donne chiesa mondo - n. 15 - agosto-settembre 2013

women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women L’OSSERVATORE ROMANO agosto-settembre 2013 numero 15 Inserto mensile a cura di R ITANNA A RMENI e L UCETTA S CARAFFIA , in redazione G IULIA G ALEOTTI www.osservatoreromano.va - per abbonamenti: ufficiodiffusione@ossrom.va donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo «Peggio di così non può succedere al mondo» La drammatica e sconosciuta storia di Teresa Grigolini, eroica suora comboniana di cui forse si aprirà finalmente il processo di beatificazione di L UCETTA S CARAFFIA L a violenza sessuale è stata fin dalle origini uno dei modi di torturare le donne cristiane che si rifiutavano di abbandonare la loro religione. Il cristianesimo, del resto, è l’unica re- ligione che prevede per le donne la scelta del- la castità come via spirituale. Una delle novità più travolgenti del cristianesimo antico, infatti, è stata proprio la possibilità per le donne di scegliere la castità, rendendole uguali a mona- ci ed eremiti, e superiori ai laici appesantiti dalle preoccupazioni familiari. Ma questa uguaglianza veniva a cadere da- vanti al martirio. I pagani, infatti, molto colpi- ti dal numero crescente di vergini cristiane, verso la fine del III secolo avevano cominciato a infliggere loro persecuzioni che assumevano la forma di violenza sessuale o di obbligo a prostituirsi nei lupanari. Si trattava di un tipo di martirio specifico riservato alle donne con- sacrate al Signore, un martirio che gli uomini non conoscevano e che è ricordato nei primi martirologi cristiani — valga per tutti il celebre caso di Agnese — ma che non è stato suffi- ciente in sé a determinare la santità: Agnese è venerata come martire perché, dopo essere sta- ta esposta nuda in un lupanare, è stata uccisa. Dopo i primi secoli, finite le persecuzioni, la violenza sulle donne consacrate si è ripetuta più raramente nelle terre cristiane, per ricom- parire agli inizi dell’età contemporanea, quan- do rivoluzioni e invasioni hanno imposto la cacciata delle monache dai monasteri di clau- sura. Soprattutto è ricomparsa — e purtroppo anche oggi costituisce un rischio reale — per le suore missionarie o che vivono in zone di guerra interreligiosa ed etnica. Se ne parla poco, si tratta di situazioni dif- ficili da definire e soprattutto da risolvere, specialmente quando la violenza dà origine a un figlio, evento che naturalmente obbliga la suora violentata a rinunciare alla sua vocazio- ne di religiosa. Su questi episodi gravano ancora l’imbaraz- zo e la vergogna che, fino a qualche decennio fa, impedivano anche alle nostre società di pravvissuti, Teresa rimase incatenata alla sua nuova condizione. Una catena reale, ma anche affettiva: i figli nati dal matrimonio, infatti, creavano forti legami con il suo nuovo stato di vita. Ella inoltre era perfettamente consapevole che la sua scelta non sarebbe stata facilmente capita e approvata da chi in Italia viveva così lontano dal crudele mondo africano. La fine della speranza costituì per lei un momento terribile: «Eccomi dunque, sola soletta in mez- zo a quei barbari e tanto lontana da tutto il mondo, senza speranza, neanche lontana, di uscire da quella bolgia infernale». Ma anche allora «metteva confidenza in Dio che, do- mandandogli perdono mi avrebbe perdona- to». Anche quando non ha più alcuna speranza negli esseri umani, riesce a sperare e ad accet- tare la volontà incomprensibile di Dio, che le impone di lasciare la vita religiosa che aveva scelto per amor suo: ecco il sacrificio più grande che Teresa compie dentro il suo cuore. E lo compie totalmente, senza riserve: lo te- stimonia il suo ritorno alla casa maritale anche quando — tornata in Italia e accettata dalla sua famiglia con i figli superstiti — potrebbe ristabilirsi lì. Decide invece di assumere fino in fondo il suo destino tornando a vivere con il marito a Ondurman e poi a El Obeid. Un marito violento, che lei assisterà fino alla mor- te, dopo lunga malattia e dopo averlo riporta- to alla fede. Solo a questo punto, finalmente libera dalla sua croce, tornerà in Italia per vi- vere quasi nascosta nella casa di un fratello prete, dal momento che la sua congregazione si rifiutava di accoglierla. Se la rinuncia al proprio io, ai desideri e al- la volontà fanno parte di ogni cammino verso la santità, che ha come obiettivo quello di so- stituire la volontà propria con quella divina, il caso di Teresa nella sua gravità rimane forse unico e misconosciuto esempio di una via par- ticolare al martirio. La sua profonda onestà davanti a Dio, che la porta sempre a scegliere la via più difficile ma giusta, l’aiuta anche ad affrontare chi, in famiglia e nella congregazione, tendeva a in- terpretare la sua scelta matrimoniale come una colpa. Nel memoriale, da lei scritto come una difesa, senza concessioni al patetico, Teresa si assume tutte le responsabilità, e fa capire co- me la saldezza del suo rapporto con Dio le abbia dato quella pace e quella sicurezza inte- riore che il mondo esterno le negava. La sua vicenda, se pure con modalità forse meno drammatiche, è stata condivisa da molte altre missionarie, per le quali la violenza ses- suale ha assunto una connotazione particolar- mente dura perché, nel caso della nascita di un figlio, ha significato l’abbandono di una vita scelta e affrontata con convinzione, quella religiosa. Per loro, l’abbandono alla volontà di Dio ha voluto dire addirittura la rinuncia a donarsi a lui. Sono vite nascoste e preziose, che testi- moniano come la violenza sul corpo delle donne possa prendere tante forme, alcune del- le quali quasi nascoste. di R ITANNA A RMENI V irginia è una donna rumena che ha sposato un camionista italiano conosciuto nel suo Paese. Quan- do, dopo il matrimonio, è arrivata in Italia si è ritrovata semplice- mente prigioniera. Il marito la teneva chiusa in casa, le impediva di fare qualunque cosa e di vedere chiunque. Per timore che lei potes- se lamentarsi della sua condizione non la la- sciava mai sola. In poche parole era ridotta in uno stato di schiavitù. L’unico momento in cui Virginia poteva godere di qualche li- bertà era il corso di italiano organizzato dalla parrocchia. È lì che lei ha chiesto aiuto. È lì che è stata messa in contatto con chi nella Caritas ambrosiana si occupa di donne mal- trattate e che l’ultimo giorno del corso, l’ulti- mo momento in cui era possibile evitare il controllo del marito, ha organizzato la sua fuga. Oggi è una donna libera che ha trovato un lavoro e ha riconquistato quel permesso di soggiorno che, fuggendo dal marito, aveva perduto. Virginia, o meglio la parrocchia che l’aveva ascoltata, si era rivolta al Se.D (Servizio disa- gio donne), un centro di ascolto che fa parte della più ampia «area del maltrattamento e disagio delle donne» nella diocesi più grande d’Europa quale è quella ambrosiana. Qui tro- vano ascolto e vengono aiutate in un percor- so di liberazione e di riconquista della pro- pria dignità molte donne che subiscono so- prusi e violenze. L’iniziativa della Caritas ambrosiana è nata fra il 1993 e il 1994. Si trattava in quegli anni di un’esperienza inno- vativa, ma che oggi è saldamente incastonata nell’attività della diocesi. Suor Claudia una donna minuta che, evidentemente, non teme di portare grandi carichi, ne è responsabile. «Molte cose sono cambiate dal nostro ini- zio — racconta — anche se in modo soft. Quando abbiamo cominciato c’era scarsa consapevolezza della violenza che attraversa- va anche le cosiddette famiglie normali, quel- le che andavano in Chiesa e che le parroc- chie conoscevano». Era il silenzio il nemico da combattere. Oggi sono spesso i parroci a segnalare i casi di violenza, i maltrattamenti subiti dalle donne, a telefonare per loro. Nelle parrocchie ci sono centri di ascolto che segnalano le condizioni a rischio perché sono l’unico po- sto in cui quelle donne riescono ad andare. Sono le parrocchie, infine, che spesso metto- no a disposizione stanze e luoghi in cui le donne possono rifugiarsi. Ma le segnalazioni alla Caritas arrivano anche dalle forze dell’ordine, dalla clinica Mangiagalli che ha un centro antiviolenza o dalla Casa delle donne maltrattate, istituzioni laiche con le quali si mantengono rapporti costanti. A tut- ti si risponde. Per tutte si cerca una solu- zione. Nel 2012 sono state 143 le donne che han- no telefonato e che hanno ricevuto ascolto, 64 italiane e 79 straniere. Di queste, 16 sono entrate in una comunità, 33 non ne hanno avuto bisogno e hanno avuto “un percorso territoriale”, sono state cioè seguite fino alla soluzione dei loro problemi. Per alcune l’intervento è stato rapido, ne- cessariamente rapido. «Ci sono dei casi — racconta Anny Procaccini del Se.D e quindi in contatto diretto con i casi di violenza — in cui bisogna agire tempestivamente ed essere pronti in poche ore». Anny racconta il caso di una ragazza paki- stana, nata e vissuta in Italia, con costumi e abitudini occidentali, costretta dai genitori a un matrimonio combinato con un ragazzo del suo Paese. Lei prima aveva chiesto aiuto, poi non si era fatta più viva. Ha richiamato dopo alcuni mesi. Aveva accettato di sposar- si, ma quando il marito era arrivato in Italia era iniziata una vita di violenza e di botte. Allora aveva ricordato quel numero di telefo- no. Anche per lei è stato attivato il pronto intervento. Anche lei è stata fatta scappare. Ma ci sono anche casi più complessi in cui non si tratta di recidere un legame, ma di ri- costruire un rapporto su basi diverse. Come quello di una donna di oltre settant’anni i cui maltrattamenti da parte di un marito più giovane erano soprattutto psicologici. In questo caso il percorso è stato differente. La donna è stata aiutata e rinforzarsi a credere in se stessa, a reagire. «Ogni donna è un ca- so diverso» non si stancano di ripetere le donne del Se.D. Nella sede della Caritas nella Milano stori- ca si respira un’aria di efficienza e di sereni- tà. Le donne che vi lavorano — sono proprio tutte donne, laiche e religiose — mostrano una dedizione esente da eccessi di vittimismo o da denunce troppo urlate. Qui si affronta- no i casi segnalati uno per uno, o meglio donna per donna. Non è possibile fare una casistica. Non è possibile decidere prima che cosa fare. Non è neppure possibile dire che cosa fa scattare il bisogno di chiamare anche se è chiaro che affidarsi a qualcuno, soprattutto per le straniere, è un passo im- portante. Ci sono donne la cui soglia di tolleranza nei confronti dei maltrattamenti è molto alta, solo dopo anni e anni si rendono conto di non poter vivere come sono costrette. Ci so- no casi in cui la richiesta di aiuto viene im- mediatamente al primo avviso di violenza. «Non ci sono situazioni che si possono af- frontare con l’accetta, non ci sono regole va- lide per tutte — spiega suor Claudia — e ogni percorso non può che essere personalizzato, vale per quella donna e solo per lei. Abbia- mo visto che questa impostazione le rassicu- ra, le spinge a fidarsi e a confidarsi». Si insiste molto su questo approccio in cui al centro c’è la persona, la donna, non una idea astratta di violenza o di libertà. È pro- prio questa, probabilmente, la specificità di un centro di accoglienza religioso che non pretende norme da seguire, ma fa solo dell’ascolto una regola assoluta. È stato questo modo di aiutare le donne, fuori da ogni pregiudizio o ideologia, il con- tributo specifico della Caritas ambrosiana all’attività dei centri di accoglienza per don- ne maltrattate o contro la violenza che in una città come Milano costituiscono ormai una rete solidale. Fra di loro c’è una discussione sui tempi e sui modi dell’accoglienza ma ci si trova d’accordo sul fatto che ogni donna de- ve essere aiutata a costruire il suo personale percorso di vita. «Per me — dice Alessandra Kustermann, responsabile del servizio antiviolenza della Mangiagalli, in contatto continuo con la Ca- ritas — il rapporto con loro è facile. Di fronte a un caso di violenza è spontaneo affidare lo- ro la donna. So che c’è una capacità di ascol- to molto alta e una sensibilità alla diversità delle situazioni che viene dalla frequentazio- ne delle immigrate. Sanno che l’elaborazione della violenza non è la stessa cosa per tutte. Che recidere dei legami non è automatico o indolore». «La denuncia non basta — spiega Anny Procaccini, in polemica anche con i mezzi di informazione che si limitano a spingere le donne solo a denunciare chi le maltratta — e non basta se poi la donna rimane sola, non sa che cosa fare, non ha un aiuto concreto. Può addirittura peggiorare la sua vita perché, senza mezzi e senza sostegni, è costretta a tornare dal suo persecutore. Anche tagliare un legame, senza aver preso piena consape- volezza, senza aver elaborato strumenti di di- fesa, può essere inutile». Il punto è creare una rete, produrre infor- mazione e formazione. E infatti il lavoro di formazione è fondamentale. Grazie a questo le cose sono cambiate, spiega suor Claudia, «nel 1994, quando abbiamo cominciato ab- biamo accettato il fatto importante che anche le comunità cristiane potevano vivere una contraddizione, che c’erano delle famiglie nelle quali nel momento in cui entravano la sopraffazione e la fine della dignità femmini- le veniva meno il progetto di Dio. La violen- za lo travolgeva, lo cancellava perché diceva che l’amore era venuto meno. La Chiesa non poteva tacere, doveva darsi delle strutture per rispondere». Nessuna difficoltà? Anche in questo caso si insiste sul percorso, sui molti incontri, sulle molte serate passate a discutere nelle parrocchie per costruire una rete, per educare e formare. Si sono fatte mostre, si sono pubblicati opuscoli, si sono diffusi dati. E si citano le parole di Giovanni Paolo II nella Lettera alle donne nelle quali è contenu- ta la spinta alla loro missione. «Sono convin- to che il segreto per percorrere speditamente la strada del pieno rispetto dell’identità fem- minile non passa solo per la denuncia, pur necessaria, delle discriminazioni e delle in- giustizie, ma anche e soprattutto per un fatti- vo progetto di promozione, che riguardi tutti gli ambiti della vita femminile, a partire da una rinnovata e universale presa di coscienza della dignità della donna». Il racconto Trois femmes puissantes Khady è una giovane vedova africana, sterile. Scaraventata nel carico di un mercante di uomini, cerca di fuggire clandestinamente verso la Francia. Lungo la via viene stuprata, sfruttata, derubata, venduta, ferita. Eppure le pagine più dure della storia di Khadi — terzo e ultimo racconto del libro Trois femmes puissante s con cui Marie Ndiaye, nata nella banlieue parigina da padre senegalese e madre francese, ora vive a Berlino, ha vinto il Premio Goncourt 2009 — sono quelle che raccontano della violenza esercitata su di lei dalle donne della famiglia del defunto marito. «Khady sapeva di non esistere per loro. Perché il loro unico figlio maschio l’aveva sposata nonostante le loro proteste, perché lei non era stata capace di procreare e perché non godeva della protezione di nessuno, l’avevano tacitamente (...) esclusa dalla comunità umana, e i loro occhi duri, poco più che fessure, (...) che si posavano su di lei non facevano nessuna distinzione tra quella forma chiamata Khady e le altre, innumerevoli, delle bestie e delle cose che popolavano anch’esse il mondo». Sola e sconfitta, Khadi però non verrà mai spezzata, perché salvata dal suo forte senso di identità. Un sé inespropriabile, perché resistere alla sopraffazione è un’arte che la ragazza ha la forza di imparare. ( @GiuliGaleotti ) Il film The Accused È una scena drammaticamente memorabile: Sarah Tobias (interpretata da un’eccezionale Jodie Foster, che per la parte vinse l’Oscar), in bagno davanti allo specchio, si sta tagliando i capelli. Il suo sguardo di giovane donna è terribile: trasuda rabbia e odio verso chi l’ha violentata, ma anche una sorta di rifiuto verso la ragazza che era prima della violenza. La scena — tratta dal film The Accused (1988) di Jonathan Kaplan, pellicola statunitense dura e vera incentrata sullo stupro di una giovane cameriera su un flipper a opera di tre ragazzi (tra l’incitamento generale degli avventori) — focalizza una tra le conseguenze più gravi e pericolose prodotte dalla violenza sessuale. La volontà di autopunirsi che, in modo più o meno velato, la vittima prova. Nel film (tratto da una storia vera) la parte del procuratore che si occupa del caso è interpretata dall’attrice statunitense Kelly McGillis, vittima nella vita reale di un episodio di stupro. ( @GiuliGaleotti ) S TRAGE DI DONNE IN C OLOMBIA In Colombia 514 donne sono state uccise nel primo semestre 2013. Al primo posto la regione di Valle del Cauca con 144 casi di femminicidio, a cui seguono Antioquia con 68 e Bogotà con 56. Dando la notizia, Radio Caracol ha citato un rapporto dell’istituto di medicina legale della capitale colombiana. I dati — raccolti da esperti dell’istituto, verificati e studiati dal Centro nazionale di riferimento per la violenza — rivelano che la maggior parte delle vittime sono donne comprese nella fascia di età che va dai 30 ai 34 anni. C ACCIA ALLE STREGHE IN I NDIA Sembra narrare storie di un’altra epoca il servizio di Matteo Fagotto pubblicato sul mensile «Jesus». È invece stretta attualità il racconto delle migliaia di donne che ogni anno vengono accusate di stregoneria in India. Capri espiatori per giustificare eventi apparentemente inspiegabili come morti improvvise, cattivi raccolti, epidemie, le vittime sono messe ai margini dalle rispettive comunità, rifiutate dalle famiglie, ripudiate dai mariti. Emarginate, picchiate, linciate, uccise: succedeva nell’Europa e negli Stati Uniti del Seicento, e succede ancora oggi in una delle aree più arretrate del Paese asiatico. È tenace l’impegno della Chiesa cattolica nella zona, volto a condannare le accuse di stregoneria definendole «un crimine contro Dio». Z ILDA A RNS VERSO LA BEATIFICAZIONE Nel 2015 l’episcopato brasiliano inizierà la pratica per la beatificazione di Zilda Arns (1934-2010), missionaria laica e pediatra, tra le più famose attiviste per i diritti umani del Brasile, paladina della lotta contro denutrizione e mortalità infantile (il processo partirà solo allora giacché la domanda va presentata dopo il quinto anniversario dalla morte del candidato). Nel 1983 Arns fondò la Pastorale del Bambino, organizzazione umanitaria cattolica legata alla Conferenza nazionale dei vescovi brasiliani, che oggi opera in oltre venti Paesi tra America latina, Africa e Asia. Madre di cinque figli e sorella del cardinale Paulo Evaristo Arns, candidata per tre volte al Nobel per la pace, nel 2002 Zilda ricevette il premio della Pan American Health Organization per l’impegno umanitario. È morta il 12 gennaio 2010 nel terremoto che ha devastato Haiti. Era giunta nell’isola una settimana prima per affrontare il dramma della denutrizione. G LI ORFANI DEI FEMMINICIDI «Sono i bimbi senza mamma e papà le altre vittime dei femminicidi»: in base a ciò che risulta dall’inchiesta di Raphaël Zanotti, pubblicata sul quotidiano italiano «La Stampa» del 6 agosto scorso, si tratta per lo più di minorenni molto piccoli, per cui i tribunali italiani dispongono l’adozione o l’affidamento a famiglie terze, preferendo non lasciarli con zie e nonni d’origine. La necessità che emerge dall’inchiesta è quella di non dimenticare mai che si tratta di orfani con una storia drammaticamente lacerante. Privati violentemente delle madri dalla mano dei loro padri, questi figli necessitano un aiuto esterno mirato. Solo così sarà possibile ridare luce a vite spente che rischiano di finire triturate sotto il peso della loro atroce storia. I N BICI DA R OMA A G ERUSALEMME È cominciata il I ° agosto da San Pietro l’avventura in bicicletta lungo la via Francigena del sud di Gaia Ferrara e Silvia Colesanti, pellegrine italiane che dal 2005 a oggi hanno fatto lunghi viaggi in bici e, tra questi, tre pellegrinaggi (il Cammino di Santiago in Spagna, la via Francigena del nord da Canterbury a Roma e il Cammino di Nikulas lungo il Reno). Nell’ambito del progetto «D2, Due Donne, Day by Day», Gaia e Silvia hanno iniziato il loro viaggio dopo la benedizione del cardinale Angelo Comastri. In diciassette giorni, hanno attraversato Lazio, Campania e Puglia per un totale di novecento chilometri. «Ammainate le bandiere dalle aste, tolte le palme dalle poppe (...). Chiuse le credenziali con l’ultimo timbro (…) cala il sipario sul primo atto del nostro viaggio» hanno scritto il 18 agosto sul loro blog (hanno anche un diario su Facebook). Gaia e Silvia riprenderanno le bici a dicembre: concluderanno allora il loro cammino lungo le strade della Terra Santa, celebrandovi il Natale. M ARIA MADRE DELLA RICONCILIAZIONE COREANA «La Vergine Maria è madre della riconciliazione fra la Corea del Nord e la Corea del Sud. A Lei va affidata la promozione della pace nella penisola»: lo ha affermato in un messaggio l’arcivescovo di Seoul, monsignor Andrew Yeom Soo-jung, nuovamente intervenuto sull’urgenza di riconciliare le Coree. Il messaggio giunge in un momento in cui i due Paesi stanno cercando di riavviare le riunificazioni familiari fra membri dei nuclei divisi dalla frontiera, mentre le esercitazioni militari congiunte in corso fra Stati Uniti e Corea del Sud alimentano la tensione. Prendendo lo spunto da due eventi — uno civile (l’indipendenza della Corea del Sud) e uno religioso (l’Assunzione) — l’arcivescovo ha ricordato che se oltre sessant’anni fa Maria fu «madre della liberazione» dall’imperialismo giapponese per il popolo coreano, oggi deve essere «madre della riconciliazione». E, citando la Pacem in terris , ha proseguito sostenendo che la riconciliazione fra i due Paesi non è solo una questione locale, ma è anche «la via per la pace nel mondo». A LUNNE CONGOLESI ABUSATE DAGLI INSEGNANTI In alcune scuole del Congo, insegnanti e autorità scolastiche approfittano del loro status per abusare delle alunne. Secondo l’organizzazione locale African Association for the Defence of Human Rights (Aadhr), l’ignoranza della legge e il timore di denunciare gli aguzzini continuano ad alimentare gli abusi sessuali in particolare a Kinshasa e Matadi. Il recente rapporto di Aadhr intitolato School and Sexual Abuse in DRC: Knowledge is Power denuncia circa cento casi di stupro avvenuti tra aprile e giugno in 45 scuole delle due città (i dati sono stati raccolti dalla polizia locale e da Aadhr). Nel 2006 il Paese africano ha approvato due leggi che prevedono condanne severe contro le aggressioni sessuali verso i minori di 16 anni, ma secondo il vice presidente nazionale del Congolese Association for Access to Justice (Caaj) tali norme sono insufficienti. In media, secondo Caaj, l’ufficio del pubblico ministero riceve circa 15 denunce la settimana, ma è fondamentale sollecitare ancora le studentesse a denunciare i tentativi di violenza. D ONNE FILIPPINE VIOLENTATE DUE VOLTE Donne filippine vittime di abusi sessuali da parte di funzionari governativi in servizio nelle ambasciate filippine nei Paesi del Medio Oriente: è questa la precisa denuncia che il sacerdote cattolico Shay Cullen, missionario nell’arcipelago asiatico, ha inviato a Fides, chiedendo al presidente Benigno Aquino «tolleranza zero sullo sfruttamento sessuale». Padre Cullen, fondatore dell’associazione Preda che combatte lo sfruttamento minorile, ha raccolto storie che riferiscono di donne costrette a prostituirsi per ottenere dai funzionari delle ambasciate un biglietto aereo e il disbrigo delle pratiche per tornare in Patria. Non solo dunque molte domestiche filippine vengono violentate dai datori di lavoro, ma abusano di loro anche le persone pagate dallo Stato per assisterle. Padre Cullen ha chiesto alla magistratura di indagare e di accertare le responsabilità sulla base delle testimonianze da lui raccolte. Stigmatizzando lo sfruttamento, la corruzione e la diffusa violenza su donne e bambini, il sacerdote ha anche denunciato la pericolosa subcultura che nelle Filippine tollera in silenzio lo stupro e il traffico di esseri umani. Nel giugno scorso, del resto, le Filippine sono finite nella Tier 2 Watch List , la lista nera del Rapporto sul traffico di esseri umani stilata dal Dipartimento di Stato statunitense che include i Paesi che non rispettano gli standard minimi internazionali nel frenare la tratta di esseri umani. Il saggio Esclavas del poder Il mercato degli esseri umani è oggi uno dei più redditizi del mondo. Ogni anno quasi un milione e mezzo di persone, in prevalenza donne e bimbe, sono ridotte a schiave sessuali: comprate, vendute e rivendute come materia prima, scarti o trofei. Lo sviluppo dell’industria sessuale a livello mondiale ha creato un mercato — documentato in oltre 175 nazioni — in procinto di superare il numero di esseri umani venduti all’epoca della schiavitù. Lo ha documentato, rischiando la vita, la giornalista messicana Lydie Cacho nel libro Esclavas del poder (2010): esiste un autentico boom di reti organizzate che rapiscono, comprano e schiavizzano bambine e donne. Tutto questo, spiega Cacho, grazie alla diffusione di una cultura che considera normali il rapimento, la sparizione, la compravendita e la corruzione di bimbe e adolescenti onde trasformarle in oggetti sessuali. La denuncia del libro, però, va oltre i meri dati. Milioni di persone considerano la prostituzione un male minore, scegliendo di ignorare lo sfruttamento. «Quando ascolto le argomentazioni a favore della legalizzazione, che restituirebbe alle donne il controllo sul proprio corpo, mi torna alla mente lo sguardo perso nel vuoto delle bambine che mai hanno avuto il potere di decidere». ( @GiuliGaleotti ) Fu una delle prime religiose a seguire nel 1875 in Africa Daniele Comboni «Essa è l’anima di tutte e guai a noi se il Signore la prendesse con sé» scrisse un missionario Il sacrificio di questa missionaria ha implicato non solo la fine della sua vocazione religiosa ma anche di ogni speranza umana Rimase infatti incatenata per tutta la vita alla sua condizione di moglie forzata Sopra e in basso foto delle missioni in alcuni villaggi del Sudan (Bahr el Ghazal, Delen) e dell’Eritrea (Amba Derò, Archico, Acria), 1880-1930 circa (Roma, Archivio Pie Madri Missionarie Comboniane) Per mano contro la violenza Inchiesta sul Se.D, Servizio disagio donne, centro di ascolto della Caritas ambrosiana «Anche le comunità cristiane potevano vivere una contraddizione C’erano famiglie in cui entrava la sopraffazione e veniva meno il progetto di Dio» La responsabile è suor Claudia donna minuta che non teme i carichi Lo scopo è creare una rete giacché la denuncia da sola non basta giudicare le violentate come vittime: su di loro sembrava sempre calare l’ombra della colpa, della connivenza con il violentatore. Se in am- bito laico il femminismo ha combattuto per sfatare questo pregiudizio — che induceva fronzoli — Teresa scrive: «Dico che peggio di così non può succedere al mondo». Dopo questi anni, in cui ha sempre resistito alle pressanti richieste di apostasia e ha più volte proclamato di preferire a questa la morte, con molte donne a non denun- ciare la violenza subita — nel mondo cattolico questa opi- nione sta scomparendo solo ora, come dimostra il proces- so di beatificazione che le suore comboniane stanno preparando nei confronti di un’eroica missionaria costret- ta al matrimonio più di cen- to anni fa, Teresa Grigolini. Teresa, una giovane donna che condivide il sogno di Daniele Comboni di «rigenerare l’Africa», fu una delle prime religiose a seguir- lo nel 1875 nel Sudan, in luoghi inospitali per il clima e l’estrema povertà, con tanta passione e competenza da essere considerata dal fonda- tore «il modello della vera suora missionaria dell’Africa centrale, il primo e più compiuto soggetto della congregazione delle Pie madri della Nigrizia». Altre lettere di missionari comboniani che collaboravano con lei confermano questo lu- singhiero giudizio: «Essa — scrive Padre Or- walder dalla missione di El Obeid — è l’anima di tutte: quando lei manca, manca tutto. È portatrice di gioia, di coraggio, e guai a noi se il Signore la prendesse con sé». Teresa non muore di malattia, come tante coraggiose giovani che l’hanno seguita, ma in- contra un supplizio peggiore quando la mis- sione viene occupata dalle truppe vittoriose del Mahdi. Sarà costretta infatti a vivere dieci anni in prigionia, torturata da stenti e timori di violenza, ma soprattutto dal dolore di sen- tirsi abbandonata dal clero e dalla sua congre- gazione, che non riuscivano a fare arrivare soccorsi né ad avviare tentativi diplomatici per liberare i prigionieri. Nelle memorie della prigionia, che scrisse pochi anni prima di morire — un testo dram- matico proprio per lo stile scarno e senza le altre suore viene costretta dal Mahdi al ma- trimonio. Si organizzano così matrimoni fittizi con al- cuni greci, anch’essi prigionieri ma, dopo sette anni in cui non nascono figli, diventa improv- visamente necessario, per la salvezza di tutti, che almeno uno dei matrimoni venga consu- mato e la nascita di un figlio lo provi. Padre Orwalder decise che si doveva sacrificare pro- prio Teresa — tutte erano state sciolte dai voti all’arrivo del Mahdi — con una scelta poi con- testata duramente, al momento del ritorno in Italia, sia dalla Santa Sede che dalla famiglia Grigolini. Perché richiedere questo drammati- co strappo a una missionaria perfetta? Sappiamo solo che Teresa, seppure con di- sperazione, ha avuto la forza di obbedire: «Confesso pure la mia miseria, pensai che il Signore mi avesse fatto torto. Per un anno in- tero — scrive nel memoriale — piansi la mia di- sgrazia, ma più ancora il giorno della libera- zione. Tutti, dicevo tra me, tutti hanno trovato la loro liberazione; le suore al loro convento, e tutti gli altri in seno alle proprie famiglie e ai loro paesi; per me sola non ho potuto trovare né il mio convento né la mia famiglia; e fino alla morte sarebbe durata la mia schiavitù». Si tratta di un sacrificio, infatti, che implica non solo la fine della sua vocazione religiosa, ma anche quella di ogni speranza: quando l’arrivo degli inglesi liberò i prigionieri so- Dopo i primi secoli la violenza sulle donne consacrate si è ripetuta più raramente nelle terre cristiane per ricomparire agli inizi dell’età contemporanea Oggi costituisce un rischio reale per missionarie e suore che vivono in zone di guerra Tamara De Lempicka, «Mani e fiori» (1949 circa)

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