altri — chi fece di lei il simbolo stesso della mistica fu però Bernini, nel capolavoro ora nella chiesa di Santa Maria della Vittoria a Roma. Una galleria di immagini capace di far uscire Teresa dal modello riduttivo di monaca obbediente. Un’uscita ribadita nei secoli, fino ad arrivare al Novecento, quando Teresa diviene icona, tra le altre, di artiste molto diverse tra loro, come la polacca Tamara de Lempicka e la belga Ade Bethune, i cui santi in bianco e nero hanno illustrato per decenni le pagine del «Catholic Worker». Ma è Teresa stessa che ci proietta nel futuro: «Vedo — scrisse nel Cammino di perfezione — il profilarsi dei tempi in cui non c’è più ragione di sottovalutare animi virtuosi e forti per il solo fatto che appartengono alle donne». ( g.g. ) Modernità di una mistica Intervista con l’intellettuale atea Julia Kristeva, che ha studiato a lungo la santa di Ávila di C RISTIANA D OBNER «Ho incontrato Teresa — ci racconta Julia Kristeva — su sollecitazione di un editore: ho passato una decina d’anni con la stra- vagante monaca spagnola, di cui avevo appena sentito parlare, divenuta per me una figura imprescindibile della cultura europea. Sono lieta di aver trovato, grazie a lei, quello slancio barocco che ha trasfi- gurato il cattolicesimo medievale e ha aperto le porte all’umanesimo dell’illumi- nismo». Come ha affrontato la fede di Teresa? Mi sono proiettata nella scrittura di questa donna, che ha vissuto e descritto una fede che viene chiamata mistica, dove celebra così la sua unione con Gesù: «L’Anima si consuma di desiderio e non sa tuttavia chiedere, perché sente chiara- mente che il suo Dio è con lei» ( Castello interiore ). «Il dolore della ferita era così vi- vo che mi faceva emettere quei gemiti di cui ho parlato, era così grande la dolcezza che mi infondeva questo enorme dolore, che non c’era da desiderarne la fine, né l’anima poteva appagarsi d’altro che di Dio. Non è un dolore fisico, ma spirituale, anche se il corpo non tralascia di parteci- parvi un po’, anzi molto» ( Vita ). «Non siamo angeli ma abbiamo un corpo» e «il Signore come uomo». E così via. L’ho ac- compagnata anche nell’arte barocca che l’avvicina ancora di più a noi moderni, a cominciare dall’estasi di Bernini, che fa vi- brare quell’estasi nel marmo: si liquefà sotto i miei occhi nella chiesa di Santa Maria della Vittoria a Roma. Ma anche la messa che le ha dedicato Haydn o il qua- dro del Tiepolo a Venezia. Poiché non so- no credente, ho cercato di familiarizzarmi con il suo modo di sentire e di pensare, ossia di interpretarla. Teresa invita il mon- do secolarizzato a rivalutare, instancabil- mente e senza pregiudizi, il bisogno di credere che sottende il desiderio di sapere. E la sua straordinaria scrittura? In effetti, attraverso il raccoglimento delle letture e il fervore delle preghiere, ma anche lasciandosi pervadere da musi- ca, pittura e scultura, la scrittura di questa donna senza frontiere ci offre il suo corpo fisico, erotico, buongustaio e anoressico, isterico, epilettico, che si fa verbo e si fa carne, che si fa e si disfa in sé fuori di sé, fiotti di immagini senza cornici, costante- mente alla ricerca dell’Altro e della parola giusta. Matrice aperta che palpita per l’amato sempre presente senza essere mai lì. Le estasi di Teresa sono d’un tratto e senza distinzione, parole, immagini e sen- sazioni fisiche, spirito e carne, o forse pro- prio carne e spirito: «Il corpo non trala- va gli abusi della religione nel suo celebre romanzo incompiuto La religiosa . Ma Di- derot, ex canonico e scrittore-filosofo dell’illuminismo, piange riconoscendosi incapace di finire la sua storia: poi- ché, liberata dagli abusi della vita monastica, la sua religiosa è getta- ta in una vita priva di senso. Sono convinta che la psicanalisi freudia- na, che interroga i miti e la storia delle religioni, aprendo al contempo le porte della vita interiore degli es- seri moderni, sia la via maestra per trasvalutare, giustamente, questa tradizione che ci precede e con la quale abbiamo tagliato i ponti. Noi, i non credenti. Ma anche noi, i credenti molto spesso ri- dotti a “elementi di religione”. La rilettura che le dobbiamo non deve essere solo astratta, una visione dall’alto. Lei coinvolge la memoria affettiva partico- lare, l’intimità di ognuno. Il seminario di Lacan fa di lei una scopritrice del “godi- mento femminile”, dal titolo suggestivo: Ancora . Il godimento femminile sarebbe dunque insaziabile? Ancora e ancora... Perché non si limita agli organi sessuali, ma infiamma tutti i sensi e trasporta il corpo nell’infinito del senso, mentre fa precipitare il senso stesso nel nonsenso, sintomi e follie. Un godimento di cui Te- resa è la migliore esploratrice, e che la esi- lia da se stessa: perpetuo trasporto verso l’Impossibile, l’Innominabile. Che non smette tuttavia d’invitarla a parlare, a pen- sare, corpo e anima, passione della scrittu- ra. Una testimonianza straordinaria, se ce ne fosse bisogno, del fatto che esiste un umanesimo cristiano intenso e ancora in- compreso, e che la cultura europea si deve reinterpretare continua- mente, se vuole sopravvive- re al pensiero-calcolo e ri- fondarsi costantemente. Perché ha affrontato una donna del XVI secolo, che ha continuato a conoscere e a studiare? Spero di averla convinta della modernità di questa mistica, così come appare nella mia lettura. Ma posso precisarle for- se meglio la seduzione che Teresa esercita su di me, ricordando due caratteristiche della sua opera che prediligo. La prima sarebbe quella santa ironia che rasenta l’ateismo. In un passo poco ricordato del Cammino di perfezione , Teresa consiglia alle sue sorelle di giocare a scacchi nei mona- steri, sebbene il gioco non fosse consenti- to dal regolamento, per fare «scacco mat- to a questo Re divino». Un’impertinenza che riecheggia la celebre formula del Mae- stro Eckart: «Chiedo a Dio di lasciarmi li- bero da Dio». La seconda è formulata da Leibniz, che in una lettera a Morell del 10 dicembre 1696 scrive: «Quanto a santa Te- resa, lei ha ragione a stimarne le opere; vi ho trovato quel bel pensiero secondo il quale l’anima deve concepire le cose come se non ci fossero che Dio e lei al mondo. Il che porta persino a un’importante ri- flessione in filosofia, che ho impiegato utilmente in una delle mie ipotesi». Teresa ispiratrice delle monadi leibniziane che contengono l’infinito? Teresa precursore del calcolo infinitesimale? Qualunque sia la modestia dello scrivere, questo atto del linguaggio amoroso è ancora oggi — e lo sarà sempre — un’esperienza che non ignora questi rapimenti, queste estasi. La carmelitana non ha inventato la psicanali- si, e neppure la scrittura moderna ma, cin- que secoli prima di noi, ha chiarito quella strana esperienza che è il pensiero ai con- fini del senso e del sensibile, corpo e ani- ma insieme: i segreti della scrittura. Teresa è nostra contemporanea. La sua femminilità oggi ci dice qualcosa? E se la femminilità di Teresa fosse post- moderna? Questa santa barocca è di una sensualità iperbolica ma anche sublimata, senza precedenti e unica fra le stesse mi- stiche, portate (donne e uomini) più alla sofferenza e al puro abbandono, che alla pienezza dei sensi. Ma Teresa è anche «la più virile delle monache» (Huysmans): os- sia di una bisessualità psichica — per ri- prendere la terminologia freudiana — qua- si rivendicata, esigente. Qual è il senso di maternità di questa santa che scorre da secoli? La secolarizzazione è la sola civiltà pri- va di un discorso sulla maternità. Mentre Teresa, nelle sue preghiere, ma anche nella sua opera di rifondatrice del Carmelo de- scritta dettagliatamente nelle sue Fondazio- ni , fa apparire una visione e una pratica della sua maternità simbolica come “ma- dre superiore”. Per quanto sorprendente ciò possa apparire, alcune delle sue rifles- sioni a tale proposito possono illuminare — ancora oggi! — le genitrici (le donne che portano i bambini nel loro utero) quando diventano madri: quando vivono la passione e lo spassionamento da questo primo legame all’altro, che è il legame con il bambino, e diventano capaci di trasmet- tere la tenerezza, il linguaggio e il pensie- ro. Teresa comincia glorificando la soffe- renza come via verso Dio, e anche come cammino obbligato della maternità. Ma ha anche il genio di distaccarsi dall’affetto muto, sia esso dolore o gioia. E raccoman- da di «non godere di più» (che si tratti di godere di dolore o di godere di piacere), ma di «fare la volontà di Dio», che consi- ste nel «considerare gli altri senza legarsi le mani». Straordinaria, questa indefettibi- le dedizione agli altri, sostenuta dall’alteri- tà dell’Altro! Sarebbe dunque questo a es- sere chiamato dipendenza materna: non accontentarsi di godere in sé e per sé, ma considerare l’esistenza di un Terzo, per ac- cedere alla volontà di rispettare e sostene- re gli altri, e non venire mai meno! Han- nah Arendt aveva diagnosticato, dopo la Shoah, che il «male radicale» comincia dal momento in cui gli umani diventano incapaci di «pensare dal punto di vista dell’altro». Ebbene, per Teresa, essere ma- dre sarebbe, insomma, tutto il contrario: la capacità di pensare dal punto di vista dell’altro. Oggi la freschezza di Teresa permette di riscoprire che esiste un cattoli- cesimo complesso, insolito, che “parla” all’intensità del nostro bisogno di credere e del nostro desiderio di sapere. Per i qua- li siamo privi di sostegni. La sua freschezza permette di riscoprire che esiste un cattolicesimo complesso e insolito che parla all’intensità del nostro bisogno di credere E del nostro desiderio di sapere L’intellettuale atea Julia Kristeva, di origine bulgara naturalizzata francese, è studiosa che opera tra linguistica, psicanalisi, filosofia e narrativa. Insegna Semiologia alla State University of New York e all’Université Paris 7 Denis Diderot. Tra i suoi libri, Thérèse mon amour (2008). Presidente onoraria del Consiglio nazionale Handicap: sensibiliser, informer, former , dal 2015 è Commandeur della Legion d’onore. donne chiesa mondo Gian Lorenzo Bernini, «Transverberazione di santa Teresa d’Avila» (1647-1652) “visioni” si possono ottenere dapprima ed essenzialmente al tatto, al gusto e all’udi- to, per poi raggiungere la vista. Se l’acqua è l’emblema del rapporto fra Teresa e l’Ideale, si capisce perché il suo Castello interiore non s’innalza come una fortezza, ma si lascia sistemare come un puzzle di dimore, moradas , dimore dai muri permea- bili che il divino non domina ma abita. Vuol solo dire che la trascendenza secon- do Teresa si rivela anche immanente: il Si- gnore non è al di là, ma in lei! Il che le procura prevedibili noie con l’Inquisizio- ne. In definitiva, più che in quei rapimen- ti, l’enigma di Teresa sta nel racconto che lei stessa ne fa: le sue estasi esistono al di fuori di quei racconti? Lei ne è pienamen- te consapevole: «Che io mi serva di tale immagine ( hacer esta ficción ) per farvi in- tendere quel che dico», scrive nel Cammi- no di perfezione (28, 10). Nega di essere una teologa, e rivendica solo — con mode- stia o con coraggiosa modernità? — di es- sere l’autrice di una finzione («La finzio- ne, quell’elemento vitale delle scienze del- lo spirito», dirà in seguito Husserl). Una scrittrice. Qual è il ruolo testimoniale di Teresa nell’umanesimo di oggi? La narratrice del mio libro Thérèse mon amour , la psicanalista Sylvia Leclercq, che mi rassomiglia, conclude la sua coabitazio- ne con Teresa indirizzando una lettera a Denis Diderot che, al suo tempo, fustiga- scia di partecipare al gioco, e anche mol- to». Oggetto e soggetto, perduta e ritrova- ta, dentro e fuori e viceversa, Teresa è un fluido, un flusso costante. L’acqua sarà il suo elemento: «Sono attratta in modo particolare da questo elemento, pertanto l’ho osservato con un’attenzione speciale»; e la metafora fluida è il suo modo di pen- sare. Si tratta di una folgorazione intima o del ritorno al tema evangelico del battesi- mo? Lo stile teresiano è intrinsecamente radicato nelle immagini, esse stesse desti- nate a trasmettere quelle visioni che non sono percepite dalla vista (o almeno non soltanto dalla vista), ma risiedono nel cor- po-e-spirito intero, nello psiche-soma. Tali

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