donne chiesa mondo - n. 8 - gennaio 2013

L’OSSERVATORE ROMANO gennaio 2013 numero 8 Sua madre confrontava tutte queste cose nel suo cuore donne chiesa mondo La differenza che fa crescere la Chiesa Con il nuovo anno anche il nostro inserto presenta delle novità: uscirà il 2 di ogni mese, in modo che sia possibile abbonarsi al solo mensile, e comunque trovarlo in edicola con sicurezza. Speriamo così che faccia parte della vita di un numero di lettrici/lettori sempre più ampio. Diciamo lettori, oltre che lettrici, perché non solo su queste pagine — come avrete visto — scrivono anche uomini, ma pure perché noi ci rivolgiamo anche ai lettori di genere maschile. Sia per informarli della varietà e della ricchezza della presenza femminile nella vita della comunità cattolica in particolare, ma in sostanza cristiana, del presente e del passato, sia perché, di fronte a questo punto di vista, si rendano conto con maggiore consapevolezza della loro identità. Il riconoscimento e la conoscenza del ruolo femminile presuppongono, infatti, una analoga presa di coscienza della diversità maschile che agisce nella Chiesa, delle sue modalità di vivere l’esperienza religiosa e di trasmetterla, del suo rapporto con le donne. Perché il rapporto fra donne e uomini non è riconducibile semplicemente alla constatazione dei diversi gradi di visibilità e di potere, ma deve portare a un interrogarsi sulla necessità di una vitale presenza, nella comunità cattolica, di entrambe le parti che la compongono. La vitalità della Chiesa può riaccendersi solo rispettando quella differenza costitutiva dell’umanità voluta da Dio, e operando per un suo riequilibrio. Non solo la procreazione umana, infatti, ma anche quella simbolica e spirituale richiede un apporto di diversa natura, una collaborazione sempre più viva e riconosciuta fra donne e uomini, fra approccio maschile e approccio femminile ai problemi e alle realtà che la Chiesa deve affrontare. Perché questo miracolo avvenga, perché la Chiesa sviluppi sempre più profondamente questo intreccio di collaborazione fra donne e uomini, che è stato il suo carisma fin dalle origini evangeliche, svolgiamo il nostro modesto lavoro di informazione e riflessione, ma soprattutto siamo consapevoli che è indispensabile la preghiera, a cui facciamo ricorso, come spiega la nostra immagine di copertina, per ispirare un impegno per tutto l’anno. ( l.s. ) Da vittime a protagoniste Intervista alla mozambicana Artemisa Chiziane, attivista del Progetto Dream di A LICIA L OPES A RAÚJO Rivolgersi all’Africa con uno sguardo di speranza è possibile. Dream lo dimostra. Acronimo di Drug Resource Enhancement against Aids and Malnutrition, dal 2002 è il programma della Comunità di Sant’Egi- dio per la cura dell’Aids in Africa. Il so- gno è una nuova visione del continente, lontana dagli stereotipi e dall’afropessimi- smo. Questa volta per l’Africa è stata scel- ta l’eccellenza delle cure, adottando stan- dard occidentali. Il programma è gratuito, proprio per superare l’estrema difficoltà d’accesso per le popolazioni ai centri di salute e ai farmaci. Il I ° dicembre, in occa- sione della ricorrenza della giornata mon- diale contro l’Aids, Benedetto XVI ha lan- ciato un appello in favore di quanti sono colpiti da questa malattia, in particolare dei bambini che ogni anno contraggono il virus dalle proprie madri, sebbene esistano terapie, per impedirlo. La prima esperien- za concreta di Dream è stata realizzata in Mozambico, divenendo un modello prati- cato efficacemente in altri Paesi dell’Africa sub-sahariana: Angola, Camerun, Guinea, Guinea Bissau, Kenya, Malawi, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo e Tanzania. Dream ha cambiato signifi- cativamente la vita a molti pazienti, in particolare donne, coinvolgendoli diretta- mente nella diffusione del programma. In Mozambico un gruppo di donne sieropo- sitive ha fondato l’associazione «Donne per il sogno». Artemisa Chiziane è una protagonista di questo sogno. Quando e in quale occasione ha conosciuto il centro Dream? Era il 2005. Durante la gravidanza mi recai per una visita medica al centro di sa- lute del mio quartiere, Matola 2. Dovetti sottopormi al test dell’Hiv, perché altri- menti non sarebbe stato possibile aprire la cartella clinica. Eravamo dieci donne: sette risultarono sieropositive, me inclusa. Non fu facile affrontare la notizia. Ero molto spaventata, ma non riuscivo a piangere, perché avevo già avvertito i primi sintomi della malattia, pertanto non ebbi alcun dubbio, quando mi comunicarono il risul- tato. Feci tutte le analisi presso il centro Dream e il medico decise che avrei dovuto iniziare immediatamente il trattamento an- tiretrovirale, la cosiddetta triterapia, per evitare la trasmissione del virus al mio bambino. In cosa consiste il programma Dream? Si tratta di un’azione completa di con- trollo, prevenzione e trattamento, cioè di lotta globale contro l’infezione da Hiv. Per la Comunità di Sant’Egidio è fondamenta- le il valore della persona e Dream nasce con l’obiettivo di riunire prevenzione e te- rapia farmacologica dell’Aids anche nell’Africa sub-sahariana, così come avvie- ne in Occidente. Il principio è che non basta prevenire, ma è necessario salvare vi- te, mentre lo scopo della terapia per le donne in gravidanza è garantire una gene- razione libera dall’Hiv. Perché proprio il Mozambico? La Comunità di Sant’Egidio è storica- mente e profondamente legata al Mozam- bico, per aver facilitato gli accordi di pa- ce, firmati il 4 ottobre del 1992. Quali sono le sfide principali che la Comuni- tà di Sant’Egidio deve affrontare? Il maggiore successo è stato far nascere diecimila bambini sani in Mozambico da madri sieropositive, come pure aver salva- to le madri grazie alla terapia antiretrovi- rale. È come la mia storia. È necessario però che questo miracolo sia ancora possi- bile per tutte le madri sieropositive. Oggi la grande sfida è lavorare insieme al mini- stero della Salute, per donare questa spe- ranza a tutti. Il modello va portato in tut- te le province, così da aiutare le donne ad avere bambini sani. Bisogna salvare le ma- dri specialmente nelle zone rurali, dove la popolazione non ha accesso ai farmaci e non dispone di ospedali di prossimità né d’informazioni adeguate. Le persone che tuttora si rivolgono ai guaritori, i curandei- ros , se avessero informazioni corrette da parte delle attiviste di Dream, cambiereb- bero idea: le credenze possono cambiare, la mentalità può cambiare! Come è nato il movimento delle attiviste e quanto è importante questa figura, a cui ha appena accennato? Sono un’attivista molto orgogliosa di esserlo. Si tratta di un compito delicato, perché noi attiviste ci relazioniamo diretta- mente con i pazienti, lavorando in prima linea. Incoraggiamo e appoggiamo i mala- ti e le loro famiglie! Andiamo nelle loro case, offrendo un servi- zio di orientamento su più livelli: nutrizione, igiene, corretta sommi- nistrazione e assunzione dei medicinali e soste- gno psicologico. Garan- tiamo una presenza co- stante in tutti i centri Dream, per accogliere i malati che arriva- no per la prima volta e devono iniziare la terapia antiretrovirale, infondendo forza e coraggio. Partecipiamo alle campagne di informazione sia nei quartieri sia nei luo- ghi di lavoro. Siamo l’esempio vivente che è possibile vincere la battaglia contro l’Aids. Cosa ha imparato dalla sua storia personale e com’è cambiata la sua visione della vita? E quale ruolo svolgono la formazione e l’educa- zione? Ho trovato energie nuove e una speran- za che non avevo prima della malattia. Ho scoperto soprattutto la forza dell’amore che mi porta ad aiutare gli altri con senso di responsabilità, dedizione e disciplina. Ho imparato che gli antiretrovirali sono per me il sole del domani. Per quanto ri- guarda la formazione ogni anno noi attivi- ste frequentiamo un corso di aggiorna- mento. Credo inoltre che l’educazione sia fondamentale, non solo l’educazione sani- taria ma soprattutto l’educazione morale e civica, l’educazione personale, perché re- stituisce, promuove la dignità. Essere sie- ropositivi non significa la fine della vita. In questo momento che lavoro svolge? Sono la coordinatrice del centro nutri- zionale di Matola. Il nostro centro è fre- quentato quotidianamente da circa otto- cento bambini. Abbiamo anche un asilo, a escolinha, frequentato per lo più dai “bam- bini Dream”, nati grazie al programma. Nel nostro lavoro siamo coadiuvati da quegli adolescenti che avevano prima fre- quentato il centro e questo interscambio è molto importante per i bambini. Che ruolo possono svolgere le donne mozam- bicane e, in generale, le donne africane nella lotta contro l’Aids? Come possono contribuire a cambiare il destino dell’Africa? Noi donne siamo i pilastri della società in qualsiasi angolo del mondo. Ovunque siamo portatrici di vita e di speranza, ma il flagello dell’analfabetismo femminile in Africa rappresenta ancora uno dei maggio- ri freni allo sviluppo. Possiamo cambiare il nostro destino solo attraverso la cono- scenza, l’istruzione, l’educazione dei figli e dei mariti, la formazione professionale e il lavoro. Secondo un vecchio proverbio afri- cano: chi educa una donna educa una na- zione! Alla luce della sua esperienza che valore han- no la fede e la speranza? Il valore della speranza è la vita che ho avuto finora. Non sarei viva, se non avessi avuto pazienza e fede. Il dialogo quotidia- no che intrattengo con Dio mi conferisce la forza per aiutare gli altri. Qual è il sogno di suo figlio più piccolo, Hi- lário? Ha appena sette anni e per ora non parla di sogni, ma di certo ne fa. È nato sano grazie al programma Dream e mi au- guro che possa studiare medicina, per po- ter aiutare le persone che soffrono. Credo che l’educazione sia fondamentale Non solo l’educazione sanitaria ma soprattutto l’educazione morale e civica perché restituisce e promuove la dignità Il maggior successo è stato fare nascere in Mozambico diecimila bambini sani da madri sieropositive Essere sieropositivi non significa la fine della vita Artemisa Chiziane, nata a Mandjakaze (Gaza) in Mozambico il 14 ottobre 1978, si trasferì da piccola con i genitori a Maputo a causa della guerra civile. Madre di cinque figli, il più piccolo dei quali, Hilário, è nato sano grazie al Programma Dream. Vive a Boane (periferia di Maputo) con i tre figli minori. Attivista del Programma Dream, è coordinatrice del Centro nutrizionale della Comunità di Sant’Egidio, a Matola (Maputo). Il suo desiderio è diventare infermiera. (foto Paola Rolletta) Isabella Ducrot, «La preghiera» (2012, tecnica mista su seta tibetana, fotografia di Giorgio Benni) donne chiesa mondo

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