donne chiesa mondo - n. 8 - gennaio 2013

women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women L’OSSERVATORE ROMANO gennaio 2013 numero 8 Inserto mensile a cura di R ITANNA A RMENI e L UCETTA S CARAFFIA , in redazione G IULIA G ALEOTTI www.osservatoreromano.va donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo Dove andrai tu, andrò anch’io La storia di Ruth e Noemi, suocera e nuora, diventate sorelle di G IULIA G ALEOTTI «S uocera e nuora nella stessa casa sono come due mule selvatiche nella stessa stal- la», sosteneva lo scrittore italiano Giovanni Verga, cogliendo un’opinione sperimentata. Pur con tutte le sfumature e possibili gradazioni del caso, le difficoltà di relazione tra la madre del figlio e la moglie del figlio, infatti, sono evi- denti agli occhi di tutti. Le eccezioni rappre- sentano una boccata d’aria. Preziose, nella lo- ro rarità. Personalmente conosciamo solo due meravi- gliosi casi. In uno, la suocera prese con forza le parti della nuora quando, una ventina d’an- ni fa, il figlio lasciò la moglie con una bimba piccola per un’altra donna. La nuora, per di più, era straniera. Ma la suocera non ebbe dubbi: suo figlio era solo un bambino cresciu- to in rughe e altezza; essere uomo, invece, era tutta un’altra faccenda (e la nuora le ricordò che comunque doveva volergli bene: era pur sempre suo figlio). La madre che difende i suoi cuccioli, anche se non li ha partoriti. O il cucciolo che difende la madre, anche se non è stato da lei partorito: conosciamo an- che la storia di una donna — madre di un fi- glio disabile e con il marito fuggito lontano — che quando la suocera restò vedova e incapace di vivere da sola, se la prese in casa. E se la tenne fino all’ultimo giorno. Queste quattro donne, vere e preziose, han- no fusa nella loro storia una delle narrazioni bibliche più belle e incredibili, quella che nar- ra il mistero dell’amore incondizionato, l’ami- cizia che dà senza che nulla le venga chiesto, capace di fruttificare anche laddove non uma- namente “necessario”. Al tempo dei Giudici, una grande carestia obbliga un uomo di Betlemme, Elimelech, a emigrare nella terra di Moab, con la moglie Noemi e i due figli Maclon e Chilion. Lì si stabiliscono, ma poco dopo Elimelech muore. I figli si sposano con due donne locali, Orpa e Ruth, ma dopo circa dieci anni anch’essi muoiono. Noemi, è chiaro, ha perso tutto e alle nuore, ancora giovani, dice: «Tornate cia- scuna a casa di vostra madre; il Signore usi bontà con voi, come voi avete fatto con quelli che sono morti e con me! Il Signore conceda a ciascuna di voi di trovare riposo in casa di un marito». Le giovani si oppongono, ma Noemi insi- ste: Orpa, baciatola, sebbene a malincuore, parte, ma Ruth è irremovibile: «Non insistere con me perché ti abbandoni e torni indietro senza di te; perché dove andrai tu andrò an- ch’io; dove ti fermerai mi fermerò; il tuo po- polo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu, morirò anch’io e vi sarò sepolta. Il Signore mi punisca come vuo- le, se altra cosa che la morte mi separerà da te». Vistala così decisa, Noemi accetta e le due donne fanno il viaggio di ritorno insieme verso Israele. È il solo racconto biblico che abbia al suo centro suocera e nuora. Riflettendo sulla storia, la scelta di Ruth ha veramente dell’incredibile. Esempio di eroica fedeltà e di pietà, la sua decisione implica l’abbandono del proprio popolo e l’adesione a un popolo straniero, dove l’estraneità (ieri co- me oggi) è per solito sinonimo di ostilità. Eroina coraggiosa della perseveranza, Ruth — il cui nome significa «l’amica» — compie a ritroso con Noemi («la mia graziosa, la mia dolcezza») un viaggio non suo. Lascia i geni- tori e tutto ciò che possiede a Moab, com- piendo un voto di amore e di fede: non è in- fatti mossa da voci profetiche, né (come avvie- ne per altri “itineranti” personaggi biblici) è stata invitata da un messaggero di Dio. Sem- plicemente, sente di avere una missione. È come se il legame tra queste due donne fosse connaturato alle loro reciproche vicende: entrambe sono rimaste vedove, entrambe sono sospinte dal desiderio di sopravvivere alle av- versità e dal sogno della maternità. L’alleanza tra loro è spontanea, siglata dalle celebri paro- le di Ruth: «Dove tu andrai andrò anch’io, dove tu dimorerai dimorerò anch’io, il tuo po- polo sarà il mio popolo, il tuo Dio sarà il mio Dio». Il libro di Ruth da secoli è per eccellen- za visto come il libro dell’accoglienza e della generosità. Il libro della famiglia fondata sulla fedeltà. La sua umanità e la sua semplicità hanno generato un grande fascino. Nel 1829, ad esempio, Nicolò Tommaseo le dedicò un poe- metto in rima, seguito da due novelle, La nuo- ra buona (incentrata su Ruth e Noemi) e La carità rispettosa (Ruth e Booz), uscite nel 1867. Più di recente, la scrittrice Dacia Maraini (nell’introduzione al volume Rut e Ester , 2001) ha sottolineato la singolarità di un legame così stretto tra suocera e nuora soprattutto all’in- terno di una società «gerarchicamente presta- bilita», in cui la gelosia nei confronti dei figli era mossa dal fatto che per le donne la mater- nità rappresentava il solo modo di avere un ruolo determinante nella famiglia. Qui invece le due donne, private dei mariti, si sostengo- no. Il loro «strano colloquio» sposta al centro della scena l’amicizia di Ruth con Noemi, e così — sempre secondo Dacia Maraini — la sua scelta di seguirla in terra d’Israele appare co- me la sola possibile risposta al mondo patriar- cale. Ruth, del resto, è una capostipite: viene ci- tata anche da Matteo in apertura del suo Van- gelo come la straniera che ha dato le origini al seme di Davide e quindi a Cristo ( Matteo 1, 5). A tal punto che Erri De Luca (1999) ne ha sottolineato la «forza di avvinghiarsi a rampi- cante intorno alla base del Nuovo Testamen- to» (Ruth è legata all’avvento di Cristo anche da un nodo geografico, la città di Betlemme, in ebraico Bet Lehen, «casa di pane», dove Ruth segue la suocera Noemi e dove genererà Obed). Da Ruth, la straniera, dipenderanno le futu- re generazioni di ebrei e cristiani. Pubblichiamo stralci dalla «Lettera a una suora» che lo scrittore pubbli- cò in «Scritti cristiani» nel 1979. Il testo è tratto da Ferdinando Castelli, «Sentinelle dell’assoluto» (Àncora, 2012). di M ARIO P OMILIO C ara Sorella, non so se avrà mai occasione di leggere questa lettera. Nemmeno so se, anche leggendola, lei potrà riconoscervisi: non ricordo il suo nome, né quello dell’ordine al quale apparteneva. Del resto nella sua vita di suora ospedaliera avrà avuto tanti incontri simili a quello avuto con me, che ciò che sto per raccontarle, eccezionale per me ma così normale per lei, non può esserlesi stampato particolarmente nella memoria. Sono in grado di indicarle solo due cose precise, un luogo e una data. La data è quella del marzo 1953 e il luogo la Villa delle Querce di Napoli, una clini- ca privata situata a mezza costa tra il Museo Archeologico e il quartiere del Vomero. Le parlerò di noi, mia moglie ed io, una giovane coppia senza figli originaria dell’Abruzzo e che le circostanze della vita avevano sbalzato da pochissimi mesi a Na- poli, dove vivevamo ancora male, tra difficoltà anche economiche, e dove soprattutto stentavamo ad ambientarci, senza parenti in città e quasi senza amici. Ma a renderci ben più duri quei mesi furono una malattia di mia moglie e l’ur- genza d’un intervento delicato. In sé l’evento, lo so, non ha nulla di straordinario, non siamo stati certo la prima coppia a dover affrontare un’esperienza del gene- re. Ma a farcela apparire penosa forse più del necessario, a parte le preoccupazioni sull’esito dell’in- tervento, i disagi, la penuria eco- nomica, erano molte altre impal- pabili cose, a cominciare dalla no- stra immaturità. Venivamo ambe- due da una adolescenza e da una giovinezza abbastanza protette ed era la prima volta che ci trovava- mo a scontrarci, almeno in sede privata, con preoccupazioni più grandi di noi. Era la “vita” con le sue durezze che improvvisamente ci piombava addosso, sorprenden- doci impreparati. Ricordo ancora le lunghe ore piene di silenzi che trascorrevamo, noi due soli, nel clima della clinica, e la mia impo- tenza d’improvvisato e maldestro assistente, e la malinconia dell’im- brunire, l’ora più triste in una cli- nica, e l’angustiata lunghezza del- le notti. Per fortuna c’era lei, pronta a sorriderci e rincuorarci, pronta a dirci la parola giusta, pronta agli umili servigi di fronte ai quali ma- gari arretrava la professionalità sbrigativa e piuttosto mercenaria delle infermiere. Ci abituammo presto ad aspettarla, le nostre ore erano anzi scandite dall’attesa di lei. Arrivava lieve e rapida; ed ec- cola subito dedicarsi amorevole, sollecita, misteriosamente percetti- va, alle necessità di mia moglie. Fin dal principio andavo do- mandandomi il perché di tutto questo. Perché una così totale of- ferta di sé agli altri e, propriamen- te, tanta carità. E perché tanta gioia nella carità. E perché tanta umiltà. E perché tanta differenza tra il suo comportamento e quello degli altri, di tutti noi altri, ristret- ti nella cerchia dei nostri piccoli egoismi e delle nostre vanità. E aggiunga lei stessa i mille altri perché che sorgevano nella mia mente. Ma, soprattutto, non se ne meravigli. Consideri piuttosto qual ero io in quel momento: per dirla in breve, un agnostico assai poco interessato al fenomeno reli- gioso in sé e oltre tutto affatto ignaro, se si escludevano le sue normali estrinsecazioni culturali, della realtà effettiva della Chiesa e delle mille invenzioni di vita cri- stiana, dei mille modi di testimo- nianza, dei mille eroismi cui, co- me nel suo caso, la fede può dar luogo. Beninteso, narrata così la mia storia si semplifica, cancella le pe- nombre, ma tenga conto ad esem- pio del persistere d’una sensibilità morale impressasi in me durante l’adolescenza che sopravviveva ai miei rifiuti. Ma più ancora consi- deri la predilezione che in queste letture avvertivo tuttora per certi libri di scavo, di interrogazione sull’uomo, sul suo senso e miste- ro, quei tipici libri insomma che non sarebbero possibili senza un presupposto e una radice religiosi. Il filo cioè, probabilmente, non era interrotto, ma la mia fisiono- mia nel suo complesso restava quella dell’agnostico che pensa d’aver chiuso con certi problemi o al massimo li vive solo cultural- mente e per una ragione latamen- te estetica. Ed ecco che a un tratto mi ve- niva incontro lei, cambiandomi molte carte in mano e introducen- do molte perplessità nel mio tran- quillo universo laico. La scoperta tangibile, e non più solo per udito dire, che esistessero scelte simili alla sua, esperienze di vita così esclusive e sconcertanti vissute con un’intrepidezza così serena e così sorgiva, modificava insomma radicalmente la mia visione del Cristianesimo e, oltre a spogliarmi della mia scorza polemica, infiltra- va in me delle inquietudini che in seguito sarebbero venute fermen- tando per vie impensate. Lascian- do infatti da parte gli effetti psi- cologici e intimamente esistenziali provocatimi da quell’esperienza, e senza arrivare a parlare di conver- sione, che diventerebbe un termi- ne troppo facile per un itinerario lungo, dibattuto e intricato, e che non userei, in ogni caso, senza pudore, posso dire che la mia stessa vicenda letteraria mi appare fortemente intrecciata con essa. In breve, sono nato scrittore all’indo- mani di quell’incontro e assai pro- babilmente proprio in seguito a quell’incontro. Ad opera sua erano venuti in luce, di me, l’io profondo e lo scrittore insieme. di L UCETTA S CARAFFIA È brutta, è vecchia e coperta di stracci. Per di più, vola in cielo su una scopa, proprio come le stre- ghe, anche se si è cercato di sal- varla da questo sospetto girando la scopa in direzione opposta a quella delle streghe. Ma ci dobbiamo accontentare: que- sto inquietante personaggio è l’unica presen- za femminile nelle feste invernali, quelle feste legate, per i cristiani, al Natale e alla distri- buzione dei doni ai bambini, che si svolgono nel periodo del solstizio d’inverno, cioè da Ognissanti al 6 gennaio, quando le giornate diventano sempre più corte, il buio sembra inghiottire la vita quotidiana e portare con sé le ombre dei morti. Befana, infatti, che oggi è divenuto sinoni- mo di donna brutta e vecchia, è una corru- zione lessicale di epifania, che significa «ap- parizione» e in senso traslato «apparizione sensibile di una divinità», cioè la presentazio- ne di Gesù ai pagani, e quindi ci riporta all’arrivo dei Magi dall’Oriente. La festa dei re Magi con cui inizia gennaio è una festa della luce, della stella, dell’«appa- rizione», ed è legata al tema del dono: i tre sapienti che arrivano dall’Oriente portano doni preziosi al santo Bambino. Questa festa contiene due elementi — luce e dono — che compaiono in tutte le feste che si svolgono nella fase collegata al solstizio d’inverno, ele- menti già presenti nelle feste pagane per il Sol invictus , legate alla rinascita della luce. L’Epifania si svolgeva la dodicesima notte dopo il solstizio invernale, in un momento in cui si celebrava la morte e la rinascita della natura. L’aspetto da vecchia, il vestito strac- ciato, sarebbero dunque simboli dell’anno vecchio, della natura morta che deve rinasce- re. Esiste anche una leggenda — non tanto antica — che cerca di trovare un posto nella tradizione cristiana a questa figura: i re Ma- gi, andando verso Betlemme, si sarebbero ri- volti a una vecchia per avere delle indicazio- ni sulla strada, cercando pure di convincerla a seguirli per andare ad adorare il piccolo re. Ma la donna si sarebbe rifiutata. In seguito, pentita, si sarebbe messa in cammino con un cesto di dolci, senza trovare né i Magi né il Bambino, così avrebbe donato i dolci ad ogni bambino che incontrava sul suo cammi- no. Da allora, per farsi perdonare, la vecchia ha continuato a fare regali ai bambini. Ma la leggenda non riesce a convincere: la vecchia Befana mantiene sempre qualcosa di inquietante, confermato anche dal fatto che punisce i bambini cattivi portando loro del carbone, a differenza di Gesù Bambino o Santa Klaus - Babbo Natale che sono figure interamente positive e non prevedono regali “in negativo”. La notte dell’Epifania — cioè la «dodicesi- ma notte» — veniva considerata nelle campa- gne una notte magica, in cui gli animali par- lano, nelle stalle e nei boschi. In molte feste popolari il 6 gennaio, invece dei Re Magi, compare la Befana, raffigurata come un fan- toccio che talvolta viene anche bruciato, co- me avviene per i simboli dell’anno vecchio. In alcuni Paesi cattolici — come la Spagna e alcune regioni d’Italia — sono i Magi che portano i regali ai bambini, e non la Befana. In altri, è Gesù Bambino che a Natale porta i regali più importanti, e la Befana piccole cose il 6 gennaio, se non addirittura il carbo- ne. In ogni caso, è posta in un ruolo secon- dario nei confronti del suo rivale importante, Gesù Bambino, che si è trasformato nel XX secolo, per effetto della secolarizzazione, in Babbo Natale, tanto che oggi la Befana sta perdendo sempre più importanza, surclassata dal rivale laico, Babbo Natale. Babbo Natale, infatti, nella sua forma at- tuale è una creazione moderna, così come la credenza che viva in Groenlandia e giri su una slitta trainata da renne. È vestito di scar- latto come i re, stivali e pelliccia evocano l’inverno e — unico aspetto in cui somiglia alla Befana — è vecchio. Come spiega Lévi-Strauss in un suo celebre saggio, Babbo Natale suppliziato , egli non è un personaggio mitico o leggendario, dal mo- mento che manca materiale narrativo sulle sue gesta, ma è «fissato una volta per tutte nella sua forma e definito in base ad una funzione esclusiva e a un periodico ritorno, appartiene piuttosto alla famiglia delle divinità». Lévi-Strauss non lo dice, ma le stesse cose si potrebbero scrivere sulla Befana. Si tratta di divinità minori proprie di una classe di età, l’infanzia. Un momento di passaggio per l’età adulta, infatti, è quello della rivelazione sulla non esistenza di Babbo Natale e della Befana. Ma — scrive il grande antropologo — dietro a questa contrapposizione fra bambini che credono e adulti che sanno, si nasconde una contrapposizione più fondamentale, quella fra morti e vivi. Infatti vediamo che i protagonisti religiosi di questo periodo dell’anno sono tutti giova- ni — da san Nicola, il giovane vescovo di Mi- ra da cui derivano calze e caminetti, che in molti Paesi porta i regali il 6 dicembre, a Ge- sù Bambino fino ai Re Magi — ma, quando si trasformano in personaggi mitici come Babbo Natale e la Befana, diventano vecchi. Vecchi come i morti. In molte tradizioni locali, a cominciare dal- la festa di Ognissanti, l’ormai famosissima Halloween, i bambini si travestono da schele- tri e da fantasmi e girano perseguitando gli adulti che se ne liberano solo donando soldi o dolci. Perché in questo periodo critico dell’an- no, quando la notte minaccia il giorno, si te- me che possano tornare i morti a tormentare i vivi. Con il ritorno della luce, i morti se ne andranno, ma intanto bisogna tenerli buoni con doni e servigi. Le feste di Natale e dell’Epifania sono feste che celebrano il ritor- no della luce, e quindi obbligano i morti al congedo. In quei giorni, si possono quindi anche festeggiare i morti, ma chi li può rap- presentare nella società dei vivi? Lévi-Strauss risponde che sono i bambini ad assumere la parte dei morti, in quanto incorporati al grup- po umano ancora in modo incompleto, sono “altri” dai vivi adulti: «La festa dei morti è es- senzialmente la festa degli altri, poiché il fatto di essere altro è la prima immagine ravvicinata che possiamo rappresentarci della morte». Siamo noi adulti che portiamo i regali ai bambini, ma ci piace che loro credano, alme- no per qualche anno, che i regali arrivino dall’aldilà, sia stato Gesù Bambino o Babbo Natale o la Befana a portarli. Non sappiamo se la Befana, e il suo colle- ga Babbo Natale, immagini di quei morti che vengono a disturbare i vivi durante l’au- tunno, e che poi se ne vanno al ritorno della luce, portando in cambio regali ai bambini, sono veramente — come scrive l’antropologo francese — «il bastione più solido, e uno dei focolai più attivi del paganesimo nell’uomo moderno». Lévi-Strauss scriveva nei primi anni Cinquanta, quando il consumismo era una realtà lontana: oggi che conosciamo la follia consumista che divampa fra Natale e l’Epifania siamo indotti a pensare che sia questa, e non le innocenti figure mitiche di Babbo Natale e della Befana, a rappresentare la soglia avanzata del paganesimo. Oggi è più facile pensare che almeno at- traverso questi due mitici vecchi si veicola il senso della morte e della vita, nonché l’esi- stenza dell’aldilà: per molti bambini, questa sarà l’unica esperienza di “aldilà” nel corso della loro educazione. E il loro esistere al fianco di episodi della Sacra Scrittura o della vita dei santi continua a segnalare un legame con la tradizione cristiana. Il Natale non è solo la festa dell’albero illuminato e di Bab- bo Natale, l’Epifania non è solo la buffa Be- fana che porta dolci e regali: lo sdoppiamen- to pagano delle feste cristiane contribuisce a tenerle vive, e possiamo sperare che qualcuno di questi bambini, crescendo, cerchi di capire meglio la loro storia. Ed entrambi, nel loro nome, riportano tracce della tradizione cri- stiana: Natale, e quindi la nascita di Gesù, per Babbo Natale, ed Epifania nascosta nel nome della Befana, e quindi i Magi e, di nuovo, il Bambino. In ogni caso, una storia migliore di una glorificazione dell’acquisto fine a se stessa, una storia misteriosa che fa pensare che esi- sta una realtà “altra” oltre la nostra. Il romanzo L’estate dei barbari In una villa moresca sul Pacifico, Araceli, la cameriera messicana, osserva la famiglia molto perbene per cui lavora. Non però il viceversa: per i “padroni” la persona dietro la donna delle pulizie («si sfilò l’uniforme, liberandosi della sua identità come domestica nel momento in cui camicetta e pantaloni finivano nel cesto della roba sporca») non esiste. Finché — dopo essere spariti, ognuno per conto suo, abbandonando i due viziatissimi figli — tornati a casa e realizzato il baratro del loro gesto, i coniugi sono costretti a fare i conti con la donna Araceli. Svela tantissimo di noi il romanzo di Héctor Tobar, L’estate dei barbari (Einaudi, 2012). Svela il razzismo inconsapevole che ci portiamo dietro; svela la tentazione di scaricare la colpa sugli altri, il non vedere per comodità, la spirale perversa dei fraintendimenti. Svela i cambiamenti nelle relazioni tra emigranti e famiglie di origine. Ma svela, soprattutto, la voce di una donna che vive con noi, ma che ci ostiniamo a non ritenere dei nostri. ( giulia galeotti ) Il film La bicicletta verde Wadjda è una bambina di dieci anni che vive alla periferia di Riyadh, capitale dell’Arabia Saudita. È sveglia, affettuosa, sorridente, curiosa, piena di vita, anche della vita che non è ammessa per le donne nel suo Paese. Su tutto, Wadjda desidera una bicicletta, che i suoi genitori non solo non si possono permettere, ma che non ritengono consona a una femmina. Ma la bimba non si arrende. Inizia a darsi da fare per trovare i soldi, impegnandosi addirittura nella preparazione della gara di Corano della sua rigidissima scuola femminile, lei che non ha alcuna “predisposizione” per le materie religiose. La bicicletta verde (2012) di Haifaa Al-Mansour, prima regista donna dell’Arabia Saudita, ha diversi meriti: primo lungometraggio interamente girato nel regno, affronta e denuncia la terribile oppressione degli uomini sulle donne (e delle donne sulle donne) senza rabbia o vittimismo, ma attraverso gli occhi di una bambina, vitale e determinata, che non accetta le regole imposte. Una bimba che attacca, con una forcina per i capelli, all’albero genealogico ufficiale della sua famiglia che campeggia in salotto — tutto composto esclusivamente di nomi maschili — anche il suo. La libertà di Wadjda non passa tanto per l’oggetto desiderato, quanto per il percorso fatto per conquistarlo. Un percorso che cambierà anche sua madre, che da donna radicalmente imbevuta della mentalità sociale, impara a capire sua figlia. E a starle accanto. ( giulia galeotti ) L E DONNE DI H AITI Accanto ai campesinos e ai bambini, ad Haiti le principali vittime dell’emarginazione sono le donne, che con il loro lavoro sostengono gran parte delle famiglie monoparentali. Secondo le informazioni inviate a Fides dalla curia generalizia dei gesuiti, il terremoto di due anni fa le ha colpite in modo particolare: centinaia di migliaia di donne (venditrici ambulanti, collaboratrici domestiche e operaie) si sono improvvisamente trovate senza mezzi di sussistenza. Per aiutarle, nell’ottobre 2011 il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (Jrs) ha avviato un progetto di auto-sostentamento economico e promozione socio- culturale volto al miglioramento delle condizioni di vita di 2.040 donne sfollate di Port-au-Prince. A oltre un anno dall’avvio del progetto, in quattro accampamenti nella capitale 108 donne capofamiglia sono state istruite nella gestione del commercio spicciolo e si sono organizzate in un gruppo di cooperazione economica, ricevendo ognuna in prestito dal Jrs una piccola somma. G RANO AVARIATO La denuncia della dottoressa Giuliana Icardi, dell’università del Piemonte Orientale, è netta: da quando non è più italiana ma batte bandiera a stelle e strisce, una nota ditta alimentare ha iniziato a usare grano con tassi altissimi di micotossine, cioè (per i non addetti ai lavori) grano ammuffito, derivante da lunghi stoccaggi, acquistato al prezzo più basso possibile. Nel 2006 l’Unione europea (Ue) ha alzato, con un colpo di mano, i livelli accettati di micotossine presenti nel grano duro: tanti Paesi potranno così produrre grano duro in climi non adatti, concentrandosi solo sulla quantità. Il che significa, tra l’altro, distruggere i contadini del sud Italia, il cui grano non contiene micotossine, e portare al fallimento quelle industrie sementiere mediterranee che non usano grano ammuffito. Non solo, ma giacché per esportare pasta in Nord America il grano deve avere un tasso di micotossine che è circa la metà di quello che la Ue ora accetta per le importazioni di grano duro dagli stessi Paesi, i commercianti italiani e i monopolisti internazionali acquistano al prezzo più basso possibile da contadini che hanno bisogno di soldi per pagare i debiti, per poi speculare quando tutto il grano è nei loro magazzini. Essi esportano il grano migliore italiano all’estero, lucrando sul prezzo, e importano invece grano ammuffito e radioattivo dall’estero. Attenzione, dunque, alla spesa. Acquistare solo pasta da grano duro coltivato in Italia e da coltura biologica è scelta seria. A LLE AFGHANE POCHI DIRITTI E TANTI ABUSI «Tradite e uccise»: Davide Frattini, inviato del «Corriere della Sera», ha ricordato Najia Sidiqi, Hanifa Safi, Anisa e le altre donne afghane che — dopo aver creduto nelle promesse occidentali e nella nuova Costituzione — sono state uccise perché hanno osato fare qualcosa per le loro simili. Un rapporto delle Nazioni Unite presentato qualche settimana fa apre la contabilità dolorosa delle violenze con la storia di una quindicenne che si è data fuoco: picchiata quotidianamente da marito e suocero, dai poliziotti ai quali li aveva denunciati era stata invitata a tacere e tornarsene a casa. La Commissione indipendente per i diritti umani ha registrato 4.100 casi di violenze nei primi mesi del 2012, quasi il doppio rispetto all’anno precedente. È vero che i numeri crescono anche perché in molte hanno trovato il coraggio di denunciare, ma — fa notare il dossier dell’Onu di cui ha scritto il giornalista — in 16 delle 34 province solo il 21 per cento delle querele ha portato a condanne. Magistrati, giudici e poliziotti hanno cominciato ad applicare la legge del 2009 per l’eliminazione della violenza contro le donne (che punisce, tra l’altro, nozze forzate, stupri, botte in famiglia, compravendita di donne con la scusa di sistemare dispute tra clan), ma la strada perché le donne siano davvero protette e la loro eguaglianza riconosciuta è ancora lunga. «Gli attivisti — conclude Frattini — sanno che le donne rischiano di essere le vittime del negoziato con i talebani». S EICENTO MILIONI DI BIMBE FANTASMA Dei 600 milioni di bambine e adolescenti che vivono nei Paesi in via di sviluppo, molte continuano a essere invisibili per le strutture e i programmi nazionali. Milioni di loro vivono in condizioni di povertà, vittime di discriminazione, disuguaglianza, violenza, sfruttamento, come lavoro minorile e matrimoni precoci. L’America Latina, ad esempio, è la sola regione in cui si registrano tassi di fertilità adolescenziale ancora stabili o addirittura in aumento. Si tratta di bambine e adolescenti evidentemente molto vulnerabili: la maggior parte lascia la scuola, limitando così la possibilità di trovare un lavoro e acuendo il proprio stato di dipendenza (spesso dai loro stessi aguzzini). Il matrimonio infantile è un’altra piaga: secondo le ultime statistiche dell’Unicef, 70 milioni (cioè una su tre) di giovani donne tra 20 e 24 anni si sono sposate prima di aver compiuto 18 anni, e 23 milioni prima dei 15 anni. A livello mondiale, 400 milioni di donne tra 20 e 49 anni si sono sposate quando erano ancora minorenni. A NTONINA E LE ALTRE IN CANTIERE NELLA F ABBRICA DI S AN P IETRO Anche se assenti nelle liste di presenza giornaliera, molte donne hanno lavorato nel cantiere della Reverenda Fabbrica di San Pietro. Erano per lo più vedove di operai, impiegate in compiti per cui non era richiesta una specifica competenza tecnica. Come ricorda il foglio «All’ombra del cupolone» (completamente rinnovato), queste donne sostituivano i mariti per non incorrere nelle penalità previste dai contratti. Antonina de Pozzo, vedova di Giacomo Carone, ad esempio, compare nell’elenco dei trasportatori di travertino dal 1548 al 1550. Mentre risulta che madonna Perna, “lavandara di Nostro Signore”, nel 1542 affittò i suoi sei somari a mastro Lorenzo per trasportare, a quindici baiocchi la giornata, la terra necessaria per realizzare una strada di servizio dietro la basilica. Durante tutto il XVI secolo, la presenza femminile figura anche tra la manovalanza, e (pare) senza differenze remunerative con gli uomini. Perfino alcune nobildonne strinsero rapporti economici con la Reverenda Fabbrica. È il caso di Francesca Farnese (che fornì legna dalla selva di sua proprietà nel 1546) e della contessa di Anguillara. Impegnatasi a tagliare in breve tempo i suoi abeti di Cerveteri, il 17 maggio 1549 fu sollecitata “ad affrettare la consegna in cantiere”. Il saggio The Perfume of the Gospel L’emorroissa, la sirofenicia, la peccatrice, le sue discepole, Maria di Betania e Sophia (Sapienza): sono sei gli incontri tra Gesù e le donne che — partendo dai sinottici e dal Vangelo di Giovanni — Nuria Calduch-Benages, docente di Antico Testamento, racconta in Il profumo del vangelo (Paoline, 2007) ora uscito nella traduzione inglese ( The Perfume of the Gospel. Jesus’ Encounters with Women , Gregorian & Biblical Press, 2012). Un tratto che torna costantemente è la presenza del profumo, presenza carica di connotazioni e ricca di contenuto simbolico. Un profumo capace di aprirsi a molteplici interpretazioni in base ai contesti, ma ciò che immediatamente evoca è la generosità, la gratuità, la nobiltà d’animo. Accoglienza, disponibilità, ospitalità, bellezza, eleganza, intelligenza e amore. E se un profumo annuncia la morte di Gesù, è sempre un profumo — scrive l’autrice, nata a Barcellona — ad annunciarne la risurrezione. ( giulia galeotti ) Queste quattro donne vere e preziose hanno fusa nella loro storia una delle narrazioni bibliche più belle e incredibili Quella che narra il mistero dell’amore incondizionato Vetrata della Saint James Anglican Church (Halifax, Nova Scotia, Canada) Arrivò lei e io divenni uomo e scrittore L’incontro con una suora ospedaliera trasformò per sempre un giovane agnostico La vecchina che narra ai bimbi l’aldilà Inchiesta sulla Befana, unica presenza femminile nelle feste invernali È la festa della luce Della stella, dell’apparizione, del dono e del Bambino appena nato Uscite e abbonamento Grandi novità per il nostro inserto. Da questo mese siamo in edicola ogni secondo giorno del mese. È ora anche possibile abbonarsi all’inserto «donne chiesa mondo» al costo di 10 euro per gli undici numeri annuali. Non manca la formula regalo, attraverso la cartolina con il disegno di Isabella Ducrot riprodotta qui a fianco. 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