donne chiesa mondo - n. 4 - settembre 2012

donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne La beata Burjan, prima donna eletta al Parlamento austriaco Quando la fede trasforma la politica di G IULIA G ALEOTTI F u la prima donna a far parte del Consiglio comunale di Vienna nel 1919 per il Partito socialdemocratico. E fu, l’an- no dopo, la prima donna a essere eletta deputata al Consi- glio nazionale austriaco — a suffragio universale appena conqui- stato — per i cristiano-sociali. Aveva 36 anni. Colei che suor Ma- ria Judith Teppeiner (teologa e direttrice generale delle Suore della Carità Sociale) ha definito «una combattente per la parità di diritti», mise al centro del suo programma i deboli, gli emargi- nati, i poveri e le donne. Aspetto tutt’altro che frequente nei po- litici di professione, si trattò di un programma etico e di strategia esistenziale prima che politica: Hildegard Burjan (1883-1933) è stata beatificata il 29 gennaio scorso nel duomo di Santo Stefano a Vienna. E nemmeno sei mesi dopo Gregor Hammerl, presiden- te del Bundesrat austriaco, ha donato al Papa gli originali dei di- scorsi e delle mozioni che Burjan presentò in Parlamento. Nata in una famiglia ebrea non praticante, Hildegard Freund spiccò subito per la sua intelligenza, divenendo una delle prime donne a studiare filosofia all’università di Zurigo. Qui nel 1907 conobbe l’ingegnere ungherese Alexander Burjan (anche lui ebreo) e insieme andarono a vivere a Berlino per studiare scienze politiche ed economia. Si sposarono due anni più tardi. Dopo poco, Hildegard conseguì il dottorato in filosofia. Un momento estremamente delicato nella vita di Hildegard si produsse da lì a poco: nel 1909, infatti, dopo sette mesi di inutili operazioni e terapie all’ospedale cattolico St. Hedwig, i medici la dichiararono incurabile a causa di un grave problema ai reni. Le suore dell’ospedale, però, non si diedero per vinte: pare sia stato proprio grazie alle loro preghiere che la salute della donna im- provvisamente migliorò il giorno di Pasqua. Colpita nel profon- do dall’incontro con le religiose, Hildegard chiese il battesimo. E quando poi, rimasta incinta dopo il trasferimento a Vienna, i me- dici le consigliarono l’aborto (il suo fisico provato non sarebbe stato capace di affrontare la gravidanza), la donna fu irremovibi- le. E nove mesi dopo nacque Lisa. La gioia dei Burjan era però offuscata dai gravi problemi poli- tici e sociali che al tempo agitavano la capitale austriaca, e l’Eu- ropa tutta. Incapace per indole e vocazione di restare ferma din- nanzi alle necessità altrui, nel 1919 Hildegard decise di fondare la società religiosa Caritas Socialis, composta da suore, membri esterni e collaboratrici. Con le dieci compagne, non solo organiz- zò un ufficio di collocamento e una struttura per distribuire pasti caldi ai poveri, ma aprì alloggi per persone convalescenti e mala- te, case per ragazze madri e donne senza tetto. Occorre ricordare — a riprova della sua tenacia — che quando Hildegard Burjan ideò (tra le critiche) il suo progettò, si trattava di una forma di società religiosa non ancora prevista dal diritto canonico (cosa che avverrà poi, dopo la sua morte): ella voleva infatti creare qualcosa di nuovo, capace di rispondere ai nuovi bisogni dei tra loro i diversi talenti e le diverse forme di vita potessero arric- chirsi vicendevolmente. Mossa dal motto «l’amore di Cristo ci spinge» ( 2 Corinzi 5, 14), l’idea di Hildegard era quella di fornire un’assistenza che non rendesse le persone dipendenti, ma che fosse invece capace di aiutarle a camminare con le proprie gam- be. Solo così il singolo sarebbe stato in grado di riacquistare il rispetto di sé. I problemi renali la condussero alla morte nel 1933: Hildegard Burjan aveva appena compiuto cinquant’anni. Nel 1963 il cardi- nale Franz König, arcivescovo di Vienna, diede inizio alla sua causa di beatificazione. Nel 2007 è stata dichiarata venerabile e, tre anni dopo, è stato riconosciuto un miracolo attribuito alla sua intercessione. Caritas Socialis risponde ancora oggi ai bisogni scottanti, con- centrandosi sull’inizio e la fine della vita, quando la persona è particolarmente debole. Presente in Austria, Germania, Unghe- ria, Italia e Brasile, a Vienna (ad esempio) Caritas Socialis gesti- sce una casa per madri e figli, un centro di consulenza, scuole materne e asili infantili, centri sanitari e sociali con servizi specia- lizzati nell’ambito della cura e dell’assistenza alle persone anzia- ne e affette da malattie croniche (come l’Alzheimer e la sclerosi multipla). Intelligente, attenta, propositiva, energica: l’impegno di Hilde- gard Burjan rimane interessante soprattutto per la sua capacità di avvicinare vocazioni in apparenza distanti. Politica e religione cattolica, comunità religiosa e vita familiare, con uno sguardo sempre vigile sulle tante forme di precarietà sociale e spirituale. Tutto questo tenuto insieme nella convinzione che la persona umana sia un unicum globale, non frazionabile. Un lascito prezioso per le donne e gli uomini di fede, e di po- litica. Io, Teresa Benedetta della Croce La santa del mese raccontata da Mariapia Veladiano Q uesta è la storia del mio nome: suor Teresa Bene- detta della Croce. Nata ebrea. Nata donna. Si sa di essere ebrea come si sa di essere donna. O uomo. Un esistere in noi delle emozioni, del pen- siero, del corpo, dei desideri. Prima della nascita scritti in una storia che ci porta. Come tutti, ma noi ebrei in modo impen- sato, segreto anche a noi, dispersi in mille diaspore nascoste. Certo straziante. È an- che storia da portare. Quante volte rico- minciati grazie a una promessa. Essere vivi poco poco. Un resto è stato Israele. Quante volte. E poi raggiunti sul fondo. Sul fondo della speranza ormai delusa. Del desiderio ormai esausto. Della sterilità. Sono le donne a essere sterili nel nostro popolo. Sara, Rebecca, Rachele. E poi madri di moltitudini. A loro la rivelazione più san- ta: che a Dio nulla è impossibile. Che all’amore nulla è impossibile. Ho lasciato la mia tradizione. Ho tra- mandato quel che ho ricevuto oppure ho tradito? Qualcuno l’ha detto. Come ho potuto? Condotta, sono stata condotta, per ma- no, a volte portata, evento dopo evento. La filosofia è stata disciplina. Fascino di un cercare necessario. Incontro con chi crede che con il nostro pensare possiamo raggiungere i confini dell’impensabile e restare vivi. La prima guerra mi ha restituito alla terra da cui tutti veniamo, con potenza, i sentimenti che mi trapassavano nelle cor- sie d’ospedale insieme al dolore dei corpi, la morte che coglieva uomini colpiti in battaglia da altri uomini, poi colpiti da al- tri, catena di fuoco, a loro vicinissima, di loro compagna, ma viva. Di chi era la mia vita? Empatia che ci mescola. Poi è arrivato il chiarore. Domande nuove. E sempre una domanda ha dentro un incontro. Persone trasparenti alla fede, divina forza che le abita. E infine mi ha raggiunta la luce. Donna di tanti libri, un libro mi ha portato la lu- ce di una vita fatta tutta divina. Santa Te- resa. Madre della mia nuova vita. Ecco il mio nome. E il Carmelo sarà casa del mio nuovo esistere. Perché? Come ho potuto lasciare mia madre? Chiedono. «Libro dai sette sigilli» mi di- cevano le sorelle. Come tutti. Come tutti. Chi conosce il segreto dell’uomo? Lasciare padre e madre. Non andare al funerale del padre. Sta nel Vangelo. Cosa può tener lontano un figlio dall’ultimo sa- luto al padre? Salvare una vita, si può ri- spondere. E può non essere sufficiente che la vita sia la propria. La propria per amo- re può essere data. Ma se è la vita di un altro. Di molti. Se è consegnarsi alla vita stessa. Allora forse si può non andare al funerale del padre. Io mio padre non l’ho conosciuto quasi. Ma mia madre! Lo strazio di un quoti- diano sentire il dolore di chi amiamo e che non ci può seguire, non può nemme- no immaginare, e allora si deve cercare ogni giorno la parola per addolcire o al- meno non abbandonare a un solitario chiedersi. Quante lettere a mia madre, quante. Essere cura è quel che possiamo sem- pre, anche verso il dolore provocato. Che pure non vogliamo. Come ho potuto? Chiedono. Non si può quasi dire. Si scopre di essere nuova eppure si porta tutto con sé, non si ab- bandona nulla. Insopprimibile essere di- versi come quando un amore ci investe. Perché è proprio un amore che ci investe. Un rovesciamento come quello del mio popolo. Altre donne nel Vangelo ce lo di- cono. Elisabetta, così vicina, così vicina al tut- to che stava per capitare. Rovesciamento dell’impossibile. E poi Maria. Impensabile essere madre, prima ancora che il suo corpo potesse im- maginare. Consegna reciproca, assoluta al divino che la abita. E quando si trova l’amore non c’è altro in noi. Tutto ricomprendiamo. Volere quel che Lui vuole. La volontà di Dio è la veri- tà di me. La mia felicità. Nel mio corpo di donna ebrea. Le don- ne sono arca di ogni alleanza. Fra generi, in ogni vita che nasce. Fra cielo e terra, in Maria. Questo è il mio corpo di donna ebrea e cristiana. Questo è il mio sangue. Insieme a tutti mescolato. Alleanza benedetta. Come il mio popolo benedetto ogni giorno nel benedire Dio nello Shemà. Mi chiamo anche Benedetta. Lo studio è stato a lungo la mia cura per il mondo. Più stretta a Dio, più stretta al mondo. Che il pensiero degli uomini non sia paura del divino La Croce è arrivata. Non si cerca la Croce. Tutte le tenebre si sono rapprese intor- no a noi, come un inganno di apocalisse tramata dagli inferi. Nella notte voluta da chi aveva in odio l’uomo, tutti gli uomini. Non solo noi ebrei. Il mistero dell’odiare se stessi nell’odio verso l’altro. La seconda guerra ha visto questo mi- stero nelle nostre ceneri grigie. Sono stata invisibile in mezzo a tutti gli invisibili. L’invisibile è attributo dell’eter- no. Non la prima nel comune morire, non l’ultima, ma nel mezzo del nostro popolo. Invisibile come il fumo passato di un cor- po ormai bruciato. Di tutti i corpi che hanno voluto di noi, nessuna anima con- quistata, solo i corpi, che son nostri e con noi in Lui risorgeranno. Questa è la storia del mio nome, sorella Teresa Benedetta della Croce. Mariapia Veladiano (Vicenza, 1960) nel 2011 ha pubblicato il romanzo La vita accanto per Einaudi Stile libero (Premio Calvino, secondo posto al Premio Strega 2011). In ottobre, uscirà il secondo romanzo, Il tempo è un dio breve . Laureata in filosofia e con la licenza in teologia fondamentale, Mariapia Veladiano ha insegnato lettere per più di vent'anni in un istituto professionale. Ora è preside a Rovereto. Collabora con diverse testate italiane. Sono stata invisibile in mezzo a tutti gli invisibili L’invisibile è attributo dell’eterno Invisibile come il fumo passato di un corpo ormai bruciato Tenace, tenacissima Quando lo ideò, il suo progetto era una forma di società religiosa non prevista dal diritto canonico Il che avverrà dopo la sua morte nuovi tempi. Non una clausura (o una sua imitazione), ma piuttosto una strut- tura «mobile e sempre pronta a in- tervenire in ogni bi- sogno emergente», nella convinzione che collaborando «Cella di monaca carmelitana» (Francia, fine XIX secolo)

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