donne chiesa mondo - n. 4 - settembre 2012

women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women L’OSSERVATORE ROMANO agosto-settembre 2012 numero 4 Inserto mensile a cura di R ITANNA A RMENI e L UCETTA S CARAFFIA , in redazione G IULIA G ALEOTTI www.osservatoreromano.va donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo Rossa, fredda e santa Le articolazioni della collera raccontate ai monaci cistercensi da una suora domenicana, docente di teologia spirituale e studiosa della preghiera di C ATHERINE A UBIN A vete già visto o udito un monaco o una monaca andare in collera? No! Mai! Mi direte, è impossibile. Avete mai udito Dio andare in collera? Non mi sapete più rispon- dere, vero? Eppure la Bibbia ci parla della collera di Dio. Allora chiediamoci: ci sono monaci e monache che vanno in collera? Se sì, di che tipo di collera si tratta? Perché alcuni monaci si rivolgono a una religiosa affinché parli loro per quattro giorni della collera? Se l’uomo (o la donna) vuole comprendere la collera di Dio nella Bibbia, deve superare un passaggio per identificare la propria collera rossa o bianca, la propria collera nera o fred- da, prima di raggiungere l’altra sponda, quella della giusta collera. La collera rossa (o nera) è banale, ordinaria e ci riguarda tutti, forse più gli uomini, siano essi monaci, preti, religiosi, celibi o padri di famiglia. Questa collera è ribollimento e sfre- natezza. Ci fa perdere le staffe, ci fa perdere la faccia e ci sfigura: diventiamo rossi o peg- gio ancora fuori di noi dalla rabbia. Che cosa è successo per metterci in questo stato? La maggior parte delle volte nulla di particolare. Dove ricercare allora l’origine di questo com- portamento distruttivo? In noi stessi. Facciamo un esempio: due persone in auto- mobile vedono un altro guidatore occupare un parcheggio che avevano atteso e desiderato; il primo non reagisce e resta calmo, il secondo comincia a insultare l’automobilista e forse ad- dirittura ad aggredirlo. I Padri della Chiesa sono categorici al ri- guardo: la fonte della collera è nell’uomo, mai in una causa esterna. L’origine della collera va ricercata in noi, nel nostro stato interiore di frustrazione, di attesa o di sofferenza. Noi sia- mo responsabili della nostra collera. La collera fredda (o bianca) è quasi invisibi- le, non la si vede, ma la si sente: si rivela at- traverso parole ironiche, beffarde, astiose, mal- dicenti, calunniose, piene d’invidia o di gelo- sia. Prendiamo l’esempio di una riunione fa- miliare dopo la divisione dell’eredità dei geni- tori deceduti da poco, ricordiamoci delle pa- role pronunciate in quell’occasione. L’origine di questa collera non è mai nell’altro ma den- tro di noi, in quel modo contorto che abbia- mo di desiderare ciò che ha e ciò che è l’altro, nel nostro cuore complicato, malato e dolente. Perché dei monaci hanno chiesto a una reli- giosa di parlare loro della collera? Forse per- ché ne vedono di tutti i colori nel loro mona- stero, ma soprattutto perché sono uomini umi- li e veri. Uomini che vivono e subiscono come ognu- no di noi la propria collera e quella dei propri fratelli, uomini che vogliono andare oltre e passare sull’altra sponda della loro collera. Uomini che vogliono entrare nel Regno dei Cieli di cui Gesù dice: «Soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono» ( Matteo , 11, 12). La santa collera o collera dei santi ci è più accessibile di quella di Dio; essa chiarisce ciò che i profeti nella Bibbia hanno cercato di tra- smettere a tale proposito. Ricordiamo come Papa Giovanni Paolo II in Sicilia, ad Agrigen- Dell’uomo per il mondo. / La Collera libera le forze dell’Amore». Una collera d’amore viene al mondo tra i gemiti e le doglie, come quelli di una donna che partorisce. È questa la ragione per cui dei monaci hanno chiesto a una religiosa di parla- re loro di un tema così delicato? Forse. Ma questi monaci che mi hanno chiamata sono particolari: appartengono all’0rdine ci- stercense della stretta osservanza. Ebbene, da alcuni anni, gli abati e le badesse di quest’or- dine provenienti da tutto il mondo si riunisco- no insieme — e non separatamente come per la maggior parte degli altri ordini — durante i loro capitoli generali. Monaci e monache, aba- ti e badesse si conoscono, lavorano insieme ed elaborano le loro costituzioni in comune. Questa complementarità istituzionalizzata è unica nella vita monastica. In modo del tutto naturale, questi monaci cistercensi hanno pre- di A NNA F OA E ntrando in una sinagoga italiana — sia in una delle grandi sinagoghe dell’inizio del Novecento, sia in una di quel- le che risalgono al Cinque-Seicen- to — possiamo notare che vi sono aree separate di preghiera per gli uomini e per le donne. Lo stesso nelle sinagoghe di Amsterdam, di Londra, di Parigi. Nel mondo ebraico, almeno in quello ortodosso, uomini e donne pregano separatamente. General- mente l’area riservata alle donne è collocata in alto, in uno o più ma- tronei, ma in alcune sinagoghe — come nel tempio spagnolo sotto il Tempio Maggiore a Roma — può anche essere soltanto separata da una grata. Per trovare aree comuni di preghiera bisogna andare nelle sinagoghe riformate o conservati- ve, dove la separazione è stata da molto tempo abolita e dove inol- tre, a partire dagli ultimi decenni, le donne possono avere accesso al rabbinato. A quando risale questa separa- zione ( mechitza ), su quali fonda- menti testuali poggia? È un co- mandamento o un’usanza? E a quali motivazioni obbedisce? Le opinioni sono discordanti: in par- ticolare a quanti sostengono la de- rivazione dal testo biblico della separazione e, quindi, la sua anti- chità, si oppongono gli studiosi legati al giudaismo riformato, che sostengono la natura recente di questa norma e il suo essere, fino al XIX secolo, non un obbligo reli- gioso ma un’usanza ( minhag ). Quanti sostengono la derivazio- ne biblica si appoggiano da una parte su un versetto del Deutero- nomio (23, 15 «Perché non veda nulla di indecente in te»), dall’al- tra sull’esistenza nel Secondo Tempio di un cortile delle donne. A queste interpretazioni si oppon- gono quanti sottolineano i riferi- menti al culto comune di uomini e donne nel Secondo Tempio e al- la loro comune partecipazione alla lettura della Torah in questo pe- riodo. Nelle sinagoghe antiche, abbiamo testimonianze della par- tecipazione delle donne al rito pubblico senza nessuna menzione di separazioni. Le testimonianze archeologiche non sono a questo proposito decisive, perché alcune sinagoghe dei tempi talmudici hanno delle balconate, (ma non ne conosciamo la destinazione), altre ne sono prive. La separazione delle donne da- gli uomini nella sinagoga si gene- ralizza però durante il Medioevo. Il Seder Elyahu Rabba , una raccol- ta midrashica babilonese della fine del X secolo, dice che «un uomo non dovrebbe pregare in mezzo alle donne perché potrebbe essere distratto dalla loro presenza». Frammenti della Genizah del Cai- ro, risalenti all’ XI secolo, menzio- nano l’esistenza di una sezione dedicata alle donne nella sinagoga di al-Fustat (Cairo). È la prima volta che si fa esplicita e chiara menzione dell’esistenza di una mechitza . Secondo l’interpretazione di uno studioso israeliano, Zeev Safrai, si tratterebbe di una sugge- stione della cultura islamica circo- stante. Resta tuttavia il fatto che a partire da quel periodo e per tut- to il medioevo, i riferimenti lette- rari alla mechitza e le strutture si- nagogali rimaste dimostrano che la separazione delle donne dagli uomini in sinagoga era divenuta normale. Resta il problema se si tratti di un obbligo o di un’usanza, un problema non indifferente nel contesto del confronto fra ebrai- smo ortodosso ed ebraismo rifor- mato a proposito della possibilità o meno di abolire la barriera tra i due sessi. Un confronto aspro e molto acceso, dove gli ortodossi si pongono come i difensori della tradizione. L’obbligo appare in termini espliciti nell’ halacha (la in- terpretazione giuridica ebraica) solo nel XIX secolo, sostengono al- cuni studiosi. L’uso, in particolare se consolidato, ha un valore pari a quello dell’obbligo e non può es- sere modificato, sostengono altri. Il dibattito resta aperto. Ma quale il senso della mechitza ? Dai riferimenti testuali a cui i suoi sostenitori si appigliano e dal contesto storico in cui appa- re, essa non sembra dipendere da una separazione tra la sfera del sa- cro, maschile, e quella del profa- no, femminile. Il suo scopo sem- bra invece quello di impedire che pensieri impuri si mescolino alla preghiera, salvaguardare la decen- za dei comportamenti. In sostanza, è in gioco la mo- destia, tzniut , un concetto estrema- mente importante nel mondo ebraico ortodosso che tocca non soltanto la preghiera in sinagoga, ma anche il divieto per le donne di restare sole con uomini che non siano loro stretti parenti e il loro modo di vestire e di compor- tarsi in pubblico. Nonostante ri- guardi anch’essa il problema del genere nella ritualità, la separazio- ne sembra così avere ben poco in comune con il rifiuto, nell’ebrai- smo ortodosso, dell’accesso delle donne al rabbinato o della loro partecipazione al minian , il nume- ro di almeno dieci uomini neces- sario alla preghiera pubblica. Quel che è certo è che la sepa- razione ha ormai assunto un valo- re aggiunto, quello della frontiera fra l’ebraismo ortodosso e quello riformato, in tutte le sue forme, quello dello scontro tra i sosteni- tori della tradizione e quelli della modernità. Almeno per il momen- to, non sembra probabile un ri- pensamento da parte degli orto- dossi, anche dei più moderati. Chi non ama la mechitza ha la scelta fra smettere di pregare in si- nagoga, o aderire a una sinagoga riformata. di L UCETTA S CARAFFIA I l 7 ottobre viene dichiarata dottore della Chiesa Ildegarda di Bingen, che si aggiunge a Caterina da Siena, Tere- sa d’Avila e Teresa di Lisieux, già proclamate da Paolo VI e Giovanni Paolo II . Non solo è importante e significati- vo che la pattuglia dei Dottori della Chiesa di genere femminile si arricchisca ancora di una protagonista, ma sono importanti le qua- vita claustrale femminile e proposto un cam- mino mistico nuovo nel momento complesso della ricostruzione della cultura cattolica do- po la Riforma, Teresa di Lisieux quando ha percorso la strada del buio agnostico per comprendere meglio la tragedia della secola- rizzazione e trovare una via nuova per scon- giurarla. Tutte le donne Dottori della Chiesa hanno quindi contribuito a salvarla in momenti dif- ficili, hanno aiutato la sua ricostruzione e hanno inciso profondamente nel rinnovamen- to culturale che questa comportava. Per loro non è stato facile: se per i santi è sempre dif- ficile farsi ascoltare e in un certo senso farsi riconoscere, senza dubbio lo è molto di più per le sante, che devono vincere anche la dif- fidenza e il sospetto con cui vengono guar- date da molti perché donne. Ma è proprio il fatto di partire da una condizione sociale di inferiorità che permette loro di impersonare quel misterioso capovol- gimento di prospettiva che è il cuore profon- do del messaggio cristiano, e di ricordare a tutti — che spesso lo dimenticano — che il cristianesimo non è solamente ascesi o mora- le, o elaborazione intellettuale, ma sempre una relazione con il Dio vivente che viene a svolgere opere incomparabili. Ancora oggi molti ignorano l’apporto fon- damentale che le donne hanno dato alla co- struzione della tradizione cristiana: a comin- ciare da Elena, madre di Costantino, alla quale la tradizione attribuisce l’inizio del pel- legrinaggio ai Luoghi Santi e del culto delle reliquie di Gesù. Tracce di questo contributo femminile, concreto e carico di significati emozionali, percorrono tutta la storia cristiana: basti pen- sare a santa Brigida, che con il realismo delle sue visioni sulla vita di Gesù contribuì alla realizzazione del presepe e alle rappresenta- zioni del Calvario, arricchendo in modo de- terminante l’immaginario cristiano raffigurato dall’arte. Poche cose ci possono dare un’im- magine più realistica dell’Incarnazione della minuziosa descrizione di Maria che fascia il bambino appena nato fatta da santa Brigida: «Ma poi il bambino si mise a piangere e a tremare per il freddo sulla terra dura e tese le manine verso la madre, ed ella Lo prese in braccio (…) e si sedette sulla terra, poggian- doseLo sulle ginocchia e Lo cominciò a fa- sciare — prima con pezze di lino, poi con quelle di lana e infine arrotolò il tutto intor- no al Suo piccolo corpo, le braccia e le gam- be le fasciò con la stessa fascia e Gli fasciò la testa con le due pezze di lana che aveva por- tato con sé». Se l’immagine di Gesù sofferente e ardente d’amore per un’umanità ingrata è presente nella Chiesa fin dall’età apostolica, e il desi- derio di condividere il suo dolore stava all’origine della spinta penitenziale che carat- terizzò tutti i riformatori di ordini religiosi, il vero e proprio culto liturgico del Sacro Cuo- re nasce in Francia, nella seconda metà del XVII secolo, soprattutto per effetto delle vi- sioni di una giovane mistica visitandina, Margherita Maria Alacoque. È stata una donna, quindi, a dare origine alla devozione che ha conosciuto forse il maggiore successo nella storia della Chiesa. Diffusasi per tutto l’Ottocento e i primi de- cenni del Novecento, fu sostenuta anche da iniziative pontificie, quali la proclamazione della festa del Sacro Cuore come universale, nel 1856, a cui seguono, nel 1864, la beatifica- zione della principale promotrice di questo culto, Margherita Maria Alacoque (poi cano- nizzata nel 1920), la consacrazione dell’intero genere umano al Sacro Cuore da parte di Pa- pa Leone XIII nel 1899, e la creazione di nuo- ve istituzioni dedicate a questa devozione, se- condo una tendenza che tocca il suo apice nel settore delle congregazioni religiose. È proprio Margherita Maria a dare alla de- vozione la caratteristica “vittimale” che la contraddistingue in età contemporanea e che, grazie alla sua semplicità — si tratta infatti di un simbolo elementare che tocca i sentimen- ti, facilmente accessibile anche agli umili — era destinata a suscitare il più forte movi- mento spirituale conosciuto dalla Chiesa. Le modalità di riparazione alle ferite del Sacro Cuore, secondo le parole pronunciate da Ge- sù nelle visioni, sono esposte con una termi- nologia che rivela nella mistica francese, fi- glia di un notaio, la cultura di famiglia: ella è infatti nominata da Gesù erede del suo Cuore, e come tale deve impegnarsi a diffon- derne la devozione. Ma è con la secolarizzazione dell’età con- temporanea che la devozione al Sacro Cuore si definisce come sentimento interiore per ec- cellenza. Il culto del sangue, del sacrificio, della riparazione, apre anche altre possibili vie di interpretazione della devozione, vista come riparazione dei dolori che l’umanità ha inflitto e, soprattutto, sta infliggendo al Sa- cro Cuore. Al tempo stesso, quindi, è una devozione per dare battaglia a una società che, specialmente nelle sue componenti più ricche di prestigio — scienza e politica — sembrava sempre più allontanarsi dalla cultu- ra cristiana, e un modo per riparare ai suoi guasti. A questa interpretazione “maschile” della devozione al Sacro Cuore — una inter- pretazione rappresentata in primo luogo dai gesuiti e successivamente da padre Gemelli, accolta dai Pontefici (soprattutto Pio IX e Leone XIII ) — si può contrapporre una diver- sa interpretazione quasi esclusivamente “fem- minile”, non formalizzata in testi o proclama- zioni pubbliche, ma attuata nella vita quoti- diana. Nell’Ottocento assistiamo infatti anche a un’altra interpretazione del culto del Sacro Cuore al femminile, sempre legata al proget- to di riparazione dei dolori sofferti da Gesù, questa volta una riparazione in positivo: le suore di vita attiva delle nascenti congrega- zioni, infatti, intervengono con la loro attivi- tà caritativa per mettere il bene al posto del male. Invece del sacrificio redentore, realizza- to con la ricerca della sofferenza, esse pro- pongono di riscattare con il proprio lavoro il bene dal male, individuando in questo il compito dell’essere umano nella storia, a imi- tazione di Gesù. Vediamo dunque che il ruolo delle sante proclamate Dottori della Chiesa — ma più in generale di quasi tutte le sante, abbiamo fat- to solo alcuni esempi — non è quello di offri- re un modello che sublima le caratteristiche tradizionali di femminilità, ma quello di svol- gere una funzione storica e culturale eminen- te. Anzi, possiamo dire, di dare l’impronta so- stanziale a un’epoca, quella che si legge nella profondità dell’esperienza umana e divina che vi si matura. Il romanzo La sognatrice La vera storia di Ildegarda di Bingen dice il sottotitolo della biografia di Ildegarda scritta da Anne Lise Marstrand-Jørgensen ( La sognatrice , Sonzogno, 2012) e alla fine il lettore del bellissimo romanzo (pluripremiato nei Paesi scandinavi) non può che confermare. Nel romanzo, la scrittrice danese restituisce la complessa e affascinante personalità di Ildegarda con una tale capacità di comprensione da convincerci di avere incontrato questa monaca benedettina piccola e fragile, ma insieme dura e invincibile, questa donna straordinaria. Ildegarda già famosa, già riconosciuta dal Papa e da san Bernardo di Clairvaux come voce di Dio, che ancora vive nel monastero che l’ha accolta quasi bambina, da cui si staccherà per fondare il monastero suo proprio, sulle alture di Bingen. Deve lottare per ottenere la realizzazione dei suoi progetti con l’abate e il priore del monastero, ma soprattutto con se stessa, con la sua debolezza nell’accettare i voleri di Dio. Deve lottare contro la sua solitudine, contro l’impazienza verso quanti la circondano e che le sembrano così tardi a capire. Una donna meravigliosa e insieme dura e insistente, una donna senza pace che non lascia in pace nessuno per realizzare la volontà di Dio. ( lucetta scaraffia ) Il film Vision Con il film Vision (2009), Margarethe von Trotta stupisce, viste le precedenti pellicole con al centro donne protagoniste, per la scelta del soggetto: una monaca benedettina, Ildegarda di Bingen. Nell’atmosfera del XII secolo, con esterni e interni affascinanti, senza temere lunghi dialoghi esplicativi e riprese geniali, la versatile e proteiforme figura della protagonista si staglia nel suo ruolo di monaca, creativa scrittrice, appassionata credente, versata in musica, dotta filosofa, teologa e, soprattutto, grande mistica. Barbara Sukowa la interpreta esprimendone tutta la forza interiore. La vicenda si snoda cronologicamente — senza punti morti o cadute d’interesse — toccando, da un punto di vista femminile, i punti cruciali dei rapporti tra la straordinaria straordinaria monaca visionaria e la Chiesa cattolica, con maestria e competenza. L’interpretazione, però, del rapporto fra l’abbadessa Ildegarda e la discepola prediletta Juliana stona per la sua ambiguità e appare come il lato oscuro della visionaria, anche se non provato storicamente. ( cristiana dobner ) G UERRA ALLE MUJERES Il vescovo ausiliare di Durango, monsignor Enrique Sánchez Martínez, ha denunciato la violenza e la discriminazione contro le donne in Messico: in un comunicato diffuso dalla Conferenza episcopale messicana (e rilanciato dall’Agenzia Fides), il presule dà conto dei molti studi sul tema, anche da parte della Chiesa cattolica. La Commissione economica delle Nazioni Unite per l’America Latina, nel rapporto Del dicho al hecho (“Dalle parole ai fatti”), rileva che in dieci anni sono stati compiuti progressi nel riconoscimento dei diritti delle donne, ma funzionari e autorità (giudici compresi) non applicano le norme, e così maltrattamenti, abusi e discriminazioni continuano. Monsignor Sánchez Martínez ha inoltre ricordato come il continente americano sia ancora la regione più pericolosa per le donne. Tra le cause, la persistenza di pregiudizi trasmessi attraverso la famiglia e la scuola, la mancanza di tutela per la maternità, lo sfruttamento delle lavoratrici e la prostituzione. Simile la situazione nella Repubblica Dominicana: l’arcivescovo di Santo Domingo, il cardinale Nicolás de Jesús López Rodríguez, ha denunciato pubblicamente l’alto numero di casi di violenza contro le donne. «Gli uomini perdono il controllo e agiscono in modo perverso contro le loro compagne. Bisogna fermare tutto questo», ha detto presentando il progetto Alas y Gaviotas (“Ali e gabbiani”) che mira a prevenire la violenza domestica e aiutare le donne vittime di abusi: «Gli uomini non possono uccidere le donne come se niente fosse. Chi lo fa, deve pagare dinanzi alla giustizia». I L TRAFFICO DI OVULI UMANI Jennifer Lahl e Justin Baird sono gli autori di Eggsploitation , documentario sull’inquietante mercato di ovociti umani che negli Stati Uniti muove ogni anno sei miliardi e mezzo di dollari. Il reclutamento avviene prevalentemente via internet: le cosiddette “donatrici” vengono cercate tra le avvenenti studentesse di prestigiose università. Gli ovociti, infatti, valgono molto più se provengono da ragazze di bell’aspetto e con un alto quoziente intellettivo. Se spesso si fa leva sul risvolto umanitario del gesto (permettere a una donna sterile di realizzare il suo sogno), l’incentivo più efficace è però il corrispettivo economico: si va dai 15 ai 50mila dollari. Alle future venditrici non viene data alcuna informazione sui gravi rischi che la pratica comporta. Il documentario presenta quattro ragazze che hanno avuto seri problemi di salute e di fecondità dopo la vendita: se tre hanno potuto comunque raccontare la loro storia alle telecamere di Eggsploitation , la quarta, Jessica, è morta nel 2008 per un cancro al colon dopo tre prelievi. «Non esiste nemmeno una pubblicazione scientifica sulle conseguenze di questi trattamenti»: le ragazze dopo la vendita semplicemente scompaiono. T EOLOGHE IN C ROAZIA Dal 2 al 5 settembre 2012 si è svolta nel monastero francescano di Trstenik, in Croazia, l’ottava conferenza della European Society of Woman in Theological Research (Eswtr) per l’Europa centrale e dell’est, con il titolo Il Signore asciugherà le lacrime da ogni viso (Is 25, 8 e Ap 21, 4). Un approccio teologico alla sofferenza e alle speranze delle donne . Con un’ottica rigorosamente multidisciplinare, la conferenza — che ha visto riunite settanta partecipanti provenienti da undici Paesi — è stata organizzata per la prima volta dalla sezione croata della Eswtr. L E DONNE DI E TTORE M O In agosto, il «Corriere della Sera» ha pubblicato due scioccanti reportage dell’inviato Ettore Mo in Bangladesh. Il primo sulla principale industria di Stato, la prostituzione, racconta di bambine di 11 anni vendute dalle famiglie ai postriboli dove, per attirare i clienti, vengono gonfiate con le pillole per le mucche, steroidi che accentuano le curve ma provocano il diabete. Il secondo su Satkhira, «la città delle donne senza volto», villaggio-ghetto in cui vivono ragazze e donne bruciate con l’acido da mariti gelosi o fidanzati respinti. P IÙ FACILE DIVENTARE AGENTE DELLA C IA Sul sito anunslife.org e sul «National Catholic Reporter», Diane Brown ha raccontato la sua storia: vedova con un figlio adulto, a 49 anni ha sentito la chiamata religiosa. I took a vocations match quiz : con sua sorpresa scopre che, nonostante l’età, ci sono ben 62 istituzioni religiose che rispondono ai suoi interessi. Sceglie le Servants of the Immaculate Hearth of Mary (ordine nato in Michigan nel 1845), iniziando così il suo lento e complesso cammino verso l’abito: «È più facile diventare un agente della Cia che una suora!». Brown ha promesso che continuerà a raccontare il suo viaggio vocazionale. S ENATO SENZA P RESIDENTE Per la prima volta nella storia del Senato della Repubblica italiana, il 20 settembre la seduta della mattina è stata sospesa perché mancava chi doveva presiederla. Erano in discussione le mozioni sulla violenza contro le donne. S CIOCCANTI ESITI DELLE VIOLENZE IN S IRIA Ragazzine anche sotto i 15 anni vendute per poche centinaia di euro da genitori disperati a uomini di diversi Paesi arabi: secondo le denunce di alcuni media, vi sarebbe anche questa tra le terribili conseguenze delle violenze in Siria, che hanno spinto migliaia di persone a cercare scampo nei Paesi vicini, finendo nei campi profughi. È diventato comune, spiega il giornalista Hassan Hassan dalle colonne del quotidiano «The National», vedere su alcuni forum on-line arabi richieste di uomini che «cercano ragazze siriane a scopo di matrimonio», bieco espediente per comprare minorenni a puro fine di godimento sessuale. I prezzi offerti vanno dai 500 ai 1000 riyal sauditi (105-210 euro). Le vittime sarebbero prelevate specie tra i profughi in Giordania, finendo in prevalenza in Arabia Saudita. Casi simili sono stati denunciati in Iraq e in Turchia. I L GIUDICE M IRIAM A 94 anni, il 26 luglio scorso, è morta Miriam Ben Porat, la prima donna a ricoprire la carica di giudice della Corte Suprema israeliana. Nata in Bielorussia nel 1918, Miriam emigrò in Palestina nel 1936 e studiò legge all’Università ebraica di Gerusalemme. Nel 1977 assunse il ruolo di giudice permanente della Corte Suprema. Tra le sue sentenze più celebri, quella che equipara a uno stupratore il marito che obbliga la moglie ad avere rapporti sessuali. Compiuti settant’anni, Miriam Ben Porat divenne supervisore di Stato, organo che sorveglia l’operato del governo nell’interesse esclusivo dei cittadini, denunciando sprechi, corruzione e pratiche discriminatorie adottate verso i cittadini arabi. Durante la sua gestione l’organo ha acquistato un grande peso nella vita israeliana. Nel 1991 ricevette il Pras Israel , premio conferito ai cittadini che contribuiscono al progresso del Paese per meriti scientifici, culturali o politici. A NOVE ANNI VITTIMA DEL MACHETE È una fotografia agghiacciante: il meraviglioso volto di Jamila Yakobo, bambina keniota di nove anni, attraversato in tutta la parte sinistra dalla lunghissima cicatrice causata da un colpo di machete. Jamila — ritratta in ospedale a Malindi — è stata sfigurata mentre, con il padre, cercava di fuggire da un’aggressione di uomini armati nel villaggio di Kilelengwani. Le autorità stanno indagando sugli scontri che nel sud-est del Paese hanno ucciso 110 persone in tre settimane. I L SENSO DI MAMMA - CAPRA PER IL BELATO Un belato di capretto non è mai uguale a un altro e, soprattutto, la mamma capra non è uguale a nessun’altra mamma animale. Una ricerca condotta dalla Queen Mary’s School of Biological and Chemical Sciences dell’università di Londra, pubblicata su «Proceedings of the Royal Society B», ha infatti dimostrato che anche dopo lo svezzamento e a distanza di mesi, la mamma- capra riconosce dal belato i propri figli. Il saggio Maschile e femminile, vita consacrata, francescanesimo L’Istituto Francescano di Spiritualità della Pontificia Università Antonianum ha recentemente pubblicato l’ampia raccolta di saggi Maschile e femminile, vita consacrata, francescanesimo (Edizioni Dehoniane Bologna, 2012), in occasione — come ricorda il sottotitolo — dell’ VIII centenario dell’Ordine di Santa Chiara (1212-2012). Curati da Paolo Martinelli, i contributi dei quasi trenta autori sono molto diversi per tema, taglio, ottica e stile, ma presentano un tratto comune: rimarcano il valore della differenza tra uomo e donna in nome di un’autentica reciprocità, unica via per realizzare la vera uguaglianza. Ponendosi lungo quel filone femminista che travalica i confini cattolici, il valore aggiunto del volume sta nel raccontare la portata preziosa della specificità maschile e femminile anche nella vita consacrata. Un bel modo per ricordare la santa, che — tra l’altro — fu la prima donna a scrivere una regola originale per le donne. Vera madre per le madri. ( giulia galeotti ) La fonte della collera è nell’uomo Mai in una causa esterna La sua origine va ricercata in noi nel nostro stato interiore di frustrazione, attesa o sofferenza John Wilson Carmichael, «Le navi britanniche Erebus e Terror nell’Antartico» (1847) Separati in casa Il dibattito sui matronei nel mondo ebraico A quando risale la «mechitza»? È un comandamento o un’usanza? Su quali fondamenti testuali poggia e a quali motivazioni obbedisce? Le opinioni sono discordanti Le dottoresse di Dio Inchiesta sulle donne intellettuali nella storia della Chiesa Il ruolo delle sante proclamate Dottori della Chiesa non è di offrire un modello che sublima le caratteristiche tradizionali di femminilità Ma di svolgere una funzione storica e culturale eminente Alla conoscenza mistica Ildegarda di Bingen unisce la conoscenza razionale e scientifica La vastità del suo sapere è paragonabile a quella del quasi coevo Avicenna lità e le caratteristiche di questa new entry : se infatti i motivi per cui le tre precedenti sante erano state considerate degne di questo titolo erano di carattere mistico, per Ildegarda è di- verso. Ella unisce alla conoscenza mistica quella razionale e scientifica — la vastità del suo sa- pere è paragonabile a quella del quasi con- temporaneo Avicenna, dal momento che comprende la cosmologia, l’antropologia, l’etica, la medicina, a cui si aggiunge il dono della musica e della poesia — come avviene per quasi tutti i Dottori della Chiesa di gene- re maschile. Inoltre, e questo resta eccezionale per una donna, come aveva già fatto Caterina, Ilde- garda aveva svolto cicli di predicazione nelle chiese della valle del Reno, sia in latino per il clero che in volgare per il popolo, per scongiurare il dilagare dell’eresia catara. Anche Ildegarda, quindi, era stata spinta ad attraversare i confini che la società del tempo imponeva alla presenza femminile dall’urgenza di aiutare la Chiesa in un mo- mento difficile: lo avevano fatto ugualmente Caterina, intervenendo e scrivendo lettere di fuoco per favorire il rientro del Papa da Avi- gnone, Teresa d’Avila che aveva riformato la Francobolli di Saint Vincent and the Grenadines, Stato insulare delle Piccole Antille, raffiguranti le tappe principali della storia di Ildegarda di Bingen so l’abitudine di confrontarsi e di dialogare con il ramo femminile dell’ordine. In modo altrettanto naturale si rivolgono a una religio- sa affinché parli loro di un tema così delicato come quello della collera. E in modo ancora del tutto naturale, il padre abate di questo monastero mi ha confidato alla fine di una conversazione: «Spero che il prossimo abate generale sia una madre badessa». to, lascia esplodere la sua collera dinanzi a migliaia di fedeli e davanti agli schermi della televisione: punta il dito, denuncia, ac- cusa, attacca con forza quanti uccidono per dena- ro, quanti organizzano il crimine: «Questo popolo siciliano è un popolo tal- mente attaccato alla vita, che dà la vita. Non può sempre vivere sotto la pres- sione di una civiltà contra- ria, di una civiltà della morte. (…) mi rivolgo ai responsabili: convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio» (9 maggio 1993). Collera veemente, forte, vi- va, collera d’amore dinanzi all’ingiustizia, di fronte al crimine e al male. Giusta collera di un uomo giusto dinanzi all’ingiustizia. Ec- co cosa Karol Wojtyła scri- ve in una sua poesia: «Più la Collera è grande / Più alta è l’esplosione del- l’Amore. / Collera dell’uo- mo per se stesso / Dell’uo- mo per l’altro uomo / Signora in metropolitana a Roma (foto Cinzia Leone)

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