donne chiesa mondo - n. 12 - maggio 2013

L’OSSERVATORE ROMANO maggio 2013 numero 12 Sua madre confrontava tutte queste cose nel suo cuore donne chiesa mondo Il primo compleanno «Donne chiesa mondo» compie un anno. È un traguardo importante. In questi dodici mesi abbiamo provato ad ascoltare la voce delle donne che della vita della Chiesa sono un sostegno fondamentale e imprescindibile. Abbiamo provato a dar conto del loro lavoro e del loro contributo intellettuale, spesso ignorati. Abbiamo voluto il dialogo con voci femminili di altre fedi, abbiamo cercato nella storia delle sante quanto potesse renderle di nuovo protagoniste della vita delle donne di oggi. Abbiamo indagato realtà che si fondano sull’impegno di tante donne e che spesso rimangono nell’ombra. È un lavoro appassionante ma non sempre facile. Abbiamo cercato di portarlo avanti con impegno e modestia, rigore e apertura, attente al nuovo che nella Chiesa sta emergendo e rispettose della sua importante tradizione. Siamo consapevoli del lungo lavoro che c’è ancora da fare per poterci dire soddisfatte, ma possiamo con serena soddisfazione dire di averlo iniziato. Siamo state confortate dalle parole di Papa Francesco che ha rilanciato il ruolo «primario, fondamentale» delle donne nella Chiesa delle origini e di quella odierna. E siamo sostenute dal ricordo di quanto aveva detto Giovanni Paolo II a proposito del genio femminile e dall’elogio che Benedetto XVI aveva prodigato nei confronti di Ildegarda di Bingen, Dorothy Day ed Etty Hillesum. In questo anno abbiamo avuto risultati importanti, qualche critica di cui abbiamo tenuto conto, ma soprattutto abbiamo capito che siamo solo agli inizi di un lavoro che vorremmo fecondo e utile non solo per le donne e gli uomini della Chiesa, ma anche per tutti coloro che in questi anni difficili alla Chiesa guardano con speranza. Con pacata determinazione A colloquio con suor Mary Ann Walsh, portavoce della conferenza episcopale statunitense di G IULIA G ALEOTTI Incontriamo suor Mary Ann Walsh, porta- voce della conferenza episcopale statuni- tense, in un pomeriggio storico di marzo. Mentre saliamo al Gianicolo, destinazione il North American College, su Roma dilu- via e i cardinali sono chiusi nella Cappella Sistina per eleggere il successore di Bene- detto XVI . È qui, nell’appartamento nume- ro 4, il quartier generale romano di questo solido comandante di vascello, perfetta- mente in grado tanto di solcare il mare in tempesta quanto di godere della naviga- zione in una splendida giornata di sole. Aspettiamo qualche minuto: circondata da computer, telefoni che non smettono di suonare, fax e televisori accesi, suor Mary Ann Walsh sta con pacata e ferrea deter- minazione sbrogliando un impiccio media- tico con la stampa della West Coast. È an- che grazie a lei, del resto, che nei giorni della sede vacante, il mondo ha imparato a conoscere un altro volto della Chiesa statunitense. Quello di una Chiesa com- patta, sorridente, accogliente e orgogliosa, pronta ad aprirsi e a dialogare dopo la tempesta degli scandali. È frequente che una donna svolga un ruolo importante e decisivo come il suo? Beh, è un po’ inusuale, a dire il vero. Quando mi avvicinai al mondo della co- municazione, non eravamo in tante, noi sorelle. Iniziai a lavorare per il Catholic News Service nel 1983. Ho anche vissuto a Roma per tre anni in quel periodo: fu me- raviglioso! Poi venni scelta come coordi- natrice dei rapporti con i media in occa- sione della giornata mondiale della gio- ventù che si sarebbe svolta nel 1993 a Denver. Quando mi assunsero, dissero: «Le piace il Papa, le piacciono i giovani, le piacciono i media, è semplicemente per- fetta per questo ruolo!». Così iniziai a la- vorare con i vescovi statunitensi presso il Media Relations Office. E ci sono rima- sta, divenendone poi la direttrice. It’s a fun job! Mi piace lavorare con i media, adoro la sfida del confronto. Adoro il mondo del giornalismo, quando esprime una ricerca seria della verità. Ha dei modelli di riferimento? Ho amato il giornalismo sin da piccola: da bambina la mia eroina era Helen Tho- mas, una famosa reporter americana. Ho sempre amato scrivere e, come è successo a tanti, fui molto attiva nel giornale scola- stico. Suor Mary Carmel Gaynor — che ha insegnato a molte religiose finite come me a lavorare in questo campo — ci martellava di continuo su due aspetti: chiarezza e ac- curatezza. È un’indicazione preziosissima: non solo per chi si muove nel mondo del- la comunicazione, ma per la vita in gene- re. Quando sono entrata nella congrega- zione delle Sisters of Mercy of the Ameri- cas, Northeast Community (che si occupa di salute, povertà ed educazione), credevo che la fase giornalistica della mia vita fos- se finita. E invece... Del resto — se ci pen- sa — anche lavorando nei media e con i media si svolge un apostolato educativo! La conferenza episcopale statunitense è molto attiva sul web: twitter, facebook, blog. Qual- cosa di molto interessante... E di estremamente nuovo! È un modo prezioso per entrare in relazione con le persone. Alcuni anni fa, i vescovi statuni- tensi assunsero qualcuno perché lavorasse e sviluppasse i loro social media. È una priorità assoluta, e di grande successo. Qui da Roma, per esempio, scrivo tantis- simo sul blog: io stessa sono esterrefatta dal numero di persone che mi seguono. È decisamente un gran modo per raggiunge- re la gente, un modo completamente nuo- vo e diverso di fare giornalismo. Un mo- do diretto e veloce, a cui le persone ri- spondono. Eccome se rispondono! Era meravigliosa la foto twittata dal cardi- nale Wuerl: i porporati statunitensi sul pul- mino che li stava portando ai lavori delle congregazioni. Negli Stati Uniti ci sono circa 78 milio- ni di cattolici: per raggiungerli, devi fare qualcosa di più che predicare in chiesa la domenica. Devi usare ogni strumento pos- sibile. Del resto, per i vescovi statunitensi è centrale la trasparenza: non ti puoi la- mentare dei media, se non fai la tua parte per raccontare le cose. Avere un atteggia- mento aperto verso di loro è la base di tutto. E guardi che i nuovi mezzi di co- municazione rendono la sfida ancor più complessa: per solito si crede che rispetto ai canali tradizionali, i social media siano più facili da gestire. Non è affatto vero: è un impegno costante, ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette. Ed è un modo di comunicare che sta cambiando la Chiesa. Se essa infatti, dal canto suo, è più avvezza a fare dichiarazioni unilatera- li, i nuovi mezzi di comunicazione sono invece interattivi. Dici o scrivi qualcosa, e le persone ti interrompono: «Cosa intendi dire?». È un rapporto costantemente dina- mico. Ci dobbiamo abituare. Un preciso piano di navigazione... La Chiesa fatica un po’ a far davvero comprendere il suo messaggio al mondo di oggi. A volte è necessario utilizzare un modo diverso di parlare. Tanti ecclesiastici sono accademici, utilizzano formule e mo- di di ragionare di quel mondo, sono abi- tuati ad argomentare in modo logico, a ri- costruire tutti i passaggi del ragionamento prima di arrivare alla conclusione. Ma fa- cendo comunicazione questo non va: oc- corre arrivare dritti al punto! E poi ripe- terlo, e ripeterlo di nuovo. È uno stile co- municativo, una tecnica completamente diversa che va assolutamente imparata. I vescovi statunitensi lo san- no. Nel novembre scorso, durante la loro riunione a Baltimora (svoltasi dal 12 al 15), si è tenuto un work- shop molto importante de- dicato proprio all’uso da parte dei vescovi delle nuo- ve tecnologie d’informazio- ne. Il punto centrale che va compreso è che devi im- parare ad arrivare rapidamente al dunque: non puoi permetterti il lusso di costruire il ragionamento. Non è questione di avere a disposizione 45 minuti: qui, se hai 45 se- condi già devi ritenerti fortunato. Qual è negli Stati Uniti l’atteggiamento dei media verso la Chiesa cattolica? Dipende dai casi. Ci sono molti cattoli- ci che lavorano nei media statunitensi, giornalisti che tengono alla Chiesa. Poi certo, ci sono anche tante persone che hanno un atteggiamento profondamente ostile. Io sono convinta comunque che quelli che criticano la Chiesa cattolica lo facciano perché siamo “grandi”. Non di- leggerebbero mai i musulmani, probabil- mente nemmeno gli ebrei, ma possono at- taccare e ridicolizzare i cattolici. Credo che ciò accada perché siamo abbastanza forti da poterlo sopportare. Poi magari la gente chiede scusa, ma resta che questo purtroppo è un atteggiamento diffuso. Negli ultimi anni le cose sono peggiorate? Gli scandali certo non hanno aiutato... Abbiamo risposto molto bene a tutto ciò che è successo con gli scandali sessua- li. Ma resta che si è trattato di un crimine veramente orribile. E nessuno mai potrà e dovrà dirci che abbiamo gestito bene un problema che mai, mai si sarebbe dovuto porre. È una questione atroce. Il dolore è ancora vivo, terribilmente vivo. Nel cuore e nelle anime delle vittime, e in tutti noi. È con noi, e resterà con noi a lungo. Un dramma con cui dobbiamo fare i conti, con cui dobbiamo costantemente conti- nuare a fare i conti. La ferita è aperta. Nella Chiesa universale, due terzi dei religiosi sono donne. Eppure la loro voce si sente poco. Credo sia piuttosto un problema della società il fatto che le voci delle donne non si sentano come dovrebbero. È il cuore della questione. Guardiamo gli Stati Uni- ti: eliminando il tema dell’ordinazione, se confrontiamo le posizioni che le donne hanno raggiunto nella Chiesa e nella so- cietà, vince decisamente la Chiesa. A capo della Catholic Health Association — la sa- nità cattolica ha un ruolo di primo piano nel nostro Paese — c’è una donna, suor Carol Keehan delle Figlie della Carità, presidente dal 2005. E se Carolyn Woo di- rige i Catholic Relief Services, dal luglio 2005 al vertice della National Catholic Educational Association, l’organizzazione che gestisce tutto il sistema nazionale di istruzione cattolica, c’è Karen Ristau. Le donne ci sono nelle posizioni alte della Chiesa statunitense. E non dimentichiamo mai che portano una prospettiva diversa. Arricchiscono. Come si immagina il nuovo Papa? Immagino una figura del nostro tempo: una figura accessibile, in grado di rag- giungere le persone. Del resto non dimen- tichiamo che i Papi recenti hanno sempre avuto una grande dimestichezza con il mondo della comunicazione. Pio XI inau- gurò Radio Vaticana nel 1931; il 4 ottobre 1965 Paolo VI parlò alle Nazioni Unite; Giovanni Paolo II amava i media: ne com- prese il ruolo e la portata. Benedetto XVI ha proseguito lungo questa direzione. Ec- co, mi piacerebbe che l’eredità fosse colta anche dal nuovo successore di Pietro. Quando la incontriamo durante il conclave sta sbrogliando un impiccio mediatico con la stampa della West Coast Negli Stati Uniti ci sono quasi 78 milioni di cattolici Per raggiungerli devi fare qualcosa di più che predicare in chiesa la domenica Mary Ann Walsh, delle Sisters of Mercy of the Americas (Northeast Community), è direttore dei rapporti con i media della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti. Ha lavorato al giornale della diocesi di Albany e per il Catholic News Service (come corrispondente da Roma e come direttore dei media a Washington). Autrice di vari volumi, ha ricevuto numerosi premi giornalistici, scrivendo (tra gli altri) per «Huffington Post», «Washington Post», «USA Today», «America magazine», «US Catholic» e «Catholic Digest». donne chiesa mondo La vecchia e il mare: Cecilia Villegas, 77 anni, ritratta al largo dell’isola Cano Ciego, Costarica (Juan Carlos Ulate/Reuters) Isabella Ducrot, «donne chiesa mondo maggio 2012 - maggio 2013»

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==