Critica Sociale - anno XLII - n. 18 - 16 settembre 1950

246 CRITICA SOCIALE -----------,-----------~-- alla rete pochi pesciolini, sprovvisti di influenza politica; e il gran la– voro di porre le reti non era certo ripagato -dai proventi di quèsta pesca ... Forse l'unico risuiJ.tato .era rappresentato dal1a possibilità di una rilevazione dei nuovi impianti, ai fini statistici, se:t>bene i cosiddetti impianti « clandestini » ·fossero numerosi sempre. Optammo, dunque, allora, per la negativa, per quanto ci avvedessimo della utilità di un serio controllo delle priorità negli investimenti. Si" tratta 'ora, secondo la proposta, di ripristinare, e annacquato, il disegno di legge del 1934. In verità, il periodo che· si presenta davanti ·a noi ci. pone il problema con esasperata urgenza. Ma, direbbe il mar– chese Colombi, i controlli si fanno o non si fanno. I « mezzi controlli» rappresentano un impaccio per tutti, salvo che. pe,r i .controllati furbi. Senza dubbio apportano più danno che vantaggio alla collettività. E finiscono per giungere graditissimi a coloro che possono tirar la pietra addosso, con critiche giustificate, all'intervento statale,. D'altra parte; se controllo vi deve essere, è bene sia severo; e se la direzione delle scelte passa allo Stato, lo Stato sia c~pace di dare un giudizio sull~ condotta economica degli individui. Ora, per compiere seriamente dei controlli, occorrono apparati amministrativi seriamente attrezzati; 'occorre che il e0ngegno statale funzioni; occorre che ,vi sia la volontà precisa di farlo funzionare. Il problema torna, ancora una volta, ad essere quello - sul quale più volte abbiamo insistito - dell'efficienza dell'ammini– strazione pubblica, in particolare dei ministerf economici. Oggi, in Italia, lo Stato s 1 pochissimo, nè si preoccupa di sapere; e giustamente dicono i nostri liberisti, intr;msigenti che non è in grado nè di orientare nè dL contrnllare, in materia economica. Lo Stato, oggi, lascia passare decenni senza censimenti, interroga le organizzazioni professionali, cioè gli inte– ressati diretti, quando ha bisogno di conoscere qualche dato essenziale; si spaventa quando qualcuno chiede che l'ente pubblico studi, ad esem– pio, i costi di produzione ·0 approfondisca le rice!'che prima di largire tariffe doganali. Lo Stato, oggi, non sa e non vuol sapere, perchè non intende dì intervenire. Ecco perchè, accanto ad 'un liberismo intransigentemente fermo al 1850, abbondiamo in Italia di « liberisti per disperazione», che riten– gono - in tali condizioni - esser meno peggio attendersi quel che capiterà fidando nella Provvidenza, che non tentare regolazioni e inter– venti. E, francamente, piuttosto che esser largamente dotati di _leggi generiche, che si sa a priori saranno poco e male applicate, oppll,re in concreto non lo saranno affatto., mette conto di schierarsi con questi liberisti per disperazione. Ma mette conto· altresì di puntare il dito sul problema cèntral~, che è quello di un'amministrazione pubblica I capace, occorrendo, dei nec,essari controlli e della necessaria azione di orientamento. Pensare che, lÒ Stato moderno possa "tornal'.e indietro di un secolo, e che quindi è fatica inùtile attrezzarlo per i rìuovi compiti che ess0, volente o nolente, deve assumere riel 1950, può veramente re– putarsi una singolare manifestazione di nichilismo. Ma affidare a questo Stato interventi che è incapace di compiere con completezza ed equità, diventa una manifestazione di pericoloso semplicismo; e origina una inutile complicazione d'una vita già coniplicata, e giustifica gli infiniti ' sotterfugi per sottrarsi _ alla normazione. E' vero, non abbiamo molto tempo davanti a noi. ;La necessità in c_ui ci mette la concorrenza monopolistica tra Stati ormai direttori, e · non più comparse, nel teatro economico, rnon·ammette che si pretenda di traversare l'oceano su una zattera affidandoci ai venti quando gli altri dispongono di Constellations. L'.immane sforzo di rafforzamento militare · dell'Europa .non GOnsentirà che ci disinteressiamo ulteriormente dei -modi di utilizzazione delle nostre scarse risorse, della direzione che prep.dono, dei perfooli che può presentare lo sperpero delle scelte errate. Ma non c'è che unà strada. Migliorare il congegno statale, p(l)rta:re·la nostra amministrazione a un .grado di efficienza quale è quellò richie– sto da uno Stato moderno, migliorare .le capac_ità di « indicazione» dello Stato, diffondere in tutto il paese (senza indulgere, ·come oggi, nel « se– greto di fabbrica») .i dati eh.e servono 'a orientare meglio le decisioni, minimizzare gli errori.per ignoranza nella scelta. Tutto ciò è preminente, prima ancora di discutere se occorre u,na dose uno o una dose di~ci ,di intervento. ROBERTO TREMELLONI BibliotecaGino Bianco Politica estera Finora il par_tito socialista non ebbe in Italia una sua politica estera; diremmo qua– si - e qui sta il suo torto - che non avvertì il bisogno di averla. Esso visse, per questo riguardo, sui detriti sentimentali e contradittori della vecchia democrazia, ai quali è venuto meno col tem– po, coi nuovi 'intrecci inter– nazionali, anche la vecchia base tràdizionale. Se, fondata su queste va– cuità, lr, nostra propaganda antimilitare fu un seguito di fuochi •di paglia sempre in– vano riaccesi, la cosa non dovrebbe sorpreni:lere le per– sone sensate. Su questa lacuna essenzia– le della nostra piattaforma _ d'azione non è da oggi che noi richiamiamo - con scar– so successo, a dir vero - la attenzione del partito socia– lista e della sua più eminen– te rappresentanza, il gruppo parlamentare. Perchè il di– fetto di una politica estera; almeno nelle linee generali, chiara e precisa - o, peggio ancora, l'illusione di posse– derne una, fatta di frasi vuo– te e di sentimentalismi stan– tii -·rimbalza su tutta l'azio– ne di un partito e gli impe– disce anche di àvere - tutte queste cose si connettono in– scindibilmente - una politi– ca coloniale, una politica fi– nanziaria, una politica so– ciale, una politica interna insomma, nel più largo sen– so, solida, coerente, sicura. Nè la politica este-ra oggi può farsi prescindendo -da– gli interessi reali - politi– ci, commerciali, economici - delle nazioni, dalle disposi– zioni dei governi, dall'azione e dalle tendenze della diplo– mazia. Per insipiente o per perfida che questa soglia chidmarsi, non pare sinora concepibile di metterla da parte, nè, quando lo fosse, i Circoli socialisti e le Camere di lavoro avrebbe?'o titoli e– videnti a prenderne il posto. Ed è puerile lamentare che la politica internazionale sia sottratta alle forze popolari, e af]idata magari (il che può essere vero qualche volta) a poteri occulti ed irresponsa– bili, finchè le sullodate forze popolari non si incarica-no di esercitarv'i la menoma in– ff,uenza, anzi non sa,prebbero · in qual direzione esercitarla. Perchè gli appelli alla pace universale e alla frateUanza dei popoli hanno evidente~ · mente tanta influenza sugli eventi internazional_i, quanta ne hanno le preci ad peten– dam pluviam sulla testarda meteora del cielo ricrso. NOI (Turati-Kuliscioff)

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