donne chiesa mondo - n. 27 - settembre 2014

women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women L’OSSERVATORE ROMANO settembre 2014 numero 27 Inserto mensile a cura di R ITANNA A RMENI e L UCETTA S CARAFFIA , in redazione G IULIA G ALEOTTI www.osservatoreromano.va - per abbonamenti: ufficiodiffusione@ossrom.va donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo Guidato da loro Il giornalista francese racconta il nocciolo della sua vita spirituale di C HRISTOPHE C HALAND «D evo molto alle donne per quanto riguarda la vita spirituale». Non era la prima volta che lo di- cevo, ma quel giorno la mia interlocutrice mi chiese di dire di più, co- sa che dunque ora faccio. L’ho detto sicuro della mia intuizione. Pen- sandoci su, però, la cosa mi sorprende un po’. Molti uomini sono stati dei punti di riferimen- to importanti nel mio percorso spirituale: sa- cerdoti, religiosi, laici straordinari hanno con- tato molto nella mia vita cristiana, alquanto lunga, visto che ho quasi sessant’anni. Sono stati per me a volte fratelli, a volte più anzia- ni. Si tratta in effetti soprattutto di uomini che mi hanno trasmesso una formazione bibli- ca, teologica, spirituale. Il che si spiega in mo- do semplice: ho vissuto dodici anni in una piccola fraternità di tipo monastico, seguendo anche dei corsi in istituti universitari di teolo- gia. Non ho avuto, dunque, a quel tempo tan- te occasioni d’incrociare formatrici. Allo stesso modo, sono stati dei sacerdoti, ma anche due laici d’eccezione (Jean Vanier e Jean-Paul Lé- gasse), a essere stati per me accompagnatori spirituali generosi. Soprattutto in momenti difficili del mio percorso. Prima di proseguire il mio discorso su ciò che ho ricevuto dalle donne nella mia vita di fede, devo dire ciò che devo loro nella vita, semplicemente. Di fatto, una cosa è legata all’altra. Per raggiungere la maturità, ognuno deve situarsi nell’alterità radicale della differenza dei sessi. Adolescente negli anni post-Sessan- totto, ero diviso tra le ingiunzioni di una so- cietà che esortava a “godere senza freni” e le mie percezioni di giovane cristiano che sentiva che la sessualità è al servizio dell’amore. Sono cresciuto con una certa paura della mia ses- sualità. In seguito, vari anni di psicanalisi, con una terapeuta donna, mi hanno aiutato a libe- rarmi da quella paura e a vivere meglio. Più concretamente, ho spesso apprezzato come qualità femminili un approccio alla vita volto subito alla relazione, con una nota di realismo pratico — le donne dimenticano me- no degli uomini le realtà del corpo — e un’esi- genza particolare riguardo alla parola. Associo volentieri mia madre e mia moglie nel loro amore contagioso per la vita. Apprezzo il fatto di lavorare in un ambito professionale dove uomini e donne condividono compiti e re- sponsabilità, in base non solo al loro sesso, ma anche alle loro competenze e ai loro doni personali: è un bene per tutti. Parliamo ora della vita di fede. Nei vangeli sono le donne ad annunciare per prime la buona novella agli stessi apostoli. Il loro at- taccamento a Gesù è reale mentre quello degli apostoli è innanzitutto verbale. Esse sono al posto giusto, al momento giusto. Come la maggior parte dei bambini, anch’io ho ricevu- to da mia madre, e poi da altre donne, da ca- techiste, i rudimenti della fede in Cristo. In seguito, cercando di vivere la mia fede con gli altri, mi sono ritrovato in un contesto in pre- valenza femminile. Le donne hanno una domanda spirituale spontaneamente più viva di quella degli uomi- ni. Alcuni vedranno in ciò il semplice riflesso di un’attribuzione datata di un ruolo sociale secondo i generi maschile e femminile. Agli uomini la vita pubblica, la visibilità, la rappre- sentanza nell’istituzione ecclesiale, alle donne lo spazio in casa, la cura dei bambini e la loro educazione di base. Quest’analisi non esauri- sce, però, il tema di una certa asimmetria tra il soggetto maschile e quello femminile. «L’ac- coglienza della parola che una vita e un corpo di donna possono rappresentare è fantastica», afferma meravigliato lo psicanalista gesuita Denis Vasse. E io con lui. Quando rifletto su ciò che devo alle donne nella mia vita spirituale, penso al dialogo spi- rituale che ho con alcune amiche, dialogo spesso ripreso, anche se non ci vediamo spes- so. E penso soprattutto agli scritti di donne che non ho conosciuto. Per la mia formazione, e poi per il mio mestiere di giornalista in un giornale di spiritualità ( Panorama , del gruppo Bayard) per circa dodici anni, sono entrato in contatto con molte opere della tradizione spi- rituale antica e contemporanea. Ebbene, i testi che mi hanno più segnato, e che ho letto e riletto, sono quelli di tre donne: Teresa di Lisieux (1873-1897), Madeleine Del- brêl (1904-1964) ed Etty Hillesum (1914-1943). Quando dico “segnato”, intendo dire che quelle letture mi hanno aiutato a vivere. Mi sono sentito in comunione con Teresa, Made- leine ed Etty, nonostante gli anni che ci sepa- rano. Teresa era una monaca di clausura, Ma- deleine una convertita, che visse lavorando co- me assistente sociale a Ivry-sur-Seine, un sob- borgo comunista. Quanto a Etty, giovane ebrea agnostica olandese, passò da almeno tre anni di una vita piuttosto dissoluta a una rela- zione intensa con Dio, in piena persecuzione nazista. Questi tre percorsi così diversi dicono lo stesso mistero di Dio, la sconvolgente carità di Dio accolta nella loro vita. Vissero in modo più vicino possibile a quanto dicevano, dedite all’amore che scoprivano, meravigliose nella loro fedeltà quando la prova le gettava nell’oscurità. Ci sono anche uomini santi, con qualità si- mili, dei quali serbo attentamente il ricordo. Ma le donne parlano da donne. Quando vivo- no radicalmente il loro rapporto con Dio, ap- paiono come delle innamorate, in modo più spontaneo degli uomini. È proprio questo quello che mi offrono di più prezioso, penso. «Ogni essere umano, sia esso donna o uomo, è chiamato a una certa virilità rispetto alla sua natura, ma a una certa femminilità nel suo rapporto con Dio e con il prossimo», non te- meva di scrivere il teologo ortodosso francese Olivier Clément. Le donne incarnano la dimensione nuziale della vita battesimale, che riguarda sia gli uo- mini sia le donne. Parlano dello Sposo e sono spontaneamente immagine della Chiesa. di M ANUEL N IN L a musica liturgica in Orien- te si è sviluppata soprattutto dal punto di vista vocale: sono cioè le voci dei cantori, in genere maschi, e tante volte quelle di tutto il popolo, che segnano lo svolgersi della liturgia stessa. Testimonianze del canto liturgi- co, o se si vuole della liturgia can- tata, nella tradizione bizantina greca si trovano già nei testi dei Padri dal IV secolo in poi. Basti ci- tare le composizioni innografiche di sant’Efrem il Siro (†373) con delle indicazioni — non notazioni, bensì semplici frasi — di carattere musicale di carattere oggi indeci- frabile: sono testi molto lunghi che venivano cantati da tutti op- pure da un cantore a cui risponde- va il popolo con un ritornello. Questo ruolo centrale della vo- ce nel canto liturgico ha un carat- tere originale proveniente dalla tradizione antiochena e in collega- mento stretto con le tradizioni si- riache orientali e occidentali. Fino al IX secolo, soprattutto dopo la crisi iconoclasta, non vi sono no- tazioni musicali. Celebrata oggi in tanti Paesi mediterranei, dal Vicino oriente alla Calabria e alla Sicilia, la litur- gia bizantina greca ha tradizioni specifiche di ogni luogo, ma an- che caratteristiche comuni. Sono composizioni musicali di carattere monodico, cioè cantate senza stru- menti musicali da una o più voci, secondo i casi, ma senza la polifo- nia che si è sviluppata soprattutto nelle liturgie di tradizione bizanti- na slava. Non esistono appunto strumen- ti musicali; è la voce umana l’uni- co strumento nella lode di Dio e nella proclamazione della Parola. Si può dire insomma che la tradi- zione bizantina greca sfrutta la voce e il canto come modo di esprimere la preghiera liturgica. Qual è il ruolo del cantore e so- prattutto della voce nella liturgia bizantina greca? In primo luogo, il canto dei testi liturgici è struttu- rato a partire dall’ oktoèchos , cioè dall’insieme di otto toni musicali diversi, collegati con l’insieme dei testi poetici previsti per un ciclo anch’esso di otto settimane. Sono componimenti che risalgono a un’epoca che va dal V al IX seco- lo, opere di teologia poetica di autori anonimi o di grandi inno- grafi, come Romano il Melodo e Giovanni Damasceno. Questi otto toni musicali vengono applicati ai diversi testi liturgici bizantini lun- go l’anno liturgico. In secondo luogo, la voce sin- gola ha un ruolo fondamentale nella recita e nella preghiera dei Salmi o dei versetti tratti dal Sal- terio, libro biblico attribuito a Da- vide, re e profeta, che ha un posto di grande importanza nella tradi- zione bizantina, soprattutto nella prassi monastica. I singoli salmi vengono recitati da un lettore, con una lettura che spesso non è una semplice declamazione privata, ma con un’intonazione vocale che permette non soltanto di seguire il testo, ma anche e soprattutto di pregare con il salmista. Quindi, in terzo luogo, in tutte le liturgie cristiane, da oriente a occidente, il Vangelo viene canta- to dal diacono, per annunciarlo attraverso la bellezza e la forza del canto. La melodia però non sacrifica mai, anzi in questo modo sottolinea il valore e il senso del testo, la bellezza e la forza della parola di colui che la liturgia, con il libro dei Salmi (44, 7) proclama come «il più bello tra i figli degli uomini». Ancora, in quarto luogo, hanno un ruolo decisivo le voci o i toni melodiosi del vescovo o del sacerdote celebrante durante le preghiere lungo la liturgia e so- prattutto nell’anafora, cantata an- ch’essa a partire dagli otto toni a cui si è già accennato, e quelli del diacono nel canto delle diverse li- tanie nel corso della celebrazione. Infine, per ultimo, spiccano le melodie per i testi particolari o propri lungo l’anno liturgico. Si tratta di melodie che spesso sono entrate nell’anima del popolo fede- le che le canta e diventa in questo modo davvero concelebrante della liturgia, specialmente durante la li- turgia della Settimana santa. Uno di questi casi particolari è il canto degli Enkòmia nel mattu- tino del Sabato santo, la cui melo- dia è diventata un patrimonio en- trato nel cuore dei credenti bizan- tini. Si tratta dell’elogio funebre di Gesù formato da 176 strofe di- vise in tre gruppi che è stato com- posto tra il XII e il XIV secolo. Il canto degli Enkòmia viene fatto di fronte alla tomba di Cristo, collo- cata al centro della chiesa, e le strofe sono cantate alternativa- mente a due cori, a volte intrec- ciate con i versetti del lunghissi- mo salmo 118. La musica, il canto forte e dav- vero vissuto di queste strofe fanno del popolo fedele il vero celebran- te, che incarna i diversi personaggi del componimento poetico, assu- mendo il dolore, il pianto, la gioia. Il ruolo del canto, della voce melodiosa nella tradizione bizanti- na, nei monasteri, nelle cattedrali, nelle chiesette di campagna, è fondamentale, sia per la sua bel- lezza sia, soprattutto, per la forza dell’annunzio della Parola e per la celebrazione della lode al Dio che è Padre, che si è rivelato piena- mente nel Figlio e che ci santifica nello Spirito Santo. Il racconto Difficile senza musica Tra alcol, strada e donne; tra un mondo al margine descritto con linguaggio colorito e straordinaria capacità di analisi; tra un’esistenza di eccessi esasperati e critica al perbenismo; tra migliaia di pagine, geniali a tratti e fastidiose a momenti, ecco che sbucano le donne che non ti aspetti. Due suore. Nel racconto Difficile senza musica , lo scrittore Charles Bukowski — nato in Germania, vissuto in California e morto vent’anni fa a San Pedro, dopo una vita scombinata, per una leucemia fulminante — tratteggia l’incontro tra un uomo, Larry, e due religiose. Lui ha messo un annuncio sul giornale per vendere fonografo e dischi, loro sono interessate all’acquisto perché suor Celia vuole utilizzarli per le sue lezioni con le ragazze più grandi, «è così difficile… senza musica». Descritto attraverso gli occhi dell’uomo — che deve bersi un bicchiere d’acqua e fumarsi nervosamente una sigaretta prima di entrare nella stanza dove le due lo attendono — è l’incontro tra due mondi lontani. Che si studiano un po’ («Era vero quello che diceva Paul? Che si rasano la testa?»), tentano di dirsi qualcosa e concludono l’affare. Nessuno è molto a suo agio. E Larry, meno di tutti. ( @GiuliGaleotti ) Il film Des hommes et des dieux «Io ho detto: “Voi siete dei, siete tutti figli dell’Altissimo. Eppure morirete come ogni uomo”». Con questa citazione biblica inizia il film Des hommes et des dieux (2010) del regista francese Xavier Beauvois, il racconto delle scelte e della morte di otto monaci cistercensi che vivono in un piccolo monastero a Tibhirine in Algeria. C’è una perfetta armonia fra la loro vita che si svolge nella preghiera, nei riti comunitari, nella dedizione alle locali popolazioni musulmane e queste ultime che amano il monastero e vedono nei monaci degli «uomini di Dio». Nel clima di amore, di rispetto reciproco, di fratellanza non proclamata, ma effettivamente vissuta, irrompe il fanatismo terrorista. I monaci diventano uomini di un “altro” Dio, da non amare e rispettare anzi da combattere. Possono, quindi, solo essere usati o uccisi. Il film narra quel che avvenne effettivamente nel marzo del 1996 quanto il jJihad islamico sequestrò i monaci che non avevano voluto abbandonare il monastero e i loro fratelli musulmani, e li trucidò. Le loro teste staccate dal corpo vennero trovate nel maggio dello stesso anno. ( @ritannaarmeni ) R ELIGIOSE PER L ’ ISTRUZIONE DEI BIMBI DISABILI IN I NDIA Per i bimbi disabili, la possibilità di frequentare la scuola è cinque volte inferiore a quella degli altri minori. Anche per questo, a Thrissur in Kerala, le suore della Congregazione delle Samaritan Sisters hanno fondato “Snehadeepthi”, un istituto speciale le cui classi vanno dall’asilo — l’età minima è tre anni — alla scuola superiore professionale. Il progetto nacque nel Duemila in un capanno provvisorio con due stanze e dieci bambini: oggi sono ormai centoquaranta i bambini e gli adolescenti con disabilità psichica che frequentano la struttura, molti dei quali appartengono a famiglie povere. Le suore stanno pensando di costruire un altro padiglione per accogliere nuovi iscritti, ma per ottenere, come sperano, un sostegno economico dal governo, dovranno attivare un servizio di fisioterapia e di terapia del linguaggio, adeguare gli spazi e garantire almeno un insegnante ogni otto alunni. Quest’anno diciotto dei bambini di Snehadeepthi hanno superato gli esami alle scuole statali. Tre hanno partecipato alle Olimpiadi Speciali dell’Asia e del Pacifico in Australia, vincendo ben tre medaglie. S ORELLA ACCOGLIENZA A F ERMO A «La Voce delle Marche» che le chiede quale sia la difficoltà maggiore incontrata nell’accogliere i profughi, suor Rita delle Piccole Sorelle di Gesù di Fermo risponde: «Quella di entrare nelle loro storie». La giovane religiosa è la responsabile del centro che nella cittadina marchigiana accoglie profughi di sesso maschile di età compresa tra i diciotto e i ventisette anni che, provenienti da diversi Paesi africani, chiedono all’Italia asilo politico. Operando a stretto contatto con prefettura e forze di polizia, il centro — che lavora anche grazie al volontariato e alla buona risposta delle famiglie locali — punta molto sull’insegnamento dell’italiano, chiave per l’integrazione. La bellezza di questo servizio? «Vedere — risponde suor Rita — che pian piano si diventa famiglia. Vedere come culture diverse si integrano. È interessante notare come decine di persone provenienti da culture estranee a quella italiana si impegnano pulendo i loro ambienti, cercando di essere puntuali, dando una mano a chi ha difficoltà nella comunicazione». M ADRI AUSTRALIANE DISCRIMINATE Congedi di maternità negati, contratti annullati, ostacoli alla carriera, retrocessioni e dimissioni legate alla maternità: secondo un recente rapporto della Commissione dei diritti umani, in Australia il quarantanove per cento delle madri subisce discriminazioni sul posto di lavoro durante la gravidanza, mentre è in maternità o quando torna a lavorare. Oltre ai danni economici e alla carriera, l’ottantaquattro per cento delle interessate soffre di stress mentale e fisico. La discriminazione colpisce tanto le giovani lavoratrici quanto le professioniste. Dal rapporto è anche emerso che il ventisette per cento degli uomini che hanno usufruito di un congedo per paternità, di un mese o meno, hanno subito altrettante discriminazioni sul luogo di lavoro. S UORE CAPPELLANE ? Un passo avanti sulla strada che potrebbe portare un giorno le suore a svolgere il ruolo di cappellane militari: sei religiose hanno infatti partecipato al corso di formazione per i seminaristi dell’Ordinariato militare, che si è recentemente svolto presso la Scuola Sottufficiali della Marina Militare Domenico Bastianini della Maddalena. La presenza delle suore al corso — ha spiegato don Santo Battaglia, segretario particolare dell’arcivescovo Santo Marcianò, Ordinario militare per l’Italia — «non significa che le religiose assumeranno la qualifica di cappellane, giacché a oggi l’assistenza spirituale ai militari in missione è prevista solo per i sacerdoti. Ma può darsi che questo discorso possa essere riaperto e modificato un giorno». Recentemente lo stesso monsignor Marcianò, che ha presieduto il seminario, non ha escluso che suore e religiose consacrate possano in futuro essere chiamate a prestare assistenza spirituale nelle forze armate. «La presenza femminile ha la sua preziosità e specificità e va sempre meglio valorizzata, ampliando spazi di presenza per le donne nella Chiesa e nella società, come anche Papa Francesco ha sottolineato nella enciclica Evangelii gaudium . Il Pontefice ci invita a uno sviluppo pastorale che sia attento a percorrere vie sempre nuove di evangelizzazione. È per questo che, al fine di una migliore cura spirituale di donne e uomini militari, non si può che incoraggiare — accanto alla necessaria figura dei sacerdoti — la presenza di religiose le quali, come in qualsiasi comunità cristiana, possono portare la ricchezza dei loro carismi, delle loro competenze, del valore stesso della femminilità e della maternità». È MORTA L ORNA W ING PIONIERA DEGLI STUDI SULL ’ AUTISMO All’età di ottantasei anni, è morta Lorna Wing, la psichiatra inglese che ha dato un contributo fondamentale alla conoscenza e al trattamento delle persone con autismo, la prima a utilizzare nel 1981 l’espressione “sindrome di Asperger”. Nata nel 1928, Lorna Wing aveva fondato nel 1962, con altri genitori di bambini autistici, la National Autistic Society nel Regno Unito. Fu dopo la nascita della figlia autistica che la donna riprese le ricerche ormai dimenticate di Hans Asperger, il pediatra austriaco che negli anni Quaranta del Novecento aveva individuato e studiato un gruppo di bambini accomunati da una serie di caratteristiche mai descritte prima di allora. Negli anni Settanta, inoltre, Wing condusse, nei dintorni di Londra, il primo studio epidemiologico sfatando l’idea di Leo Kanner — contemporaneo di Asperger e il primo a utilizzare il termine “autismo” — che questa patologia fosse associata a un’intelligenza fuori dal comune e alla presenza di genitori freddi e distaccati. Lo studio condotto da Wing sottolineò infatti tre punti fondamentali: nel settanta per cento dei casi l’autismo si associa a ritardo mentale, non dipende dalla affettività della madre e interessa tutti gli strati sociali. A lei dunque si deve l’archiviazione della teoria della «madre frigorifero», introdotta proprio con questi termini negli anni Sessanta da Bruno Bettelheim, responsabile non solo di aver colpevolizzato intere generazioni di genitori, ma anche di aver minato la fiducia tra famiglie e medici. C APOFAMIGLIE IN S RI L ANKA Il villaggio di Valipunam, trecentoventidue chilometri a nord di Colombo, capitale dello Sri Lanka, si trova in uno degli angoli più remoti della ex zona di guerra del Paese: le strade sterrate sono impossibili da attraversare, non c’è illuminazione, i collegamenti telefonici sono frammentari. Se tutti hanno paura di vivere da soli nelle loro abitazioni, la situazione è particolarmente grave per le famiglie guidate da madri sole. Secondo le agenzie umanitarie presenti nella regione, nella provincia settentrionale del Paese devastato dalla guerra, sono tra quaranta e cinquantacinquemila le donne capofamiglia che lottano per sopravvivere. In base ai dati del Durable Solutions Promotion Group, coalizione di organizzazioni e agenzie internazionali di volontari, i figli di queste donne sono i più vulnerabili agli abusi sessuali. Alcune di queste famiglie riescono a farcela grazie agli aiuti umanitari, ma sono migliaia quelle che, non ricevendo alcun tipo di assistenza, sono crollate. Q UANDO I GIOCATTOLI SI SVEGLIANO Una paleontologa, un’astronoma e una chimica: da agosto 2014, nei negozi danesi, è possibile acquistare una confezione di Lego che si chiama “Research Institute” e che ha per protagoniste queste tre normalissime donne lavoratrici. Sollecitata anche dalla lettera della piccola Charlotte, una bambina di sette anni esasperata dal fatto di trovare sugli scaffali solo Lego raffiguranti donne che cucinano o vanno in spiaggia e maschi che scoprono il mondo, la ditta produttrice dei mattoncini giocattolo più famosi al mondo ha deciso di correre ai ripari. Perché il mondo fuori, da anni ormai, racconta un’altra storia. Il saggio La mia vita Autobiografia (1927-1977) «Il presente — scrive Joseph Ratzinger in La mia vita. Autobiografia (1927-1977) — non è una determinata data, ma l’adesso di una vita, che può essere lungo o breve. Per me quello che è cominciato con l’imposizione delle mani durante la consacrazione episcopale nella cattedrale di Monaco è ancora l’adesso della mia vita». Siamo alle pagine conclusive della autobiografia intellettuale che l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede pubblicò nel 1997, raccontando cinquant’anni della sua vita, dalla nascita alla consacrazione episcopale. Nel ripercorrere la crescita nelle inscindibili dimensioni di figlio, fratello, studente, amico, sacerdote e teologo, le pagine di Ratzinger — permeate dalla discrezione e delicatezza che abbiamo imparato a conoscere, specie negli anni di pontificato — raccontano la persona, descrivendo una storia. La storia di un uomo, e della sua Chiesa. «Provai la gioia di poter dire qualcosa di mio, di nuovo e, insieme, di pienamente inserito nella fede della Chiesa», scriveva il cardinale. Che lo ha vissuto da Papa. ( @GiuliGaleotti ) Le donne parlano da donne Quando vivono radicalmente il loro rapporto con Dio appaiono in modo più spontaneo degli uomini Apprezzo come qualità femminile un approccio alla vita volto subito alla relazione Con una nota di realismo pratico Jean Guitton, «Femme» (1961) Quando la voce maschile canta Dio Il canto liturgico nella tradizione bizantina greca Non esistono strumenti musicali Sono soprattutto i cantori a segnare la preghiera Non sbaglia mai la data del mio compleanno Alicia B., Liliana e Alicia O. raccontano la loro amicizia con Papa Francesco «È un uomo mite, sobrio e alla mano con un grande senso dell’umorismo Quando lo rincontro trovo la stessa persona che ho conosciuto decenni fa» Queste tre signore argentine sono le amiche di vecchia data di Jorge Mario Bergoglio Estremamente diverse tra loro ma molto simili a tante altre donne sorte di Oprah Winfrey della radio e televisione lo- cale. Bella, benestante, con una carriera sotto i rifletto- ri, il 25 dicembre 1999 in- contrò per la prima volta l’arcivescovo di Buenos Ai- res. Alicia Barrios rimase colpita dalla sua visione della situazione in Argenti- na e nel mondo; dall’idea del ruolo e del futuro della Chiesa; dall’atteggiamento e il linguaggio di estrema semplicità che caratterizzavano Jor- ge Mario Bergoglio. E così, passo dopo passo, tappa dopo tappa condivisi nell’arco di quindici anni come “giornalista pellegrina” un percorso all’interno delle piaghe del dolore nelle “periferie esistenziali” accarezzando il disa- gio. Provando a raccontare e a presentare i fatti in modo diverso. «Il giornalista è come il prete — afferma Alicia — deve avere la chiamata, la vocazione, sentire la mis- sione». Jorge Mario Bergoglio, prosegue la don- na, «è una persona con un grande senso dell’umorismo e continua ad averlo anche da Pontefice. È un uomo mite, sobrio, mol- to alla mano. È davvero fatto così. Una persona diretta, abituata a non avere troppi filtri che si frappongano tra lui e la gente. Personalmente, quando lo rincontro, trovo la stessa persona che ho conosciuto anni fa: con quella coerenza tra fede e vita e anche una grande sensibilità e capacità di ascolto. Era un cardinale che faceva il prete e ora è un Papa che fa il prete. Sicuramente lo sguardo che ha sulle cose è rimasto lo stes- so. Però, come ha detto anche il mio amico padre Pepe, l’ho trovato ringiovanito. Que- sto sicuramente è evidente, c’è in lui un’energia, una forza che è proprio all’ori- gine dello stupore che provoca in tutti noi». rezza di Gesù, e lui al mondo non vuole dire altro che questo». Liliana invece è l’amica cartonera di Papa Francesco. Ha cinquantotto anni e una pen- sione sociale minima. I soldi non bastano. Di notte, appunto, raccoglie cartone: in Argenti- na sono i poveri dei poveri, quelli che per guadagnarsi da vivere rivendono al mattino gli scarti riciclabili della spazzatura. «Lo fac- cio — spiega — per mio figlio e per i miei ni- poti, chissà che la Madonna non mi aiuti a sistemarli tutti». Bergoglio è il Papa dei cartoneros . Quella per il riconoscimento dei loro diritti è una delle storiche battaglie portate avanti dai gruppi dell’associazione sita nel quartiere Parque Avellaneda, nella parte sud-est della città, uno dei più popolari di Buenos Aires. Liliana ricorda che Papa Francesco, ai tempi in cui era arcivescovo, fu attivamente al loro fianco in molte delle iniziative intraprese a favore dell’inclusione sociale dei cartoneros e per il riconoscimento giuridico del loro lavoro. «Jorge Mario Bergoglio è una persona che lotta per i poveri e vive come i poveri, siamo diventati amici in quel periodo. Ha una me- moria incredibile — racconta Liliana, e la sua voce è carica di stima — non sbaglia mai la data del mio compleanno. Non ha mai avuto una macchina né una scorta, mangia per strada e ha sempre vissuto coerentemente con quello che pensa e che dice. Jorge ha moderna. Ha circa sessant’anni e quattro fi- gli, un matrimonio alle spalle e si considera progressista. Il senso della giustizia è stato da sempre il motore della sua vita. «Quando penso a Bergoglio, una cosa ammiro e con- divido profondamente dell’uomo — dice Ali- cia — la convinzione che le certezze assolute sono il rifugio di chi ha paura, e chi si rifu- gia nel fondamentalismo è una persona che ha paura di mettersi in cammino per cercare la verità». Sono loro le amiche di vecchia data del Papa molto diverse tra loro ma molto simili a tante altre donne. di S ILVINA P ÉREZ T occare con mano. Non sarà que- sto da solo una terapia, certo, ma è un buon inizio. Mettersi nei panni dell’altro. È questo il pen- siero, il filo che lega Alicia B., Li- liana e Alicia O. a Papa Francesco. Provare a vivere fino in fondo nella realtà della persona povera, umiliata e spaventata. Impossibile? No, si può fare. Così ha fatto Alicia Barrios quando, in meno di ventiquattro ore, cambiò vita e ini- ziò il suo pellegrinaggio nei luoghi del disa- gio con padre Jorge: nelle carceri di Buenos Aires, nei quartieri poveri, nell’ospedale psi- chiatrico Borda, l’ultima frontiera del disagio mentale nel Paese sudamericano. Alicia è una nota giornalista argentina, una Ed è soprattutto chiaro, prosegue Alicia Barrios, «che questa energia che caratterizza Bergoglio non è il frutto di uno sforzo o dell’entusiasmo per il ruolo che ha ricevuto, ma è il frutto che sgorga da una pace, dalla pace del cuore. Questa è la cosa che comuni- ca subito. È evidente che il suo cuore è ab- bracciato ed è portato in braccio dalla tene- fatto della difesa di noi poveri la sua ragione di vita», conclude. Poi c’è Alicia Oliveira che conosce Papa Francesco da più di quarant’anni ed è diven- tata, nel 1973, il primo giudice donna del fo- ro penale argentino. Tre anni dopo è arrivato il golpe militare, e la giovanissima Oliveira, cacciata da quell’incarico, è stata perseguitata dai militari. «Sono diventata una disoccupata. Dopo che mi hanno mandata via, Bergoglio mi ha inviato uno splendido mazzo di rose. Ci ve- devamo due volte a settimana. Lui accompa- gnava i sacerdoti; ero sempre informata da lui su quanto stava accadendo». Alicia rac- conta quindi una storia legata a quegli anni di piombo. «Quando qualcuno doveva an- darsene dal Paese perché non poteva restare qui un minuto di più, veniva salutato con un pranzo. E lui c’era sempre». Alicia Oliveira parla spesso al telefono con il Papa, si sente emozionata dall’avere «un amico» così importante e ricorda quan- do ha celebrato le nozze di sua sorella. È una donna politicamente impegnata, molto

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