Critica Sociale - anno XLII - n. 1-2 - 1-16 gennaio 1950

CRITICA SOCIALE 13 tadirno in età di lavorare. Se queste esigenze sono ancora attuali, se sono ritenute giustificate, sarebbe per lo meno mancare di senso della realtà voler dist•ruggere provvedimenti che servono a soddisfar– le. In particolare, dovrebbe poi evitarsi che l'ini– ziativa, amerkana per la liberaltizz-azion,e ve,nga fal- · samente interpretata com-e un mezzo di conquista di mercati; che la chiusura di stabilimenti, le ine– vitabili disoccupazioni friziornali,i,I costo del rias– sestamento vengono addebitati ad un supposto im– perialismo americano, ed il tutto serva a risvegliare un appena assopito nazionalismo. Se una cosiddetta autar.chia, come mezzo necessario ad assicurare il pieno impiego nell'ambito nazionale, può essere giustificata (dato un determinato as-setto intern~– zionale), la stessa autarchi 1 a bas•ata su presupposti nazionalistid .e diventata per questo fatto mezzo anzichè scopo, è il più grave pericolo per la cònvi-. wnza fra i popoli. Altre vie per raggiungere lo scopo Sorge adesso legittima la curiosità. di sapere se esistano altre vie, magari più difficili da 'praticare, più irte di ostacoli, ma prive di miraggio e sulle quali ogni ostacolo vinto rappresenti una conqui– sta inalienrabile. Altre vie esistono. Esamtniamone rapidamente due che ci sembrarno fra le più generali. La prima po– trebbe essere quella che, - riconosciuta l'importanza della stabilità sociale, pretendesse come condizione della libertà degli scambi !'·assunzione, da parte deUa collettività degli Stati, e per essa da un orga– no coUegi-ale, della respo1n1sabi.Iiitàpe,r iJ manteni– mento (o per la realizzazione dove non esista) dell!! piena occupazione della mano d'opera. L'ostacolo rappresentato dalila difficoltà di abbassare i liv:em di vita dei paesi attualmente più benestanti per elev,are quelli dove il pieno impiego non è rea– lizzato (perchè questa in definitiv,a sarebbe la con– seguenza di maggior momento della assunta respon– sabilità collettiva) potrebbe essere superato, g_ra– duando nel tempo il processo per rendere uguali i livelli di vita, in 1rnrhcolare consentendo che il mi– gliorato reddito europeo, conseguen~~ dell'aumen– tata efficienza produttìva, vada ad esclusivo van– taggio delle popolazioni più diseredate, sino a quan– do queste abbiano raggiunto il livello generaile, dopo di che la ripartizione del reddito avverrebbe· con regol,e comuni. Ciò non è molto diverso dai princiipii di politi-ca sociale che vengono applicati all'~nterno di ogni Stato. Evidentemente questa via presuppone l'esistenza di una volontà federativa di carattere non solo eco– nomico, ma anche politico, che per il momento non appare nè ne1le premesse, nè, tanto meno, nell'a– zione pr•attca dei diversi Stati. Il Consiglio Europeo di Strasburgo non è certo una esperienza che possa consentire speranze al riguardo. La seconda via dovrebbe essere quella di una pia– nificazione internazionale. Ora, l'offensiva che da due anni a questa parte le forze del capitale privato :ì,nternazionale stanno sforrando contro H socialismo democratico_ e la pianificazione economica ha fatto passare l'azione dell'O.E.C.E., dalfa sua nascita ad oggi, come un esperimento di pianificazione inter- .nazionale di ispirazione socialista, per cui ·il falli– mento di questa azione viene recato a debito della pianificazione. Abbiamo altre volte dimostrato su queste stesse cofonne, e l'abbiamo ricordato più so– pra, che l'attività dell'O.E.C.E. non può in nessun modo_ interpretarsi come tendente aM'esecuzione di un piano, chè anzi, nella pratica, essa si è appli– cata ad escogitare formule tattiche per evadere dalla applicazione di un qualunque piano. A~biamo visto che lé diiffitoltà dell;unione eco– nom1'?a eur~pea, le difficoltà che si oppongono alla creaz10ne d'l un mercato europeo unico, derivano s<?pratt~tto_ dal timore dei « salti nel buio ». Queste d1ffic_oltas1 potranno superare quando ogni governo sappia e~attamente quello che vuole e sia disposto, e. ne abbia dai propri cittadini i,l man.dato a scam– bia~e « sa~rifici. .» contro « benefi,ei », oppu{·e contro eqmva!ent_1 sacrifici cH tutti gli altri paesi. Non di– venta md1 1 spernsahile rkorre-re alla libertà di scam– b~o pe_r-realizzare una maggio:re divi,sione del lavoro. S1 puo sapere a priori dove è più economico che BibliotecaGino Bianco determinate i,ndustrie si svi,lu.ppino; non dovrebbe essere impossibile predisporre accordi peir cui alla chiusura di determinate fabbriche in un paese ·cor– rispon.da , in quello stesso pa,ese, l'apertura di altre fabb'r<1c he di un'attiovi,tà riconosduta più con-sona a,I– le sue caratteristiche natural-i e sociali, e noITT,dovr,eh– be poi essere difficile trovare un sistema per com– pernsare i soggetti economici che vengono a perdere la loro attività, con i maggiori utili dei soggetti eco– nomici che sono chiamati ad incrementarla. Affrontando il problema dell'integrazione della produzione europea settore per settore, con la vo– lontà, non di evadere -dalle diffiqoltà, ma di risol– verle, diventa possibile i-n un periodo di tempo che non sarà breve ma non sarà neppure infinito, arri– vare ad espandere gradualmente i mercati senza in– correre in quei rischi che al solo accenno disar– mano giu-stamente anche i più coraggiosi paladini di un'unione e,conomi,ca europea Se per far ciò o.cco•r,rono gove·rni !Ln gm,do di tratta-re, cioè con · poteri adeguati per ma:nrtenere sul terreno na~ zionale gli impegni assunti i,n campo internazio– nale; se occorrono ancora governi che abbiano ·chiara la visione dell'interconnessione generale dei fenomeni economici, nazionaJi., ciò sig,niflca che tutti i governi debbono applica-re neU'ambito nazionale un'economia pianificata, non importa se in misura maggiore o minore. Contmriamente a quelli· che ritengono che l'economia pfaniffcata, per la rigi– dità che impone ai fattori della produzione, è av– versa all'allargamento dei mercati, siamo convinti che, malgrado tale rigidità, questa economia è l'u– nica via pratioa che consenta di raggiungere volta a volta accordi 1nternazionali per la più razionale divisione del lavoro· tra i paesi europei. DAVIDE CITTONE CHIESA CATTOLICA COMUNISMO E La politica comunista e la cattolica concorrono, in uniformità di proporzioni, a formare il tono di che si colora il tramonto della libertà nel mondo contempora– neo: da ciò l'inesauribile interesse del loro contrasto, che tanta parte involve del nostro destino d'uomini. Non sfuggirà ad alcuno il carattere apocalittico,– mortale, di questo conflitto, che ha per rispettive me– te (1) la dissacrazione totale del genere umano e 1a essenziale difesa di una parte di esso già "« ab anti– quo » acquisita a quelle insidiate realtà etiche e me– tafisiche. Gli è che ormai tutti i ponti sono palesemen– te rotti e i più recenti sviluppi han gettato tant'olio sul fuoco da convertire in una sola fiammata fin le più eroiche speranze in soluzioni· pacifiche di compro– messo: difficile, per non -dire impossibile; anche qua– lora, per subitanea ispirazione, le volontà unilateral– mente mutassero, lo strano accordo non potrebbe obiet– tivamente risolversi che in un abbraccio esiziale per l'uno o l'altro dei contraenti. Quando un Governo comunista proclàma di voler •ri– spettare, entro un ambito limitato, il magistero eccle– siastico, e va zelantemente in traccia di qualche pre– lato disposto, magari per un portafogli ministeriale, a firmare certe abominevoli clausole concordatarie, esso depone per un istante l'arma della violenza per avvalersi, con più grave_ dispregio di ogni norma mo– rale, dell'arte satanica della corruzione (i proposti « aumenti » al clero ungherese e cecoslovacco mentre si processava M<Ìndzenty), tende ad indebolire il Papa– to rafforzando contemporaneamente sè stesso, median– te la creazione arbitraria di Chiese nazionali ligie ai poteri costituiti, e ciò facendo prepara ed attua lo sci- (1) 11 bis,ogno di def'Ì!nJÌ4'1lle i tenniJnJi. m.; forza ad una ne– ces,saria quanto a,pproissimativa sem.plillcarlone.

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