Critica Sociale - anno XLII - n. 5 - 1-15 marzo 1950

CRITICA SOCIALE ~argamento del mercato e il governo, non avendo il mezzo di accrescere gli stipendi degli impiegati .dello Stato, potrebbe essere indotto a chiudere al– ctmi• ministeri resisi inutili. LI dilemma è invero questo. O il governo e l'or– ganizzazione operaia sindacale collaborano alla fat– tura di una politica economica produttivistica, che è in funzione del credito dello Stato, in senso lato come in senso letterale, oppure conviene che il sin– dacalismo faccia ritorno alle sue tradizioni pura– mente rivendicative. E' già salutare che, a differenza di tre o quattro anni fa, la C.G.I.L. si preoccupi del rafforzamento della fiscalità. Ma, invece di li1rtitarsi a concepire la fiscalità come mezzo di giustizia sociale nella ri– partizione dei · sacrifici transitori, che gli investi– menti richiedono, la C.G.I.L. scopre nelle imposte sui profitti la fonte che garantisca la continuità degli investimenti stessi, cosa che può esser vera solo entro limiti ristretti: In un'economia espan– siva, le imposte sui profitti possono eventualmente sald'are il servizio interessi del debito pubblico, che deve essere incrementato - esso sì - per finan– ziare gli investimenti purchè il credito dello Stato sia abbastanza alto da poter trasformare l'iniziale indebitamento a breve in altro a media e lunga sca– denza. Ma il vero compitò economico della fisca– lità è di comprimere la spinta all'euforia, implicita nell'accrescimento dei redditi. Chiederle molto di più è farsi delle illusioni, chiederle molto di meno è rassegnarsi alla deflazione, implicita nelle misure governative contro il rialzo dei prezzi, che operano oggi in un regime dj_ mercato statico e di rigi.dttà dei costi. In quanto alla proposta di utilizzare per il finanziamento iniziale le valute preg-iate Oc altre sono congela-te re difficilmente sipendibili), è vera– mente intempestiva, quando, per ottenere il risul– tato cui si mira, basterebbe util-izzare secondo un piano produttivistico le risorse che l'E.R~P. offe.e. Quasi venti anni fa, nel 1930-31, si discusse am– piamente, sui giornali e sulle riviste della Confe– derazione generale dei lavoratori tedeschi - la quale aveva ancora in quel momento, per l'ultima volta, la possibilità di influire ·sugli avvenimenti - del m_odo di combattere la disoccupazione dilagante. Due economisti eterodossi, Wladimir Woytins,ki e Gerhard Colm (che ricoprono oggi posizioni di pri– mo piano nella consulenz_a dei sindacati operai ame– ricani e dell'Amministrazione), propugnavano, con argomenti che oggi diremmo keynesiani, ·una po- _ litica governativa di espansione della produzione, a mezzo dell'allargamento del credito e del rialzo. graduale ma generale dei prezzi, garantito contro l'inflazione dall'impegno dei sindacati operai alla auto-limitazione della spinta salariale, fino al rag– giungimento del pieno impiego. Contro tale indi– rizzo si pronunciarono i maggiori economisti uf– ficiali della socialdemocrazia germanica, qua1i Hil– ferding e Naphtali, che contrapponevano all'etero– dossia degli espansionisti_ la saggia soluz.ione dei la– vori pubblici eseguiti nei limiti della stabilità del livello generale dei prezzi, e dunque della capacità d'acquisto immediata dei salari e · degli stipendi, , senza troppo curarsi della evoluzione della massa global~ dei redditi di lavoro, depressa dalla disoé– cupaz1one. Con la difesa del sussidio di disoccu– pazione, ritenevano di aver fatto il loro dovere. La C~nflavoro te~es~a non seppe decidersi in tempo utile. I comumsti reclamavano bensì lavoro imme– diato per i disoccupati, ma non accettavano di di- , scutere a!c~n piano che non fosse quello quinquen– nale sovietico. Il governo a direzione cristiano– sociale pencolava, come De Gasperi verso la sta– bilizzazione della deflazione, nella speranza di una riP'resa dei prestiti esteri. La politica dell'espan- BibliotecaGino Bianco sione economica fu attuata, due anni dopo, dal go– verno di Hit1er, che non concesse l'aumento dei· sa– lari, neppure quando l'incremento della produtti– vità l'avrebbe largamente consentito. I sindacati Qperai non esistevano più. In una situazione per nostra fortuna molto meno drammatica, il governo e la C.(i.I.L. hanno ancora qualche margine di tempo per sanare le insuffi– cienze e le incoerenze dei loro piani economici. Ma non è che abbiano un margine di tempo indefinito. Se fu grave errore, da parte della C.G.I.L., a;•er respinto l'ERP nel 194 7, sarebbe errore ancora più grave da parte di tutti - governo, partiti, C.G.I.L. - non prepararsi alla fine dell'ERP nel 1952. LEO VALIANI La casa agli Italiani Panorama della situazione alla fine _del 1949 In Italia, nel 1949, invece di costruire case per il popolo, si è abbondantemente discusso il « pro– blema della casa» (1). Leggendo ed esaminando con attenzione l'ingente materiale di studio offerto, tra il 1948 e il '49, da molte Riviste tecniche accreditate, sulle quali noti e competenti Autori hanno esposto piani studi do– cumentazioni, talune veramente pregevoli, si deve constatare che, salvo poche eccezioni, coloro che si SOJiJ.O occupati del « problema della casa » hanno posto a fondamento della discussione il diritto in– tangibile della proprietà e dei suoi attributi restrin– gendo la disamina alla semplice difesa dei padroni di casa, usando deduzioni del tutto arbitrarie; e non stupisce, anche se è doloroso, dover ricono– scere che tutti costoro non riser.bano un pensiero nè una cura alle tragiche condizioni in cui versano milioni di italiani, costretti a vivere nei tuguri o nella tragica promiscuità della coabitazione, nè al progresso morale e civile del nostro popolo - che si ottiene, sempre, elevando le condizioni dei poveri, mai difendendo i privilegi dei ricchi. Ed ecco la tesi dominante sulla responsabilità della situazione: il regime vincolistico: proroga dei contratti e blocco dei canoni. Ed ecco le motivazioni: Il regime vincolistico: 1) ha praticamente inaridito quel cospicuo flusso del risparmio costituito dagli affitti, che dava incremento a n_uove costruzioni; (L. Lenti) 2) ha costretto Pedilizia privata a fabbricare soltanto case per i ricchi; (A. Molinari) 3) ha creato una dannosa sperequazione nell'af– follamento medio delle abitazioni; (G. Colonnetti) 4) ha impedìto la ma,nu.tenzion.e dei fabbricati vecchi; (E. Tedeschi) 5) ha determinata la disoccupazione di gran parte degli operai delle industrie edili e collaterali, con conseguente gravissimo onere dei sussidi di di– soccupazione; (L•. Con tu) 6) ha prodotto una pericolosa deformazione pa– tologica delle coscienze per cui la casa vale meno del cinema, della sigaretta e del vino e in genere di ogni altra capricciosa soddisfazione; (P. Montesi) 7) ha consentito redditi di congiuntura da parte di tutte le az-i-ende ad a.f.fitto bloccato che vendono (1~ A dire il vero qualche cosa si è costruito: a Milano l'ultimo cinematografo pare sia costato un miliardo e mP.zzl>, bastante a fabbricare quattromila locali.

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