donne chiesa mondo - n. 4 - settembre 2012

L’OSSERVATORE ROMANO agosto-settembre 2012 numero 4 Sua madre confrontava tutte queste cose nel suo cuore donne chiesa mondo La sapienza infusa Fino al 1970 i dottori della Chiesa erano uomini. Erano tutti uomini coloro a cui veniva attribuito questo titolo eccezionale e solenne per aver dato un contributo fondamentale alla cultura e alla dottrina cattolica. Fu Paolo VI il primo Pontefice a dare questo titolo a una donna attribuendo a Caterina da Siena un ruolo di primo piano nella tradizione, nella cultura e nella storia della Chiesa, riconoscendo nella santa «la sapienza infusa, cioè la lucida, profonda ed inebriante assimilazione delle verità divine e dei misteri della fede, contenuti nei Libri Sacri dell’Antico e del Nuovo Testamento». A Caterina seguirono Teresa d’Avila e Teresa di Lisieux. Il 7 ottobre Benedetto XVI insignirà dello stesso titolo Ildegarda di Bingen. Abbiamo scelto di dedicare a loro, a queste sapienti, l’inserto di settembre per sottolineare quanto sia stato importante l’apporto culturale e intellettuale delle donne nella storia della tradizione cristiana. E per tentare di rompere un altro dei tanti luoghi comuni sul rapporto donne-Chiesa. Quello secondo cui le religiose hanno esclusivamente un ruolo di servizio, di abnegazione, sono legate alla concretezza della cura del corpo, dell’organizzazione della vita quotidiana, al lavoro manuale e umile ma per il resto, sul piano culturale e dottrinale, danno o hanno dato molto poco. Naturalmente non è vero. La storia di molte donne, di molte sante e di molte religiose lo dimostra. Hanno saputo donare amore e intelletto, dare stimoli al rinnovamento e alla dottrina, inventare modalità ed espressioni della fede, costruire, non solo custodire, la tradizione. Nell’inchiesta di questo numero Lucetta Scaraffia spiega come la Chiesa sia stata salvata nei momenti difficili, aiutata nella ricostruzione e nel rinnovamento culturale, proprio da donne sapienti e ascoltate. Donne che anche oggi, in tempi e modi diversi continuano nel loro paziente lavoro intellettuale e di ricerca come Hanna-Barbara Gerl- Falkovitz, filosofa e teologa intervistata da Cristiana Dobner. La santa del mese è Edith Stein, filosofa di origini ebraiche morta ad Auschwitz, raccontata da Mariapia Veladiano. ( r.a. ) Sono diventata credente studiando filosofia Intervista a Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz, presidente dell’Istituto europeo di filosofia e religione a Heiligenkreuz di C RISTIANA D OBNER Per meglio comprendere il tracciato delle sue risposte in questa conversazione culturale e teologica, bisognerà conoscere il suo volto di studiosa. In apertura una domanda diretta: gli interessi della sua vita professionale hanno conosciuto alcuni nuclei precisi, vuole deli- nearli? Quando avevo dieci anni una lettura mi colpì per la sua bellezza linguistica e l’in- solita religiosità; l’autore sconosciuto si chiamava Agostino. Poi venne Aristotele (attraverso Josef Pieper e trasmesso da Tommaso d’Aquino); nell’idealismo tede- sco Hegel, infine Kierkegaard ( Timore e tremore ); nel XX secolo Romano Guardini, Edith Stein, Simone Weil, Michel Henry e anche Emmanuel Lévinas. Nella filosofia rinascimentale con Cusano mi fu chiaro che la grande filosofia si nutriva normalmente di un potenziale religioso. La stessa critica della religione di Niet- zsche si lasciava leggere come «mistica ne- gativa» (Henri de Lubac). Da un punto di vista fenomenologico Dio era da trovar- si indirettamente nel «mondo del fenome- no»; qui incontrai Romano Guardini ed Edith Stein. Entrambi furono miei maestri postumi. Il cuore del mio lavoro è il XIX e il XX secolo perché vi si concentra un grande lascito: la filosofia della religione. All’interno del grande movimento culturale mondiale del secolo passato e di questo odier- no, che ha dato e non ha dato spazio e liber- tà di pensiero alle donne, come considera lo studio della teologia? Perché approfondire un simile campo di pensiero e di fede riflessa? All’inizio del Novecento in Germania le università si aprirono alle donne che inco- minciarono a studiare intensivamente, so- prattutto fenomenologia. Husserl quasi non parlò di Dio, ma molti dei suoi allievi si convertirono al cristianesimo. Egli aveva molte donne nel seminario, fra cui Edith Stein e Hedwig Conrad-Martius. Anche l’esistenzialismo francese arruolò molte donne, quali le opposte “Simone”: Weil e de Beauvoir. Per la teologia l’apertura uni- versitaria femminile iniziò più tardi, in Germania verso il 1950. Non bisogna però scordare una teologa laica, Ida Friederike Görres, la significativa rinnovatrice dell’agiografia (con un libro straordinario sulla piccola Teresa nel 1943). Lo studio della teologia per le donne però era diffi- cile — come avveniva in filosofia — perché non esisteva nessuna professione aperta al- le donne in questo ambito. Oggi esiste la possibilità di fare le assistenti pastorali, le manager di direzione nell’arcivescovado, le docenti universitarie. Una donna, per di più monaca, verrà da Papa Benedetto XVI dichiarata Dottore della Chiesa. Ci troviamo dinanzi a un “pescaggio” in tempi remoti oppure all’acquisizione di una nuova consapevolezza da parte della Chiesa del genio femminile della monaca Ildegarda di Bingen? La grande benedettina del XII secolo ha trovato sorprendentemente fra di noi am- pia eco, grazie alla «medicina verde alter- nativa di Ildegarda». Molti si stupiscono per l’amica della natura, la poetessa, la musicista. Il nocciolo centrale di Ildegar- da è altro: «la lieta scienza» ( laeta scientia ) di una teologia della creazione fondata bi- blicamente e monasticamente. Dio ha im- messo tutte le creature nella rete dell’ami- cizia, soprattutto nell’amicizia con l’uomo (il melo in primavera inclina i rami, affin- ché le sue mele possano essere colte più facilmente). Il significato biblico-antropo- centrico della creazione risiede nella per- sona creata per sanare la caduta dell’«an- gelo nero», ma che sente se stessa e tutto il mondo trascinata nella caduta. Quindi la creazione caduta attende anche il ritor- no, la conversione che viene con il Figlio dell’Uomo. Ildegarda mette sulla bocca di Cristo, il Medico, queste parole: «Mostra- mi le ferite del tuo cuore. Io soffrirò nelle tue ferite con te, e così sarai in comunione con il Padre». In questa lingua forte il Vangelo acquista nuova risonanza, nuova forza di salvezza. Perciò Ildegarda rappre- senta una teologia del corpo senza duali- smo manicheo: quanto guarisce all’inter- no, si mostra anche all’esterno con salute, forza, bellezza. Da abbadessa dava grande importanza a una postura eretta, a vesti li- turgiche belle, alla lieta irradiazione delle sue sorelle. Come molte mistiche conobbe un linguaggio erotico: «Così Lo conosce la persona (…) con l’occhio della fede e Lo bacia con il bacio della scienza». Ilde- garda è una grande visionaria della crea- zione, nella sua forza originaria, prima spezzata, poi liberata. Perciò è legata pro- fondamente a Francesco d’Assisi come una “sorella maggiore”. Capace di cantare lo Spirito Santo, che penetra tutta la crea- zione fino all’ultima fibra: «O Spirito di fuoco, lode a te! Il cuore dell’uomo si in- fiamma di te». Quando ha fatto capolino in lei la coscienza di essere una donna ricercatrice? Si è trovata dinnanzi a un muro di personaggi colti ma pur sempre (o quasi sempre) solo uomini op- pure ha incontrato donne mosse dal suo stes- so intento? Fin dall’inizio lo studio della filosofia a Monaco mi ha entusiasmato. Naturalmen- te nei seminari gli studenti erano in mag- gioranza, ma noi donne non eravamo pe- nalizzate. Non c’era nessuna docente, tranne una filosofa russa emigrata, che si oppose, criticamente e coraggiosamente, alla rivoluzione del Sessantotto. Conobbi attraverso le letture molte donne significa- tive, dalla cristianità antica al rinascimento italiano e tedesco, poi nel romanticismo (anche nella letteratura) e ne fui plasmata. Nel XX se- colo furono soprattutto Edith Stein, Ida Friederike Görres e Simone Weil. Mi sono occupata obiettiva- mente di teologia femmini- sta fin dagli anni Settanta, soprattutto di storia delle donne e dell’«immagine» maschile di Dio. Quando l’ideologia si in- dirizzò verso la «liturgia delle donne» e la costruzione arbitraria di un preteso «ma- triarcato», divenni critica: una serie di ideali suonavano irreali e piuttosto zoppi. Considerai criticamente anche Simone de Beauvoir con la sua proposta di mascoli- nizzazione della donna e, soprattutto, l’ideologia del gender, che ha degradato il corpo alla corporeità neutrale. Ildegarda di Bingen già aveva considerato il corpo con molta serietà. Si può apprendere dalla storia delle donne cristiane molto di buo- no su questo argomento, ora dimenticato. La cultura comporta conoscenze, riflessioni. Il rapporto fede e ragione come è stato da lei vissuto e sviluppato? Adolescente ho fatto parte di un grup- po giovanile cristiano (oggi purtroppo questo quasi non avviene più). Lì abbia- mo potuto esprimere la nostra critica alla Chiesa, manifestare la nostra saccenteria ed essere guidati intelligentemente da una giovane teologa a una riflessione più profonda. Queste discussioni aperte, ma anche le sante messe, sono state importan- ti per il mio ancoraggio nella fede. La ri- flessione filosofica mi ha illuminata e ha rafforzato molte proposizioni della fede non chiare: sono diventata veramente credente studiando filosofia. Perciò oggi insegno anche fenomenologia, perché so che conduce a verità profonde con l’«apprendere a guardare». Si deve cam- biare solo lo sguardo, allora si vedono le Verità di Cristo. Già nella patristica è sta- to detto: «Tutte le luci della terra di Grecia brillano per il sole che si chiama Cristo». Fra i suoi maestri e amici, Joseph Ratzinger quale ruolo ha giocato? Purtroppo non ho conosciuto Joseph Ratzinger durante i miei studi, ma solo nel 1976. Il suo pensiero però mi ha sem- pre toccato, oggi più fortemente di prima. Perché suona così propagandistico difendere l’“ecumenismo della ragione” di un Papa? Il suo cantico dei cantici del Lo- gos penetra nel Cortile dei gentili e solle- cita un dialogo che conduce fuori dalla vacuità di senso postmoderna. Con Jose- ph Ratzinger il Logos cristiano si desta a una vita inattesa. Questo “salva” non solo l’antica e primitiva Chiesa nel presente, ma la salva anche dallo scrollarsi dalle spalle la verità. Il Papa parla da una reli- giosità del pensiero: la conversione alla realtà. Lo studio della teologia per le donne era difficile perché non esisteva per loro nessuna professione in questo ambito D I MADRE IN FIGLIA L’immagine di sant’Anna che insegna a leggere a Maria fa parte dei soggetti ricorrenti dell’iconografia cristiana. Il significato, naturalmente, è teologico: così si vuole dimostrare che Maria era al corrente della profezia biblica sul suo parto verginale e che quindi la sua accettazione dell’annuncio dell’angelo era stata pienamente responsabile. Ma a noi piace pensare che questa icona rappresenti anche l’accesso delle donne alla cultura, e la trasmissione del sapere da donna a donna, attraverso le generazioni. Mi sono occupata di teologia femminista fin dagli anni Settanta Ma divenni critica quando ci si avviò alla costruzione arbitraria di un preteso «matriarcato» Professoressa di filosofia presso l’Istituto Superiore pedagogico di Weingarten dal 1989 al 1992, Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz ha ricevuto la laurea honoris causa dall’Istituto Superiore teologico-filosofico di Vallendar (1996). Dal 1993 al 2011 ha retto la cattedra, appena istituita, di filosofia della religione e scienza religiosa comparata all’Università tecnica di Dresda. Dal 2011 presiede l’Istituto Europeo di filosofia e di religione (anch’esso neo-istituito), presso l’Istituto Superiore filosofico-teologico Benedetto XVI , a Heiligenkreuz (Vienna). SUOR ULTIMA DI LAVORIAMO SEMPRE MA NON SIAMO OPERAIE, METTIAMO I SOLDI IN COMUNE MA NON SIAMO COMUNISTE, CI CHIAMIAMO SORELLE MA NON SIAMO PARENTI ... E POI CI PREOCCUPIAMO SE ABBIAMO CRISI D’IDENTITÀ ...

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