donne chiesa mondo - n. 27 - settembre 2014

«V donne chiesa mondo settembre 2014 Elżbieta Adamiak è docente alla facoltà di teologia dell’università Adam Mickiewicz di Poznań in Polonia. Tra le sue pubblicazioni, «Una presenza silenziosa. Del ruolo delle donne nella Chiesa» (2005, tradotto in giapponese), «Le donne nella Bibbia. Antico Testamento» (2006), «Trattato su Maria» (2006), «Le donne nella Bibbia. Nuovo Testamento» (2010). È tra i curatori di «L’ora delle donne? La ricezione dell’insegnamento della Chiesa cattolica sulle donne in Polonia nel periodo 1978-2005» (2008). Le domande delle donne di E LŻBIETA A DAMIAK IENE L ’ ORA , L ’ ORA È VENUTA , in cui la vocazione della donna si completa in pienezza, l’ora in cui la donna acquista nella società un’influenza, un irradiamento, un potere finora mai raggiunto» ( Messaggio alle donne del concilio Vaticano II ). Leggendo le parole di Papa Francesco sul tema delle donne nella Chiesa, a cominciare dall’intervista concessa un anno fa a «La Civiltà Cattolica», in cui invitava a lavorare per fare una «profonda teologia della donna», fino ai suoi interventi più recenti, sentiamo l’eco di quella speranza che animava i padri del concilio quando l’8 dicembre 1965, alla fine dei lavori, fu pubblicato il Messaggio alle donne . L’invito di Francesco s’iscrive nella corrente delle domande nate dalle riforme conciliari. Il Papa usa un termine che non è nuovo. Con la formula «teologia della donna» viene indicata di solito quella ricerca teologica che ha come soggetto la descrizione del ruolo delle donne nella Chiesa, nelle fonti della fede, nelle singole fasi della storia della Chiesa e, soprattutto, nel suo insegnamento contemporaneo. Tale filone di studio è nato nel periodo del concilio, cioè negli anni Sessanta del secolo scorso. Era connesso ovviamente al fatto che le donne avevano finalmente conquistato l’accesso agli studi teologici, divenendo al tempo stesso soggetto teologico. D’altra parte la sua nascita è stata influenzata da una serie di cambiamenti sociali riguardanti i ruoli delle donne e degli uomini. Nella Pacem in terris , Giovanni XXIII ha per primo segnalato questi cambiamenti dandone un giudizio positivo: la cosiddetta «questione femminile» è uno dei segni dei tempi a cui la Chiesa deve prestare attenzione. Si può trovare tale prospettiva anche nei documenti del concilio, specie nella Gaudium et spes , anche se bisogna ammettere che il Vaticano II non ha dedicato molto spazio alla questione femminile. Negli anni successivi l’interesse teologico verso il tema femminile si è sviluppato soprattutto come ricerca teologica femminile o da parte delle teologie femministe. Gradualmente, era in corso anche un significativo cambiamento di prospettiva: non si trattava più soltanto di occuparsi di una selezione delle questioni — quelle cioè riguardanti le donne nella Chiesa e nella società — ma di guardare a tutte le questioni teologiche nell’ottica dell’esperienza della fede delle donne. Si può dunque ragionevolmente supporre che Papa Francesco, dicendo che «le donne pongono domande profonde di cui bisogna occuparsi», si riferisca tra l’altro a queste varie forme di ricerca teologica femminile. Se intendiamo in questo modo il legame tra la teologia e le donne, tanto più risulterà che non si tratta di un fenomeno nuovo nella storia della Chiesa. Essa, infatti, è sempre stata costruita dalle donne e dagli uomini insieme, e anche la riflessione sulla fede è stata opera dei rappresentanti dei due sessi, anche se attraverso strade diverse. Tutto questo è documentato da molte ricerche che riguardano le tradizioni di fede delle donne, a cominciare dalle madri del deserto, per arrivare alle grandi fondatrici delle diverse comunità religiose femminili, anche se veniva loro impedito l’accesso agli studi universitari e quindi anche agli studi teologici. Ciononostante, ad alcune di loro è stato attribuito dai predecessori di Papa Francesco il titolo di dottore della Chiesa, e quindi non solo è stata riconosciuta la loro opera teologica, ma una particolare autorità nella Chiesa. Come sappiamo, hanno ricevuto tale dignità Caterina da Siena, Teresa d’Avila, Teresa di Lisieux e Ildegarda di Bingen. È possibile darsi che il Papa che viene dall’America Latina aggiunga a questo gruppo il nome di una grande donna della Chiesa, proveniente da quella parte del mondo. Indipendentemente da questi gesti importanti e simbolici, Papa Francesco, nei suoi numerosi interventi invita in modo esplicito a trasformare i nuovi propositi di apertura in pratica della fede nella Chiesa. Le richieste presenti nella costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium del concilio Vaticano II — che in seguito sono stati ripresi in molti interventi da Giovanni Paolo II , soprattutto nell’esortazione Christifideles laici — ritornano con grande forza nei discorsi del Papa argentino. Sostenendo che l’ordinazione sacerdotale è riservata ai soli uomini, egli sottolinea con chiarezza che bisogna ripensare la questione della partecipazione delle donne nei processi decisionali nella Chiesa. Ciò è legato al riconoscimento del significativo contributo che le donne danno, già adesso, alla vita della Chiesa. «Vedo con piacere come molte donne condividono responsabilità pastorali insieme con i sacerdoti, danno il loro contributo per l’accompagnamento di persone, di famiglie o di gruppi e offrono nuovi apporti alla riflessione teologica. Ma c’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa», scrive il Pontefice nella Evangelii gaudium . E prosegue: «Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne, a partire dalla ferma convinzione che uomini e donne hanno la medesima dignità, pongono alla Chiesa domande profonde che la sfidano e che non si possono superficialmente eludere (…). Qui si presenta una grande sfida per i pastori e per i teologi, che potrebbero aiutare a meglio riconoscere ciò che questo implica rispetto al possibile ruolo della donna lì dove si prendono decisioni importanti, nei diversi ambiti della Chiesa» ( Evangelii gaudium , 103- 104). Vediamo quindi che Papa Francesco individua la possibilità di significativi cambiamenti nella pratica della Chiesa, deducibili dalle basi stesse della fede cristiana, cioè dal fatto che Dio ha creato l’uomo come maschio e come femmina, dotati entrambi della stessa dignità umana, e che tutti e due sono stati redenti da Gesù Cristo e su di loro è stato, e continua a essere inviato, lo Spirito Santo. Questo tipo di approccio al problema dimostra già che Papa Francesco non considera la «teologia della donna» una questione marginale all’interno del processo di conversione della Chiesa che lui stesso auspica. Sicuramente, in base a ciò, bisognerebbe elaborare dei programmi pastorali capaci di realizzare questo invito. A quali conseguenze porta questo tipo di approccio? La visione di una «profonda teologia della donna» corrisponde a un’altra idea cara a Papa Bergoglio, della «Chiesa povera per i poveri». I poveri, di cui molto spesso parla il Pontefice, sono nella maggior parte donne. Il rilievo che egli dà all’autorevolezza dei poveri è quindi strettamente collegato alla necessità di riconoscere l’autorevolezza delle donne nella Chiesa. Ciò — a mio avviso — rappresenta una chiara presa di posizione contro l’esclusione delle donne dalla teologia, quale quella che avveniva nel passato. E, nello stesso tempo, una chiara inclusione delle opere delle donne alle fonti della teologia con tutte le conseguenze del caso, e cioè con la disponibilità a ripensare la teologia nel suo insieme. Il Papa ha detto che «la Chiesa non può essere sé stessa senza la donna e il suo ruolo», parafrasando si può dire che anche la teologia non può essere sé stessa senza le donne. Come testimone dell’apporto che le donne possono dare allo sviluppo della teologia, e addirittura donne che non erano studiose della materia, voglio proporre una donna eccezionale, Edith Stein, la futura santa Teresa Benedetta della Croce, ebrea prussiana, atea in una certa fase della vita, filosofa, convertita al cattolicesimo, insegnante, impegnata nel sociale, anche nel movimento delle donne, intellettuale, mistica, carmelitana, martire, santa e, dal 1° ottobre 1999, compatrona dell’Europa. L’attività a favore delle donne è rappresentata soprattutto dal suo lavoro di insegnante. Il suo intento principale era quello di motivare le ragazze e le donne cattoliche a studiare. Le sue conferenze del periodo tra gli anni Venti e Trenta del Novecento, raccolte nel volume Die Frau. Fragestellungen und Reflexionen [La donna. Domande e riflessioni], contengono la domanda fondamentale, che lei così formula: «Che cosa è una donna? Esiste l’essenza della donna, della femminilità?». Non le sfugge certo la molteplicità delle condizioni in cui vivono le donne, cosa che rende difficile trovare risposta. «In effetti — scrive — qui nello stesso tempo nasce la seguente difficoltà: si può parlare in generale della condizione della donna. (…) A causa della grande diversità dei tipi e degli individui è difficile parlare di una condizione comune a tutte». Il pensiero di Edith Stein sulla donna si può riassumere in tre affermazioni principali. Per prima cosa, giunge alla conclusione che l’essenza dell’umanità si esprime in due modi: femminile e maschile. In considerazione di ciò, bisogna parlare dell’uguaglianza di tutti in quanto esseri umani. Adducendo argomenti biblico-teologici Edith Stein sottolinea poi che la differenza di genere non privilegia un sesso a scapito dell’altro. Nella rivelazione non si trova nessuna base per sostenere la sottomissione della donna all’uomo. Al secondo livello Stein parla di diversità, della differenza tra i rappresentanti dei due sessi. Questa parte del suo pensiero si concentra sull’identificazione dell’essenza della femminilità che lei vede in due atteggiamenti spirituali: il supporto alla vita e la sua cura, e la conoscenza intuitiva ed empatica. In terzo luogo, Stein parla dell’individualità di ogni essere umano a causa della quale in ogni uomo e in ogni donna l’essenza della mascolinità o della femminilità non deve necessariamente esprimersi appieno. Anzi, può addirittura non essere compatibile con le principali caratteristiche accettate di un dato sesso. L’individuazione di questi tre livelli sembra avere un’importanza centrale per la giusta comprensione del pensiero di Edith Stein, ma è anche straordinariamente attuale nel dibattito contemporaneo sulla rinnovata teologia della donna. Anche se probabilmente le richieste concrete che nasceranno da questo dibattito saranno diverse dalle rivendicazioni formulate allora, che riguardavano il diritto al voto delle donne, passivo e attivo, l’istruzione femminile, la divisione delle professioni in maschili e femminili; questioni che comunque oggi non sono risolte in tutto il mondo. Sembra infatti che esse rappresentino la sintesi di problemi sempre attuali: la richiesta di parità — in termini teologici: grazie all’opera della creazione e della redenzione, che nella pratica si traduce in varie indicazioni dettagliate. La richiesta di riflettere, sempre di nuovo, su in cosa consista la differenza tra le donne e gli uomini. La richiesta di riconoscimento della diversità nella realizzazione concreta dell’essere donna e dell’essere uomo. Questo pensiero è ben illustrato da una frase, citata spesso, di Edith Stein: «Nessuna donna è solo donna». Operando così una fondamentale distinzione tra la natura della donna da una donna reale, lasciando alla sua libertà, come persona umana, la realizzazione della propria vocazione. Per di più, Stein crede che l’esempio di come la differenza tra i sessi viene superata lo forniscano i religiosi e i santi. Essi integrano le caratteristiche dei due sessi: i santi uomini hanno dei tratti caratteristici femminili, mentre le sante donne quelli maschili. Richiamare i pensieri perspicaci di santa Teresa Benedetta della Croce di quasi un secolo fa dimostra quanto sia complessa la realtà con la quale abbiamo a che fare. Tra i tre livelli di pensiero sulla donna (ma di conseguenza anche sull’uomo) da lei individuati, l’ultimo in modo particolare continua a essere poco incisivo nel nostro modo di concepire le relazioni tra i due sessi. E anche nella loro pratica. Nello stesso tempo il suo pensiero attesta che oggi tornando, grazie a Papa Francesco, a una ripresa della teologia della donna, nata nel periodo conciliare, possiamo attingere alle testimonianze di epoche precedenti e trarne ispirazione nell’impegno continuo della sua realizzazione. Sembra infatti che esse rappresentino la sintesi di problemi sempre attuali: in primo luogo la richiesta di parità, motivata teologicamente dall’opera della creazione e della redenzione; secondo, la richiesta di riflettere sempre e nuovamente in cosa consista la differenza tra donne e uomini; terzo, la richiesta di riconoscimento della diversità nella realizzazione concreta dell’essere donna e dell’essere uomo. Ognuno di questi piani produrrà poi conseguenze ulteriori. l’autrice Pasquale Cati, «Il Concilio di Trento» (1588, particolare) Felice Feltracco, Illustrazione dal libro «San Francesco e il lupo» (particolare, 2013)

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