donne chiesa mondo - n. 27 - settembre 2014

donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne Non per limitare l’amore, ma per amare di più La castità del monaco di A LESSANDRO B ARBAN I l voto di castità è stato il dato che ha qualificato dalle prime origini cristiane la vita consacrata. Certo, la vita monastica era animata anche dagli altri due voti, povertà e ubbidienza, ma era la castità che suscitava stima, rispetto, attenzione. Ma esi- ste un ordine, una tàxis , dei voti? A ben guardare, nei testi spiri- tuali dei Padri e nell’insegnamento del magistero, esiste: la castità appare come il sole attorno al quale girano povertà e ubbidienza. Questo ordine, però, non corrisponde all’itinerario biblico. Sia nei testi biblici che in tante regole antiche, si afferma che la vita di fede e la scelta per una personale consacrazione a Dio cominciano dall’ascolto della rivelazione divina e dall’ubbidienza che ne deriva. Nel vangelo, inoltre, Gesù indica la povertà come libertà e distacco da ogni possesso, come liberazione da ogni avi- dità e cupidigia, perché per seguirlo si devono distribuire i pro- pri beni ai poveri. Gesù inoltre vive in prima persona, e prospet- ta anche per noi, la castità in vista del regno di Dio. Si dischiu- de, cioè, un cammino pasquale di conversione e di rinascita, che connota differentemente la vita cristiana rispetto alle logiche e consuetudini mondane, che piegano l’ubbidienza al proprio io e pervertono la sessualità in concupiscenza e lussuria, riducendo il proprio corpo e quello della donna in oggetti di piacere. Ora, se la consacrazione religiosa è vista come un di più ri- spetto alla vita battesimale, la castità volontaria verrà compresa come un unicum che fa della vita religiosa qualcosa di speciale rispetto all’esistenza degli altri membri della Chiesa. Se, invece, la vita consacrata viene intesa come un cammino della stessa esi- stenza battesimale, si potrebbe indicare l’ordine dei voti in modo più evangelico: ubbidienza, povertà e castità. Si potrebbe infine indicare un’assimilazione progressiva nel cammino di iniziazione alla vita consacrata: professare il voto di ubbidienza quando si comincia il noviziato, quello della povertà con la professione semplice, per arrivare, nel momento della professione solenne, a quella maturazione fisico-psicologico-spirituale che chiede il voto di castità, come autentica apertura all’amore. Purtroppo nel passato, concentrando tutta l’attenzione sulla castità come un atto di rinuncia, essa è stata vissuta troppo spes- so come sterilità, o come impotenza fisico-sessuale, dando luogo a ossessivi scrupoli morali, nevrosi, acidità, rigidità e contraddit- tori ripiegamenti individuali. Quando, invece, la castità cristiana è connessa proprio all’amore, e a un amore sempre più grande. Si sceglie la castità non per limitare l’amore, ma per amare di più. Si dirà: amare di più perché spinti dall’amore di agàpe ( 1 Co- rinzi , 13). Ed è qui che vorrei porre la seconda questione, cioè sul fatto che per secoli abbiamo ritenuto che la castità fosse da vive- Avenida Belgrano, 2675 Rosa da Lima, santa del mese, raccontata da Silvina Pérez A venida Belgrano 2675. Qui per strada le signore anziane, le vedove con le perle, le calze scure e la permanente bianca, si scambiano gli ombrelli per affrontare lunghe file in attesa della piog- gia che, puntualmente, arriva al termine della processione. «Monsignore, mi di- spiace non abbiamo fatto in tempo ma dobbiamo sospendere le celebrazioni all’aperto». Eccellenza. Reverendo. I miei omaggi. Il vescovo Mario Aurelio Poli, 66 anni, successore di Papa Bergoglio alla guida dell’arcidiocesi di Buenos Aires, risponde con un cenno della testa, timido e deter- minato. Balvanera, diocesi di Buenos Ai- res: la gente non corre, qui oggi le cose vanno lente. «Ecco, questo è il mio greg- ge. Persone normali, vede». La basilica di Santa Rosa di Lima è addobbata di luci come una giostra. In edicola la rivista di politica del giovedì ha in copertina la cari- catura di qualche deputato locale al centro delle polemiche sui trasporti ferroviari. Piove sul ponte di Santa Rosa, la festa patronale più lunga dell’anno: tre giorni di celebrazioni e processioni per la santa che viene dal Perú. L’Argentina è un Pae- se dove la religione viene vissuta in pub- blico: chiese, strade, quartieri, radio, tele- visioni. Ci sono giorni a Buenos Aires do- ve le ore scandiscono il tempo fra la pro- fonda spiritualità e la solidarietà verso chi non ce la fa. Ed è proprio l’ultimo fine settimana di agosto e il primo di settembre che, ogni anno, queste cose camminano sulle gambe delle migliaia di partecipanti alle proces- sioni al santuario di Santa Rosa da Lima, patrona del Perú. È uno degli appunta- menti più sentiti dai fedeli. È il cuore del- la religiosità popolare di una città come Buenos Aires. Sabato esterno giorno, si parte. Primo dei tre giorni. In testa alla lunga carovana la statuetta della santa. Questa vergine dalla pelle bianca e i capelli neri protegge gli emarginati e la sua immagine si trova ovunque in Argentina, negli ospedali, in ogni stazione dei treni. I tassisti e gli auti- sti di autobus colectiveros tengono una sua riproduzione sul cruscotto, tutti invocano da lei ascolto e protezione. Convocate es- senzialmente attraverso le reti sociali e il passaparola, circa settemila persone si so- no unite in preghiera. Alle sette la basilica è già piena, famiglie, anziani e bambini. Un’omelia intensa ma breve quella dell’ar- civescovo Mario Poli che dice, con parole semplici: «Papa Francesco ha portato alla Chiesa una ventata di speranza, di sollievo e di allegria di vivere e pensare la fede cri- stiana». I fedeli raggiungono in processione la strada Sarandi, ci sono i cartoneros , un esercito che striscia sui marciapiedi racco- gliendo ogni briciola di carta da vendere a riciclatori industriali. Dalla parte opposta, invece, una fila di banchetti di ristoro do- ve offrono, in attesa della tormenta, il tra- dizionale dolcetto di santa Rosa. Si tratta di un evento climatico che in città fa pau- ra, di breve durata ma caratterizzato da temperature basse, venti forti e a volte violenti scrosci d’acqua accompagnati da tuoni e saette. Sistematicamente si manife- sta nel cono australe, in Argentina tra il 25 agosto e il 5 settembre. Immancabile, si ri- pete con impressionante precisione. La sua comparsa fa presagire la fine dell’in- verno. È causato dallo scontro tra enormi masse di aria fredda e calda. Tutti sanno cosa sia la “tormenta di san- ta Rosa”. Il nome deriva dal racconto del- la preghiera pronunciata dalla religiosa peruviana. Invocava il Signore per impe- dire lo sbarco dei pirati olandesi a Lima. A volte le biografie raccontano parabole esemplari, come deve essere quella di una santa, trascurando, quasi sempre, la cornice. Rosa — la prima santa del Sud America, chiamata la mistica del Perú — nacque a Lima il 20 aprile 1586, ricevendo al fonte battesimale il nome di Isabella, come la nonna materna. Chiamata per la prima volta Rosa dalla serva india Mariana quand’era ancora in culla, a motivo della sua straordinaria bellezza, quel nome le ri- mase per sempre. Di notte pregava e di giorno faceva il duro lavoro della bracciante. Rosa visse una vita ascetica indossando il cilicio e praticando digiuni e penitenze. Affascina- ta da santa Caterina da Siena, l’aveva pre- sa come suo modello. La sua vita austera destò non pochi sospetti, a motivo anche delle sue celesti visioni, ma dalla Chiesa le vennero anche conferme sulla giustezza del suo cammino. Con il trascorrere degli anni, poi, alle sofferenze volontarie si aggiunsero quelle di una lunga malattia. Rosa così supplica- va il Signore: «Mio Dio, aumentate pure in me le sofferenze, perché aumenti il mio amore per voi». E ai genitori che le consi- gliavano moderazione, preoccupati delle sue eccessive penitenze, rispondeva: «Se gli uomini sapessero che cos’è vivere in grazia, non si spaventerebbero di nessuna sofferenza e patirebbero volentieri qualun- que pena». Rosa ebbe grande familiarità con il suo angelo custode, che l’ascoltava e le dava ordini e messaggi. Più di una volta, le portò le medicine necessarie per curarla. Era tale il suo amore per Cristo e per la Chiesa che un giorno Rosa dovette difen- dere Lima dall’assalto dei calvinisti olan- desi. Costoro, infatti, guidati dalla flotta Giornalista e autrice televisiva, Silvina Pérez cura i programmi di informazione politica «Millennium» e «Agorà» su Rai 3 e collabora a «L’Osservatore Romano». Ha lavorato per dieci anni a La7, rete per la quale ha scritto programmi e girato reportage dal 2004. Nata in Argentina, di cittadinanza italiana, dopo la laurea all’università di Buenos Aires, ha collaborato con diverse testate settimanali, radiofoniche e televisive italiane ed estere. È stata addetto stampa presso il ministero degli Affari Esteri dal 1999 al 2001. L’abside della chiesa di Santa Rosa a Buenos Aires Nella «Deus caritas est» Benedetto XVI affronta l’opposizione tra èros e agàpe Giungendo alla conclusione che è necessario superarla perché l’uomo ha bisogno di vivere entrambi re solo con l’amore di agàpe reprimendo l’ èros e anche la filìa . Si è creata un’opposizione conflittuale tra l’ èros , l’amore come desi- derio, e l’ agàpe , l’amore oblativo. Si deve ringraziare Benedetto XVI che nella Deus caritas est ha affrontato questo tema oppositi- vo tra èros e agàpe , giungendo alla conclusione che è necessario superarlo perché l’uomo ha bisogno di vivere entrambi. « Èros e agàpe — amore ascendente e amore discendente — non si lasciano mai separare l’uno dall’altro. Quanto più ambedue, pur in di- mensioni diverse, trovano la giusta unità nell’unica realtà dell’amore, tanto più si realizza la vera natura dell’amore in ge- nere. Anche se l’ èros inizialmente è soprattutto bramoso, ascen- dente (…) nell’avvicinarsi poi all’altro (…) cercherà sempre più la felicità dell’altro (…). D’altra parte, l’uomo non può neanche vivere esclusivamente nell’amore oblativo, discendente. Non può sempre soltanto donare, deve anche ricevere. Chi vuol donare amore, deve egli stesso riceverlo in dono». La visione che ci presenta Ratzinger è estremamente interes- sante perché superata l’opposizione tra l’ èros , che salendo si puri- fica e si libera dalla sua forma dionisiaca, e l’ agàpe , che scenden- do rinuncia alla sua forma apollinea, queste due realtà possono incontrarsi nella vita di ciascun uomo, non solo in chi si sposa, ma anche in coloro che rispondono al dono della castità. Riten- go che l’incontro tra èros e agàpe avviene proprio nella filìa , nel riconoscere che la forma di amore più bella e più corrispondente alla nostra essenza umana è quella dell’amicizia vissuta tramite quel comandamento nuovo, che fonda ogni relazione cristiana. La castità, dunque, non può essere ridotta a una lotta contro l’ èros , perché nell’ èros c’è un’energia vitale che va accolta e orien- tata verso il bene. E non può essere pensata come una via ascen- sionale verso una perfezione di amore apollinea disincarnata, che porterebbe la vita verso un’alienazione estetica che ci allontane- rebbe da tutti. Va proposta invece come un processo simbolico e unitivo in cui far convergere nella filìa relazionale della nostra umanità la forza vitale dell’ èros e il dono oblativo e gratuito pro- prio dell’ agàpe . Temo che senza filìa non ci sia un amore comple- to né nel matrimonio, né nella castità della vita consacrata. dello Spitberg, assalirono la città. Rosa al- lora si avvicinò all’altare: abbracciò il Ta- bernacolo rimanendovi incollata fino a quando la città non venne improvvisamen- te liberata a causa della morte fulminea dell’ammiraglio olandese. In vita Rosa aveva condiviso le sofferen- ze degli indios che erano umiliati e vilipe- si: quando morì, al suo funerale accorse una tale folla per salutarla che fu necessa- rio posticiparne più volte la sepoltura. Sul- la sua tomba si sono verificati molti mira- coli. Molte volte, santa Rosa da Lima vie- ne raffigurata con una ghirlanda di rose sul capo. In alcuni casi è lo stesso Gesù Bambino a sorreggergliela.

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