Critica Sociale - anno XLI - n. 13 - 30 giugno 1949

CRITICA SOCIALE 301 ha assicurata la sua collaborazione, ed i rappresen– tanti la Deputazione Provinciale, la Camera di Com– mercio, il Consorzio Agrario hanno fatto proprio il progetto nominando una commissione che, insieme alla .presidenza della Cooperativa Combattenti, stu– di i mezzi ,per la sua aipplicazione -già nella prossima campagna 49-50. -Ma il massimo impulso ad agire ed agire presto, lo abbiamo avuto dal com.pagno Canevari, vecchio ed autorevole maestro di cooperazione, il quale ha subito rilevato la enorme importanza del nostro espe– rimento di cooperazione agraria anche sul piano na– zionale ed ha messo a nostra di5posizione i suoi grandi mezzi di uomo di governo e quelli del suo Ministero. Quanto stiamo organizzando potrà avere un grande rid'l-esso e sullo sviluppo della coo[Pera– zione agraria e suna f.utura politica agraria nazio– nale. La piccola proprietà, come ha giustamente os– servato in un suo miirabile d·iscorso l'on. Canevari, non è una form a superata d i conduzione terriera, in molte zone essa raippresen.ta una necessità economi– ca, ma appunto pe·rchè piccola ha bisogno di es– sere assis-ti,ta ed aiutata. La forma cooperativa è il grande mezzo di venire incontro alle sue necessità · in quanto, unendo lo sforzo dei singoli, realizza ia condizione per migliorarne ed aumentarne la pro- CLASSI E duzione a vantaggio deUa nazione e dei piccoli col-. Uvatori. Il lato veramente moderno dell'idea del compagno Saja consiste però nell'inserire l'elemento tecnico in quello cooperativo. Il tecnico preposto deve dare le direttive aiJ)provate daUa maggioranza degli uten– ti, ma questi, se vogliono usufruire dei vantaggi del– la cooperativa, devono impegnarsi a seguirle. E qui è la grande incognita del nost>ro esperimento. Il pkcolo coltivatore è ancora legato a fornne e. pre– giudizi tradizionali, e spinto dal proprio tempera– mento a se,guire l'esempio del padre e del nonno, non ha ancora l'animo e la mente aperti alle nuove forme di coltura. Riusciremo a superare questo ele– mento sipi,rituale? Riusciremo a per,suadere il con– tadino a rinunziare ad una frazione della propria individualità in favore del bene comune ed a suo personale vantaggio? Questo sarà il grande insegnamento del nostro esperimento. Ma se, come vivamente speriamo, i no– stri sforzi saranno coronati da successo, daremo alla poli-tica italiana un indirizzo positivo PC'!' una vera riforma agraria sulla base di quella coo-perazione che fu sempre nel programma e nella azione de.I Partito Socialista. GIULIO PUGLIESE NAZIONE GENESI IDEOLOGICA DEL 1848 1. - Le ,esigenze unitarie de,Jla borghesia ie I'« an– cien rég,ime ». Il cliché tradizionale della storfa prequarantotte– sca non pone in sufficiente rilievo il peso d•egli in– teressi economico-sociali « borghesi », ris.petto a quel– li puramente politko-statalistici e ideologici, nella determinazione dei movimenti rivoluzionari. Eppure la cos-cienza nazionale ap,pare alla vigilia del '48 chiaramente informata da un'esi,genza unitaria na– scente dal contrasto tra lo sviluippo dell'economia agricola e industriale e le remore poste dalle barrie– ve doganali tra stato e stato, dalle diverse leggi e uni– tà <li peso e di misura, dalle lente e staocate comuni– cazioni stradali e f.erroviarie, dagli intralci agli scam– bi culturali. La trasformazione economica della Penisola non può ancora, in questo clima, intraprendersi col vi– gore che avevano visto gli altri Paesi dell'Occi<lente europeo e la stessa Germania. Il volume dei traffici, è vero, raddoppia (da 16 lire per abitante nel 1830 in commercio internazionale sale a 30·nel 1850) con lo stesso ritmo <li quello mondiale, ma l'aumento co– sta 'enormem•ente per !'.improvviso logorarsi dei pa– trimoni collettivi di abilità artigiana e di localizza– zioni industriali, superate dalle nuove tecni.che, e per le difficoltà d'ambiente. La popolazione aumenta ,più lentamente che altro– ve fda 18.100.000 nel 1800 a 24.300.000 nel 1852), passando da 63,2 a 84,9 di densità 1per Kmg., den– sità minore che in. Inghilterra (158), in Belgio (93), in Germania (73), ma superiore a quella francese (68). Lo sviluppo industriale non incide neppure molto sull'urbanesimo: Napoli .passa in mezzo seco– lo da 350 a 449.000 abitanti, Milano da 170 a 196.000, Roma da 135 a 179.000, Palermo da 140 a 180.000, Torino da 78 a 135.000, Genova da 100 a 128.000, e Venezia scende da 140 a 127.000. Anche le statisti-che per categoria segnalano la len– tezza dell'evoluzione economica e sociale: intorno alla metà del secolo su 12.000.000 di abitanti consi– derati, 7.500.000 sono agricoltori, 2.000.000 artigiani BibliotecaGino Bianco (e operai), 1.800.000 proprietart, 700.000 marinai, soldati, preti, mendicanti. Lo spezzettamento della proprietà, accentuato dall'aumento dei iproprietari dovuto alla tendenza immobilizzatrice, dà al Pae– se una con.figurazione sociale nettamente agraria (un proprietario ogni 13-15 abitanti, contro uno ogni 420 nelle Isole Britanniche e uno ogni 110 in Germa– nia) e quindi, sebbene immetta nell'agricoltura forze nuove e più attive e porti ad essa un notevole jn,cre– mento, contribuisce a frenare lo svilùp.po d'una ri– voluzione industriale. Gli economisti del tempo considerano l'industria come complementare dell'agricoltura; enti bancari, capitalisti, proprietari, artigiani, rpolitki diffidano molto di ogni impresa « che non porti cadastrina, attestato d'ipoteche, ampio margine e cognizione ,per– f<etta delle persone », sono restii ad impieghi privati non sicurissimi, -credono che la carta monetaria e le cambiali siano pericolose e gli affari di borsa un « gioco ,d'azzar,do », temono assai il « macchinismo » e le sue -conseguenze, ignorano quasi sempre i ter– mini della tecnica e della problematica industriale. Anche i commercianti più audaci considerano con estrema prudenza l'azionariato e tutte le forme asso– ciazionistiche, non conoscono altra iproduzione al– l'infuori di quella dei beni di consumo, limitata dai gusti primitivi e dalle scarse spese pubbliche, n.on si decidono a impiegare ca,pitali nell'acquisto di mac– chine e a promuovere la formazione di tecnici in– vece di sfruttare la mano d'c:xpera non qualificata so-· vrabbon,dante e a ·buon mercato. Sono proprio gli stranieri (i Kramer, i Krumm, i Delacroix, i Bal– leydier, ecc.) che si gettano più arditamente alle i m– prese industriali collettive e iniziano quella pen.et- ra– zione di capitale estero che preoccuperà molto i politici dei decenni successivi. Le barriere daziarie intralciano anche tutte le ope– razioni commerciali: « Ogni transazione commer– ciale, ogni cambio o baratto tra .persone che sono fuori della periferia della propria terra - scriveva De Augnstinis - trova un inciampo, una perdita di

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