donne chiesa mondo - n. 12 - maggio 2013

women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo L’entusiasmo delle donne Una difesa pronunciata nel 1617 dalla religiosa che Benedetto XVI ha dichiarato venerabile Mary Ward nacque nell’Inghilterra di Elisabetta I , quando era difficile essere cattolici, e per realizzare la sua vocazione religiosa emigrò in Francia a Saint-Omer. Però il suo tentativo di praticare una vita attiva dedita all’insegnamento, ispirandosi alla regola dei gesuiti, incontrò molte difficoltà. Nonostante i viaggi per incontrare i Papi e convincerli, non ricevette mai la loro approvazione, anche se aveva già fondato monasteri e scuole in vari Paesi. Oggi più di quattromila religiose, le Dame inglesi, la consi- derano la loro fondatrice. Di ritorno da un viaggio, nell’autunno del 1617 arrivò al monastero di Saint-Omer, dove trovò le suore scoraggiate per una frase che aveva rivolto loro il ministro dei gesuiti, e pronunciò un discorso molto forte e importante per tutte le donne, di cui riportiamo ampi stralci. l’entusiasmo non svanisce, e svanirà, perché, a conti fatti, esse sono solo donne». Cara madre, mi domando se egli realmente ci conosca. (…). Il fervore è il desiderio di fa- re ogni cosa bene; è una grazia dataci libera- mente da Dio, che ci predispone a lui e alle sue opere, ed è piuttosto immeritata da parte nostra. È infatti vero che il fervore spesso si raffredda, ma perché? Perché siamo solo don- ne? Certamente no. Piuttosto è perché noi sia- mo gente peccatrice, e riguardo a questo noi non differiamo un bel niente dal sesso op- posto. Perciò la questione non è che noi siamo donne, ma perché noi siamo donne imperfette che non sempre cercano la verità, ma si accon- tentano di vivere nella menzogna. Veritas Do- mini manet in aeternum : la verità del Signore rimane per sempre. Notate che non si tratta della verità degli uomini, nemmeno della veri- tà delle donne, ma della verità di Dio, e que- sta divina verità è divisa equamente dalle don- ne e dagli uomini. Se noi ci fermiamo nel fer- vore, non è perché noi siamo donne, ma per- ché non apprezziamo la necessità di vivere nella verità di Dio. (…) Molte donne religiose, e anche uomini, hanno perso il loro fervore, perché hanno di- menticato che questa grazia di Dio è data in previsione del futuro e infatti è un segno della prescienza di Dio e della sua Provvidenza nei nostri riguardi; sono sicura che voi abbiate già sentito questo; so di averlo ascoltato io stessa e da gente molto più saggia di me. Poiché tali religiose hanno omesso di apprezzare il favore accordato loro, si sono invece aggrappate alla consolazione nella preghiera e alla soddisfa- zione guadagnata da ciò che esse fanno per Dio. Originariamente sono pervenute alla vita religiosa con il desiderio di abbandonare ogni cosa per la verità che è Dio; ma, vi ripeto, so- no cadute nella trappola pericolosa del porre troppa fiducia nei sentimenti del conforto e del diletto. E quando quelle consolazioni si sono ritirate, la preghiera è sembrata dura e Dio le ha apparentemente abbandonate, esse hanno pensato di aver perso il loro fervore. Ma è un errore pensare così: il fervore può essere trovato nell’aridità e nella monotonia, perché il fervore non deriva da sentimenti, ma da un desiderio di fare bene, e le donne pos- sono avere quel desiderio allo stesso modo de- gli uomini. Così noi vediamo che, riguardo al fervore, non c’è differenza fra i sessi. Anche le donne possono fare grandi cose per Dio, co- me noi abbiamo visto dagli esempi di molte sante. Davvero io spero sinceramente che le donne nell’avvenire faranno grandi cose per il regno di Dio. (…) Vi imploro tutte, per amor di Dio, di porre prima di tutto la vostra fiducia e poi il vostro affetto e la vostra dipendenza in lui solamen- te, non nel superiore o quel padre o quell’altra persona, in modo tale che, se essi fossero por- tati via, tutto non vada perduto. Non sto cer- to dicendo che l’affetto sia una cosa negativa, o perfino una certa dipendenza: ciò che sto dicendo è che queste cose possono diventare disordinate e distruttive. (…) Voglia Dio che ciascuno capisca che le don- ne, se esse lo desiderano, possono anche aspi- rare ad uno stato di perfezione. Io sono abba- stanza sicura che noi potremmo realizzare grandi cose, se solo essi volessero non dover credere che noi non possiamo fare nulla per- ché siamo “solo donne”. Spero che voi possiate comprendere ciò che sto dicendo sulla verità e lo capiate bene, quando avrete la possibilità di rifletterci sopra. Può anche darsi che qualcuna di voi non af- ferri ancora l’ultimo punto, ma forse, col tem- po, voi arriverete a vederne l’importanza. C’è stato un padre della Compagnia, che è arrivato da poco in Inghilterra, al quale ho sentito dire che non avrebbe voluto essere una donna nemmeno per mille mondi perché egli pensava che le donne fossero incapaci di co- noscere Dio. Io avrei potuto dirgli dell’esperienza che io ho del fatto contrario, ma ho desistito e ho so- lamente sorriso. Avrei potuto compatire la sua mancanza di giudizio, ma no, non volevo dire questo; egli è un uomo dal giudizio buonissi- mo; volevo dire mancanza di esperienza. (…) Concludendo, quindi, tutto ciò che io devo dirvi per questa sessione è ripetervi la mia pre- ghiera affinché voi amiate e cerchiate la verità. narla a quella protestante tedesca. E ritengo che la Svenska Kyrkan sia avanti per quanto riguarda la lettura dei segni dei tempi. C’è molta creatività nella preparazione alla Confermazione, e sono tante le parrocchie che resistono alla tendenza di una diminuzione del numero di giovani nei corsi per la Confermazione. Agli occhi dei di M ARIA B ARBAGALLO M adre Cabrini e la sua compa- gna di viaggio giunsero a Mendoza il 1° dicembre 1895 e di lì, dopo qualche giorno, arrivarono a Buenos Aires dove la religiosa italiana iniziò a percorrere in lungo e in largo la città per trovare una casa dove iniziare la sua opera. Fu durante una di queste camminate che madre Cabrini avvistò un albero di palma altissimo. Guar- dandolo disse: «Là noi avremo una missio- ne». Era il quartiere Flores, dove le suore si insediarono quattro anni dopo, per protegge- re orfanelle e bambine di umile condizione. Dopo aver visitato circa sessanta case decise di prenderne una in centro, nella Calle Bel- grano, per aprire il collegio Santa Rosa che avrebbe potuto dare alle prime suore la pos- sibilità di vivere. La missione presso il barrio periferico, in- vece, iniziò gradualmente: le ragazze del col- legio andavano nei giorni di festa a radunare i bimbi che vivevano per le strade e facevano un po’ di catechismo tra una caramella e l’al- tra per attirarli. Ma madre Cabrini pensò su- bito a qualcosa di più stabile, come è scritto nelle Memorie delle fondazioni argentine : «La nostra venerata Madre Fondatrice, sempre as- setata della salvezza delle anime, per divina ispirazione comprò questa casa, situata in un sobborgo di Buenos Aires, allora esclusiva- mente abitato da emigrati, quasi tutti italiani, dell’infima classe. Era un podere abbandona- to da molti anni, dell’estensione di due ettari e mezzo; vi si rinveniva le tracce di un ele- gante parco, fiancheggiante un maestoso bo- sco di eucalipti e pini, che termina circon- dando uno “chalet”; a un duecento passi c’erano i resti di una casetta rovinata, già abi- tazione dei contadini prima addetti a quella campagna. Per unica difesa un torrentaccio immondo, che scorre a un lato. Intorno, dis- seminate in un’immensa pianura, senza stra- de, immerse nella polvere e nel fango, secon- do la stagione, capanne di zinco o legno, su- dicio e miserrimo, dove vivevano (abbrutiti da eccessive fatiche, dal disprezzo dei figli del paese, dai mali costumi, avvelenati da perverse idee contro la religione) centinaia di emigrati italiani. Per essi, non più Dio, non più patria. Molti non sapevano neppure se in Buenos Aires vi fossero chiese. Nascevano, si univano e morivano senza vedere un Sacer- dote, degni invero di compassione, poiché si trovavano a grandi distanze dalle chiese». Le suore non persero tempo. Fin dai primi giorni «si diedero d’attorno per radunare ra- gazzi e far loro il catechismo. Andavano gi- rando di casa in casa, sforzandosi di farsi in- tendere da quelle rozze persone, che parlava- no i più complessi dialetti d’Italia e a stento intendevano l’italiano e lo spagnolo. Spesso n’erano cacciate con male parole, con be- stemmie, con beffe; ci fu perfino chi fuggì al- la loro vista, credendole fantasmi; ma si trovò pure chi si arrese. Dalle nove di mattino alle sei di sera, senza interruzione, venivano allo chalet i ragazzi, per essere istruiti nella no- stra santa religione, e le suore si davano il turno per attenderli. Una volta dentro, scap- pavano ad arrampicarsi su per gli alberi in cerca di nidi, o a coglier la frutta, che allora era abbondantissima, o a correre tra le alte erbe, col solo gusto di far impazzire. Ce ne furono di tale tempra da venire ad attaccare brighe col coltello in mano. Quasi tutti lavo- ravano per guadagnarsi il pane: i più piccini, non potendo andare a scuola per le cattive strade e la miseria, ruzzavano qua e là, si ba- gnavano nel torrente, passando una vita da piccoli selvaggi: sporchi, insolenti, corrotti, prima quasi di giungere all’uso di ragione. Dopo aver passata la giornata catechizzando e camminando, le Suore si riunivano nello chalet (privo di serrature, ma ricco di fessu- re), ove attendevano alle faccenduole dome- stiche, alle pratiche di pietà e al lavoro, ram- mendando biancheria per aumentare le entra- te, scarsissime, posto che alla Casa doveva provvedere il Collegio Santa Rosa. Intanto ch’erano ivi radunate, entravano furfanti nel podere (fin ve n’ebbe uno, che penetrò nella stanza di Comunità) col fine di rubare frutta od altro, se l’avessero trovato». Presto, si legge ancora, «cominciarono a celebrare le funzioni religiose, a somministra- re i sacramenti. È uno spettacolo davvero commovente il vedere questi poveri emigrati in tale circostanza: i vecchi si figurano di es- sere tornati nei loro paeselli e piangono di consolazione. Questi poveri coloni rozzi, trattati come animali da soma da impresari avidi di arricchirsi, a cui le diuturne, improbe fatiche non lasciano loro tempo che per ci- barsi e abbandonarsi al sonno, così che non conoscono se non i materiali piaceri; al sen- tirsi rammentare le verità della Fede, all’ar- monia de’ sacri cantici, al suono soave della parola di carità vera, che loro scende in fon- do al cuore, sentono scuotersi ignote fibre, come un’eco sconosciuta e dimenticata per lunghi anni, di qualche gioia nuova, intensa, insperata. I loro spiriti sonnolenti si aprono a un fuoco, a una luce, che li ravviva quasi fio- ri intristiti nell’ombra, rattrappiti pel freddo al bacio del sole s’aprono e presto s’adornano di bei colori e di profumi. Ora questa im- pressione di benessere morale, questa reden- zione dell’anima, essi, nella loro rozzezza, la espressero allora, uscendo di chiesa per tor- narsene alle loro case, con queste parole: Oh! Si sta meglio qui che alla bettola! Intanto, di anno in anno, cresce la popolazione, le case si aggiungano alle case, sì che il nostro orfa- notrofio ne è ora quasi circondato». Verso la fine del 1902 — continua il testo — «s’incominciò a far costruire una chiesa di zinco e legno, capace di un 800 persone. Co- stò molto denaro e molti rompicapi; però fu immensa la gioia di quella povera gente nell’avere un luogo ove ascoltare la S. Messa e s’iniziò anche a edificare una casetta, tra la chiesa e quell’altra diroccata, che serviva di stalla, si rifece pure questa, e così si ebbe lo- cale per una scuola di varie classi, refettorio per le bambine povere, orfane e abbandona- te, che già si andavano raccogliendo, e varie stanze per le Suore, mentre lo chalet, rimesso a nuovo, serviva di dormitorio delle fanciulle. A queste spese ingenti provvide la misericor- dia del Cuor di Gesù, che moveva il cuore dei ricchi». Parlando con le suore più anziane delle missioni argentine, si ha un’idea del lavoro di evangelizzazione che le religiose andavano facendo. Ogni anno mandavano in vescova- do una relazione delle loro opere apostoli- che. Tra queste alcune sono sull’evangelizza- zione e su episodi che le suore chiamano «Fatti edificanti». Per esempio: «Un bambi- no, reso quasi selvaggio dalla miseria e dal sudiciume in cui era abbandonato, aveva la faccia deforme per un’infinità di ulcere, che nessuno aveva saputo o voluto curare. Si fece venire all’orfanotrofio, e si provò a lavarlo. Fu la sua salvezza: in poco tempo rimase guarito; e, naturalmente si pensò pure a sal- vare la sua animuccia». Le Memorie sono una miniera di racconti; le suore erano letteralmente felici quando po- tevano ricondurre una persona all’osservanza religiosa. Per l’orfanotrofio, madre Cabrini aveva adocchiato una villa, o piuttosto un bosco per poter dare ai bimbi orfani un po- sto buono e salubre. Qui le suore avevano fatto costruire una grotta della Madonna di Lourdes che fu lungamente venerata dal quartiere. Ogni anno, ogni mese, ogni setti- mana per oltre cinquant’anni le cabriniane percorrevano il quartiere in cerca di emigran- ti italiani e non per ricostituire in loro quell’identità cristiana che avevano completa- mente abbandonata. La strategia era soprat- tutto quella della preghiera. Spesso la gente che viveva isolata nelle campagne rimaneva senza una speranza e senza che nessuno si prendesse cura di loro. Fu questa una carat- teristica delle missionarie che “non dormiva- no” quando venivano a conoscenza di questi casi di abbandono. Tra i ragazzi avevano fondato gli «esplora- tori Regina Coeli» (che chiamavano batta- glioni) i quali collaboravano con le suore nei momenti più importanti, specie durante le fe- ste patronali, le solennità religiose, le proces- sioni e le tantissime iniziative che si svolgeva- no durante le “missioni” che ogni anno si te- nevano nel periodo post-pasquale. Addirittu- ra questi ragazzi si presentavano quando per- cepivano che le suore o le orfanelle erano in pericolo, come accadeva durante gli scioperi o i disordini che avvenivano in città. Oggi il quartiere è cambiato e le suore missionarie hanno continuato a intensificare il loro lavoro pastorale adattandosi ai tempi, tanto da inaugurare la parrocchia Santa Francesca Cabrini, a poca distanza dalla casa dove è nato Papa Francesco. Già da molti anni al posto del grande bosco che aveva ospitato la missione c’è una piazza. Sono questi solo alcuni tra i mille esempi di evangelizzazione che le missionarie di ma- dre Cabrini hanno potuto fare con l’aiuto di buonissimi sacerdoti, della preghiera, dei tan- ti sacrifici che poi contribuirono un po’ a rendere più accogliente il quartiere quando negli anni Venti arrivò emigrante dall’Italia la famiglia Bergoglio. Il romanzo La grande invenzione Certo non c’è dubbio: si tratta dell’autobiografia di un grande regista, che è stato anche un musicista jazz, che quindi attraversa la storia dello spettacolo italiano. Ma leggendo La grande invenzione di Pupi Avati (Rizzoli, 2013) scopriamo soprattutto che è la storia di sua madre, da quando lei, insignificante impiegata che arriva dalla campagna, riesce a sposare il bel figlio del padrone — che però è caduto in rovina — fino alla morte, sopravvenuta a Roma, con i figli accanto. Anzi, anche dopo, quando parla della sua tomba. Una madre solare, innamorata dei figli e per questo anche un po’ troppo presente nella loro vita, che è capace di trasferirsi a Roma, con il progetto di gestire una pensione, per aprire la strada alla vocazione cinematografica di Pupi, per avviarlo a una carriera che al momento è solo sognata. È una madre, vedova giovane, che sa vivere i sogni dei figli, incoraggiandoli e accompagnandoli con le sue preghiere. Perché questa madre generosa ha saputo trasmettere ai figli una fede viva, forte, tenace anche in un mondo, quale quello del cinema, poco disposto ad accettare la morale cattolica. ( @LuceScaraffia ) Il film El hijo de la novia La signora è anziana e, soprattutto, è malata. Ha da tempo il morbo di Alzheimer. I personaggi che le ruotano attorno — l’innamoratissimo marito, che la va quotidianamente a trovare nel centro dove la donna vive; Rafael, il figlio quarantaduenne in apparenza di successo, ma in realtà profondamente in crisi con le sue scelte e le sue priorità; la nipote Vicky, che vive con la madre divorziata; la giovane fidanzata di Rafael — sono i protagonisti del film El hijo de la novia (Il figlio della sposa), diretto nel 2001 dal regista argentino Juan José Campanella. La pellicola è ambientata a Buenos Aires, ma sarebbe potuta essere qualsiasi altra città del mondo: perché universale il tema della ricerca di una chiave affinché le persone riescano davvero a dialogare. Un modo, suggerisce il film ottimamente interpretato da Norma Aleandro e Ricardo Darín, potrebbe essere quello di cercare di entrare nel mondo dell’altro. Nello specifico, in quello di una sposa che, nella sua malattia in apparenza così spersonalizzante, contribuisce a sanare chi le sta attorno. ( @GiuliGaleotti ) D ONNE E ACQUA NELLE I SOLE S ALOMONE Le Isole Salomone, Paese in via di sviluppo dell’Oceano Pacifico meridionale, presentano uno dei tassi di urbanizzazione più alti della regione, mentre le infrastrutture per i servizi di base sono insufficienti per far fronte all’afflusso di persone che dalle province si spostano verso la capitale Honiara. Il 35 per cento degli abitanti della città si trova così ad affrontare gravi conseguenze a livello sanitario a causa della mancanza di acqua potabile e di servizi sanitari. Situata sull’isola principale di Guadalcanal, Honiara è un centro portuale in cui vivono quasi 65.000 persone, 22.500 delle quali ospitate in trenta villaggi. Se molti sono giunti in cerca di opportunità economiche, altri invece vi sono stati dislocati durante la guerra civile divampata tra il 1999 e il 2003. Come reso noto dall’Agenzia Fides, le famiglie di Honiara ogni giorno devono reperire acqua potabile per cucinare, bere e lavarsi. Nei villaggi il 92 per cento delle famiglie non dispone di alcuna fornitura, il 27 per cento usa fontane e il 20 per cento raccoglie acqua da pozzi, fiumi e torrenti, una carenza che provoca dissenteria, diarrea e colera. Secondo il Solomon Islands Water, Sanitation and Hygiene Sector Brief (Wash), mentre la copertura sanitaria delle Isole raggiunge in media il 32 per cento, a Honiara solo il 2 per cento della popolazione dispone di toilet regolari, mentre il 20 per cento utilizza buche e il 55 per cento mare, fiumi o terreni limitrofi. Il rapporto 2011 di Amnesty International denuncia come la mancanza di acqua e di strutture sanitarie favorisca anche la violenza contro le donne che devono quotidianamente percorrere da sole lunghi tragitti per prendere l’acqua, o che fanno il bagno nelle sorgenti. N UOVA PRESIDENTE DELL ’U SMI Con un’ampia maggioranza, suor Maria Regina Cesarato è stata eletta nuova presidente dell’Usmi, l’Unione superiore maggiori d’Italia (nata nel contesto del rinnovamento degli istituti di vita consacrata voluto da Pio XII ), succedendo a madre Viviana Ballarin. «Grazie per la vostra fiducia. Conto sull’aiuto del Signore e sulla corresponsabilità e la comunione di ognuna di voi» ha detto l’eletta, nata il 6 aprile 1952 a Piove di Sacco nel Padovano e superiora generale delle Pie Discepole del Divin Maestro. Da «donne chiesa mondo» un grande augurio di buon lavoro. B ADAM Z ARI PRIMA CANDIDATA IN P AKISTAN Una pachistana analfabeta, Badam Zari, è la prima donna candidata alle elezioni nelle zone tribali del suo Paese, una regione conservatrice dove il diritto di voto è ancora in discussione per molte donne. Al pari di Malala, l’adolescente gravemente ferita dai talebani per il suo impegno, Badam — casalinga, integralmente velata e moglie di un insegnante — combatte per l’istruzione delle ragazze. Onde proseguire la sua battaglia, ha deciso di presentarsi come candidata indipendente alle elezioni che si terranno il prossimo 11 maggio. Zari correrà a Bajaur, uno dei sette distretti tribali semi-autonomi del nord- ovest del Paese al confine con l’Afghanistan. Su 1,7 milioni di elettori in queste aree, teatro della guerra al terrorismo, solo seicentomila sono donne, il tasso più basso del Paese. C HIARA L UBICH A T AIWAN «Patterns of Unity: An Interdisciplinary Dialogue on the Thought of Chiara Lubich (1920-2008)». Questo il titolo dell’incontro che si è svolto il 12 e 13 aprile scorsi presso la Fu Jen Catholic University a New Taipei City, a Taiwan. Articolato in quattro parti — dedicate rispettivamente a teologia, educazione, economia della comunione e dialogo tra le religioni — l’incontro è stato aperto dal cardinale brasiliano João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, che ha ricordato come il dono più grande lasciato alla Chiesa da Chiara sia il carisma dell’unità: «Come essere uno nella grande varietà di culture, tradizioni, esperienze spirituali e teologiche; come fare in modo che questa grande varietà arricchisca e renda sempre più bella, profonda, feconda la sua unità». Tra gli altri sono intervenuti Piero Coda, Thomas Masters, Donald William Mitchell e Luigino Bruni. Un’ulteriore riprova di come la vita e l’impegno di Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari (il cui nome ufficiale è Opera di Maria) sia un esempio vitale, capace di fruttificare ampiamente nel mondo. S TUDENTESSE AFGHANE Nonostante i problemi economici e gli ostacoli causati dalle tradizioni popolari, sempre più ragazze afghane stanno tornando a scuola nei loro villaggi per garantirsi un futuro. Una di queste strutture si trova a Qalai Gadar, comunità rurale nel distretto di Qara Bagh a circa quaranta chilometri a nord della capitale Kabul. Si tratta di una delle poche scuole elementari a disposizione della popolazione locale. Aperta nel 2012, è stata costruita dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. L’edificio, che si articola su due piani, ospita circa quattrocento studenti, prevalentemente ragazze, provenienti da dieci villaggi limitrofi, che la frequentano in due turni. La maggior parte è figlia di ex rifugiati fuggiti dal conflitto con i talebani. Secondo fonti ufficiali riportate da Fides, uno dei problemi che rende i genitori riluttanti a mandare le proprie figlie a scuola è la carenza di insegnanti donne: attualmente i maestri sono dodici, di cui undici maschi. Situata in un quartiere estremamente indigente, la scuola è priva di acqua corrente, elettricità, libri di testo e materiale scolastico. La struttura dispone di una semplice pompa manuale che produce acqua potabile sia per gli studenti che per gli insegnanti. Attualmente, secondo le stime ufficiali, nel Paese ci sono oltre 8 milioni di studenti: solo il 39 per cento sono ragazze. L A TRATTA DISCUSSA A C ITTÀ DEL M ESSICO Dall’8 al 12 aprile si è svolta a Città del Messico la quinta conferenza dell’Unione mondiale delle organizzazioni femminili cattoliche di America latina e Caraibi dedicata al dramma della tratta di esseri umani. Come ha spiegato la presidente mondiale dell’organismo Maria Giovanna Ruggieri, l’obiettivo della conferenza regionale è stato quello di sensibilizzare al tema sia le comunità ecclesiali che la comunità civile. Gli interventi hanno affrontato questa terribile piaga da diverse angolature: si è discusso della definizione da dare al fenomeno “tratta”, individuandone le radici sociali e culturali che concorrono a determinarlo; si sono analizzati i soggetti protagonisti e le modalità con le quali operano le reti dei trafficanti; ci si è soffermati sulle responsabilità dei Governi nell’azione di contrasto. Al centro della discussione anche il rapporto tra tratta e migrazione, nonché l’analisi delle diverse forme di sfruttamento sessuale, commerciale e lavorativo in cui il fenomeno si articola. La conferenza si è conclusa venerdì 12 aprile con la celebrazione eucaristica nella basilica di Nostra Signora di Guadalupe, presieduta dal nunzio apostolico in Messico, l’arcivescovo Christophe Pierre. C ATERINA E P AOLO VI A P AVIA Il Collegio universitario femminile Santa Caterina da Siena di Pavia ha organizzato per lunedì 22 aprile la giornata di studio «Papa Montini, Caterina, le donne» per celebrare la sua fondazione, avvenuta quaranta anni fa per volontà di Montini. Paolo VI , come noto, ebbe sempre una grande attenzione per la donne: oltre al rapporto privilegiato con la madre, Giuditta Alghisi, seguì le universitarie cattoliche, volle le donne come uditrici al concilio Vaticano II e nominò santa Caterina da Siena dottore della Chiesa, prima donna ad avere questo titolo. Alla giornata sono intervenute — moderate da Giulia Galeotti — Elsa Antoniazzi, suora marcellina, che ha studiato la figura della beata Sala, educatrice della mamma di Montini; Adriana Valerio, storica e teologa che ha affrontato il ruolo delle donne al concilio; Lucetta Scaraffia, storica e giornalista che ha approfondito la figura di santa Caterina; e Maria Pia Sacchi, la rettrice del collegio che ha presentato la corrispondenza tra Montini e sua madre. Il saggio Le don d’organes Pazienti, medici, infermieri, riceventi, donatori e loro familiari: a tutti costoro la giornalista scientifica svizzera Marlyse Tschui dà voce nel saggio Le don d’organes. Donneurs, greffés et soignants témoignent (Éditions Anne Carrière, 2003). Il risultato è una sorta di racconto corale, complesso e sfaccettato, di uno degli ambiti più affascinanti e ambivalenti della medicina moderna, quello dei trapianti di organo. I dubbi, le speranze, la morte cerebrale, la tragedia e l’euforia, l’attesa snervante, il dopo trapianto, il rigetto, i trapianti da vivente, e due capitoli difficilissimi: l’uno dedicato alle donazioni di organi da bimbi deceduti, l’altro (non meno doloroso) riservato ai bambini riceventi. Non ci sono giudizi trancianti nella ricerca di Tschui: ci sono sì grandi successi e brucianti sconfitte, ma ci sono soprattutto storie che raccontano e si raccontano mostrando, a ogni passo, anche l’altro lato della tela, quello in cui la realtà può essere diversa. Perché, forse, la grande lezione della trapiantologia è anche quella di rivelare come vita e morte non siano necessariamente due universi paralleli destinati, qua e là, a incontrarsi fatalmente prima o poi nella vita di ciascuno. Forse, anche laicamente, c’è di più. ( @GiuliGaleotti ) Il fervore può essere trovato nell’aridità e nella monotonia perché non deriva da sentimenti Ma dal desiderio di fare bene Particolare di un’icona raffigurante Mary Ward Il fragoroso sì a Dio A colloquio con Antje Jackelén, a capo della diocesi luterana svedese di Lund La profonda lealtà verso la Chiesa e il forte senso di appartenenza È ciò che più ammiro nei cattolici Francesca a Flores Inchiesta sull’arrivo delle cabriniane a Buenos Aires “Non dormivano” mai le missionarie Tutto era fatto per ricostruire nella gente l’identità cristiana perduta Andavano girando di casa in casa Spesso n’erano cacciate a male parole e ci fu chi fuggì credendole fantasmi Ma si trovò pure chi si arrese L’OSSERVATORE ROMANO maggio 2013 numero 12 Inserto mensile a cura di R ITANNA A RMENI e L UCETTA S CARAFFIA , in redazione G IULIA G ALEOTTI www.osservatoreromano.va - per abbonamenti: ufficiodiffusione@ossrom.va Accanto: una processione con la statua di Madre Cabrini durante una delle tante visite del cardinale Bergoglio alla parrocchia dedicata alla patrona degli emigranti Sotto: bimbi affidati alle cabriniane a Flores (1906) di M ARY W ARD C iò che io dico quest’oggi in un contesto generale è indirizzato a ciascuna di voi individualmente: la mia preoccupazione è che voi amiate la verità. Se c’è una discre- panza tra l’intenzione e l’azione, allora lì la falsità è presente. Chi potrebbe aver fiducia in un amico o una creatura, se c’è finzione fra coloro che sono coinvolti? Quando il signor Sackville ha encomiato noi e il nostro stile di vita, egli ha menzionato il fatto che, da parte di persone dalle menti perspicaci, esso è stato tenuto in grande ri- guardo ed estimato dai cardinali di Roma, es- sendo presente il padre ministro in quel tem- po stabilito, ma con il corollario «fino a che di U LLA G UDMUNDSON L ei, Antje Jackelén, vescovo luterano di Lund, dice di essere figlia dell’Illumini- smo, spesso rivendicato dagli umanisti laici. «In realtà dico che sono figlia della Chiesa cristiana, della Riforma protestante e dell’Illuminismo. Ma sono stata formata dall’Illuminismo tedesco, che ha rappresentato una minac- cia minore per la religione rispet- to a quello francese. Sono influen- zata da Kant e dalla sua forte convinzione che la ragione e la fe- de si integrano reciprocamente. Il suo “osa sapere” ha incoraggiato le persone a uscire dalla loro im- maturità autoimposta. La fede, però, non contraddice la ragione, la trascende. Il cristianesimo è una forza liberatrice. Sono critica nei confronti della visione ristretta e antistorica che gli umanisti laici hanno dell’Illuminismo, come se attribuisse un valore aggiuntivo alla scienza naturale contro la fe- de religiosa. Contesto anche la comprensione dell’epoca postmo- derna come relativismo totale. Preferisco invece una lettura co- struttiva: non tutto è costruzione, ma praticamente tutto ciò con cui abbiamo a che fare — i fatti della scienza, della fede e della vita — è accompagnato da costruzioni. Es- sere incastrato in una costruzione non è necessariamente segno di mancanza di verità e di razionali- tà, ma piuttosto segno di com- plessità». Benedetto XVI potrebbe essere d’accordo. «Sì, ciò può apparte- nere anche alla tradizione cattoli- ca. Quando menziono Kant, spes- so i cattolici indicano Tommaso d’Aquino. A me piace citare Na- than il saggio , un dramma dell’il- luminista tedesco Gotthold Ephraim Lessing. È il racconto di un padre, tre figli e tre anelli, che simboleggiano le tre religioni abramitiche. Il punto è che le reli- gioni dovrebbero competere tra di loro in compassione e bontà per fare emergere la verità. Non signi- fica che la verità non esiste, ma che possiamo confidare nel fatto che essa si rivelerà». Come vescovo, quale ritiene sia il suo compito più importante? «È molto ben descritto nel nostro rito di consacrazione. Sono parole che amo: parlano del ministero speciale del vescovo, quale parte del popolo di Dio, di prendersi cura della diocesi, delle parroc- chie, di assicurare che la parola di Dio sia proclamata in modo chia- ro, che i sacramenti siano ammini- un dialogo migliore sulla religione per promuovere la crescita. Sono stata criticata per avere usato la parola “crescita”. Ma naturalmen- te non mi riferivo solo alla cresci- ta economica: abbiamo bisogno anche di una crescita spirituale». C’è qualcosa che apprezza par- ticolarmente nella Svenska Kyr- kan (Chiesa di Svezia)? «Data la mia formazione, tendo a parago- protestanti tedeschi, la Svenska Kyrkan ha conservato molto della cultura cattolica. Forse la ragione è che la Riforma è stata introdotta dallo Stato, come in Inghilterra. Non c’è stato bisogno di creare una cultura nuova, contrastante». C’è qualcosa che invidia alla Chiesa cattolica? «Sì, il forte senso di appartenenza, di fami- glia, la profonda lealtà che molti cattolici sentono per la loro Chie- sa, anche se magari ne criticano molti aspetti». Come vede Martin Lutero? «Penso che in Svezia abbiamo una visione sbagliata di Lutero. Viene considerato cupo e morali- sta, ma non penso che lo fosse. Diceva cose tipo: “Ti senti depres- so? Allora bevi un bicchiere di vi- no e tirati su!”. Forse il quinto centenario della Riforma, che si celebrerà nel 2017, potrebbe essere un’occasione per rimettere le cose a posto; e naturalmente anche per mostrare in che misura le confes- sioni cristiane sono cresciute nell’ecumenismo, nel cameratismo cristiano e nell’amicizia, special- mente alla base». Un’ultima domanda. Come ve- de Maria che nel cristianesimo cattolico, rispetto a quello prote- stante, occupa un posto molto più importante? «Abbiamo inni ma- riani e celebriamo l’Annunciazio- ne. Mettiamo in evidenza la sua umanità e il suo coraggio. Per me Maria è una giovane donna che prende Dio molto sul serio, ma anche se stessa come persona. Ri- tiene di potere dare un contributo importante al piano di Dio. Non è una ragazzina docile. Dice un fragoroso sì a Dio. Il Magnificat, che è diventato parte della pre- ghiera serale della Chiesa, è straordinario nella sua potenza, nella sua forza. Maria, così, può ispirare le giovani donne che du- bitano di se stesse, che forse si in- fliggono delle ferite, a fuggire da quella prigione e a occupare il lo- ro posto nel mondo». e decidere, deve rafforzare il po- polo di Dio nella sua vocazione a leggere i segni dei tempi e a dare testimonianza delle potenti azioni di Dio. Penso anche che il vesco- vo debba partecipare al pubblico dibattito, schierarsi con la religio- ne per l’importante contributo che dà alla società. In diversi articoli ho affermato che in Svezia serve strati correttamente e che la carità venga praticata secondo la volontà di Dio. Il vescovo deve ordina- re, andare a visitare e a cercare, deve consultare, ascoltare

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