donne chiesa mondo - n. 5 - ottobre 2012

donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne Teresa, solo Dio basta La santa del mese raccontata da Juan Manuel de Prada N on conosco nessuno — reli- gioso o laico, credente o non credente — che, avvicinatosi alla figura di santa Teresa di Gesù, non ne sia rimasto soggiogato. Credo che il motivo non sia altro che la sua potentissima, palpitante, nuda umanità; un’umanità tanto tesa, tan- to a fior di pelle, da divenire celestiale senza affettazione, ricordandoci che la no- stra vocazione più naturale e sincera — e purtroppo anche la meno corrisposta — è la santità. Teresa d’Ávila fu, senza alcun dubbio, una creatura eccezionale, adornata da infi- nite virtù; ma fu, prima di tutto, una crea- tura umanissima, piena di impeto e di en- tusiasmo, piena di franchezza e di grazia personale, piena di una incantevole e viva- cissima gioia interiore, piena di Dio dap- pertutto, ricolma e risonante di Dio, come le lenzuola appese allo stenditoio, gonfie e piene dell’aria mattutina. C’è in lei un senso di mattino, di frumento, pieno di sapore di Dio: Dio si fa pane appena sfor- nato nel cuore di santa Teresa, e si comu- nica, come una nutriente fragranza, a quanti si avvicinano a lei. Una donna pos- seduta da Dio in ogni cellula e in ogni pensiero, traboccante di un amore che fa esplodere le cuciture del suo cuore; così è Teresa d’Ávila. Quando era bambina, le piaceva leggere romanzi cavallereschi e vite di santi. Cre- do che, in qualche modo, queste letture segnarono per sempre il suo temperamen- to; in santa Teresa la santità è un’avventu- ra sempre nuova, una spedizione in fore- ste incantate, un’ansia di una vita più esal- tante, più intrepida ed esigente, che trova il proprio centro nell’abbraccio con Gesù. «Signore, se tratti così i tuoi amici, per forza ne hai così pochi!» protestò in un’occasione Teresa, dopo aver subito un incidente. La frase rivela la natura della sua amicizia con Gesù: un’amicizia che è sofferta e paziente, ma che rivela una fidu- cia suprema, dove non è escluso neppure l’umorismo ironico. Nella sua conquista dell’amicizia con Gesù, Teresa soffrì molte incomprensioni e umiliazioni; e dovette far proprie molte rinunce e sacrifici. Ma capì che la negazione di sé che esige la santità è, nello stesso tempo, affermazione della parte più vera di una persona: Teresa si liberò delle sue mancanze e dei suoi di- fetti per scoprire la sua natura più vera, e non per sotterrarla; e scoprendo meglio se stessa, giunse più pienamente all’amicizia di Gesù, che ci vuole purificati ma mai amputati. E vuole che, nel nostro rappor- to intimo con lui, nulla della nostra uma- nità resti soffocato; neppure il nostro gu- sto per l’ironia. Molti suoi contemporanei non la capi- rono. Non la capì suo padre, che cercò ostinatamente d’impedire o di deviare la sua vocazione religiosa; non la capirono quanti frapposero ostacoli alla sua rifor- ma. La sua immaginazione scintillante di grazia, la sua disarmante naturalezza, le sue intuizioni piene di una sapienza pro- fonda scandalizzarono molti uomini del suo tempo, che la presero per una visiona- ria o una velleitaria. Accadeva allora, acca- de ora e accadrà sempre: la nostra fede ti- morosa, sempliciotta, mediocre, si scanda- lizza di fronte alla fede dei santi, che ci appare esagerata. E dimentichiamo che la fede, che è desiderio di Dio, non può che essere esagerata. Non è forse esagerato l’amore di Dio? C’è qualcosa di più esage- rato che morire sulla croce? Non c’è fede senza esagerazione; perché nell’esagerazio- ne sta il senso di quella divina pazzia che iniziò nella creazione, fiorì nell’Incarnazio- ne e culminerà nella vita eterna. Santa Te- resa, che era una donna spagnola fino alla punta dei capelli, capì questa esagerazione come solo uno spagnolo può capirla: con acerrima passione, con dedizione del cuo- re e orgoglioso coraggio; e seppe essere semplicemente esagerata, o esageratamente semplice, in tutto ciò che disse e fece, in tutto quello che pensò e scrisse, lasciando che il “forte uragano” dello Spirito Santo spingesse la navicella della sua anima ver- so la santità, lasciandosi condurre in un colloquio d’amore all’intimità con il suo Amato. Fondò conventi che chiamò «colombaie della Vergine»; e scrisse libri pieni di pri- mavera, nei quali riuscì a esprimere le esperienze più ineffabili con una chiarezza spoglia e trasparente. E in tutto si mostrò sempre donna sensata e tutta d’un pezzo, senza alcuna mancanza: grande conoscitri- ce della natura femminile — alla quale de- dicò sempre le sue ironiche battute — nel suo cammino di penitenza e perfezione si spogliò dei belletti e delle remore che sia- mo soliti confondere con la femminilità (e sono solo le vesti che confondono, com- plicandola e banalizzandola), per «ardere nel più grande amore di Dio», che de- scrisse come un «dolore intenso» e una «straordinaria dolcezza». E questo grande amore diede alla luce una donna nuova. L’autopsia del suo cadavere rivelò nel suo cuore una ferita lunga e profonda; era la ferita luminosa di un amore che l’aveva trafitta da dentro, immunizzandola contro delusioni, accuse e momenti di sconforto: «Niente ti turbi / niente ti spaventi, / tut- to passa / Dio non cambia; / la pazienza / tutto ottiene; / chi Dio ha / di nulla man- ca: / solo Dio basta». Nato a Baracaldo (Spagna) nel 1970 e cresciuto a Zamora, Juan Manuel de Prada con il suo primo romanzo, il monumentale Las máscaras del héroe (1996), ha ottenuto il Premio Ojo Crítico de Narrativa. Acclamato dalla rivista «The New Yorker» come uno dei sei scrittori europei più promettenti, nel 1997 ha vinto il Premio Planeta per La tempestad , tradotto in venti lingue. Sono seguiti Las esquinas del aire (2000), Desgarrados y excéntricos (2001), La vida invisible (2003, e Premio Nacional de Narrativa), El séptimo velo (2007, Premio Biblioteca Breve). In novembre esce il suo romanzo, Me hallará la muerte . François Gérard, «Santa Teresa d’Ávila» (1827, particolare) Una donna posseduta da Dio in ogni cellula e in ogni pensiero traboccante di un amore che fa esplodere le cuciture del suo cuore Le avvocatesse saudite Dopo discussioni e consultazioni con esperti e organismi legali e religiosi, il ministero saudita della Giustizia ha dato l’approvazione finale: anche le donne avvocato potranno ottenere le licenze necessarie per praticare la professione. I funzionari del ministero avevano inizialmente suggerito di restringerne il lavoro ai casi legati alle persone, ma ha vinto la tesi di quanti ritengono che le donne debbano avere il diritto di occuparsi di tutti i casi legali senza restrizioni. Per esercitare la professione, alle donne sono richiesti gli stessi requisiti dei colleghi maschi: la laurea in legge (o in legge islamica) e la pratica presso uno studio legale. Finora le donne laureate in giurisprudenza erano autorizzate a lavorare come consulenti legali in aziende e banche, ma non potevano rappresentare i clienti in tribunale né aprire uno studio a loro nome. Il ministero della Giustizia sta cercando di colmare il vuoto normativo esistente. Verrà allestito un database delle avvocatesse e nei tribunali sarà creato un sistema di identificazione tramite impronte digitali: le donne così non dovranno mostrare il volto per accertare la propria identità. Secondo il ministero della Giustizia, verranno distribuite ben 2.115 licenze alle avvocatesse. L’egumena e l’agricoltura bio Le guide già ne parlano. E così le delizie prodotte dalle monache di clausura del monastero ortodosso di Solan (in Francia), fautrici dell’agricoltura biologica, sono sempre più ricercate. Marmellate, miele e vini dagli inequivocabili nomi — Mon bien-aimé avait une vigne e Saint-Jean-Bouche-d’Or — da degustare recitando il Cantico dei cantici. Recentemente però la rivista francese «Témoignage chrétien», con un servizio di Laurence Desjoyaux, è andata un po’ più a fondo dell’esperienza. «Non siamo qui per fare dell’agricoltura biologica — ha spiegato madre Hylandia, l’egumena del monastero — siamo qui per trovare Dio». No alle spose bambine in Swaziland Nello Swaziland è stata recentemente dichiarata illegale la pratica dei matrimoni tra uomini adulti e ragazze minorenni. Accettata per secoli e conosciuta nella lingua swazi come kwendizisa , la pratica era stata salvata dalla Costituzione del Paese del 2005. Con la promulgazione nel 2012 della legge sulla protezione e tutela dei bambini, invece, la kwendizisa è stata bandita, anche perché negli ultimi anni è andata sempre più collegandosi con la diffusione dell’Hiv (nello Swaziland si registra il tasso di prevalenza più elevato al mondo): le adolescenti sposate rischiano infatti il contagio a causa delle unioni poligame e delle violenze sessuali, a cui si devono aggiungere una limitata mobilità sociale, bassi livelli di istruzione e uno scarso accesso ai mezzi di comunicazione. Perseguendo penalmente gli uomini che sposano le bambine, la nuova legge colpisce anche i genitori e i tutori collusi. I trasgressori rischiano pene detentive fino a vent’anni. Carovana delle madri Il 10 ottobre è partita la Carovana delle madri del Centro America, composta dai genitori di El Salvador, Honduras, Nicaragua e Guatemala che cercano i figli scomparsi in Messico mentre erano in transito verso gli Stati Uniti. Il programma è arrivare il 3 novembre al Distretto federale di Città del Messico, dopo aver percorso quattordici Stati ed essersi fermate in 23 città in cerca di indizi che possano condurre ai figli scomparsi. Durante i quasi cinquemila chilometri di strada, le partecipanti saranno aiutati da enti locali, ostelli dei migranti, istituti di migrazione, università, attivisti e sostenitori dei diritti dei migranti. L’iniziativa mira anche a richiamare l’attenzione sul trattamento che le autorità messicane riservano agli immigrati centroamericani. «Tutto il Messico è un cimitero di migranti» recita un cartello esposto dalla carovana. Le madri hanno anche richiesto l’esumazione dei corpi che si trovano nelle fosse comuni. Le tunisine vincono: restano “uguali” Le donne tunisine hanno vinto. È stata infatti bocciata la riforma dell’articolo 28 della Costituzione del Paese sulla quale puntava il partito islamico di maggioranza Ennahda (o Movimento della rinascita). La proposta mirava a introdurre una definizione speciale per le donne tunisine, catalogandole come “complementari” e non invece come “uguali” ai concittadini maschi. Fortunatamente questa via volta a spalancare le porte alla subordinazione dei loro diritti a quelli degli uomini, è stata sbarrata. Cancellate tre milioni di indiane L’ultimo studio del Centro statistico nazionale indiano è inequivocabile: nel 2011, tre milioni di indiane sono mancate all’appello perché abortite o fatte morire dopo la nascita. Nonostante la legge del 2003 — che mise fuorilegge l’uso dell’ecografia per rivelare il sesso del nascituro — e le campagne internazionali, lo squilibrio demografico continua a essere una realtà nel continente indiano, diffusa tra tutti i ceti sociali. Nel 2000 Amartya Sen denunciò gli oltre 60 milioni di bambine mancanti all’appello in Asia per strategie consapevoli e distorte. Un grido che rimbomba ancora in tutta la sua immutata attualità.

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