Critica Sociale - anno XLI - n. 7 - 1 aprile 1949

146 CRITICA SOCIALE il Parlamento sarà chiamato a sancire il Patto già stipulato- Certamente, se anche qualche clausola po– trà essere giudicata mal rispondente alle condizioni e agli interessi <lei nostro Paese, non c'è speranza che l'Italia abbia possibilità di ottenere modifiche che non ~iano di pura forma. D'altra parte ormai consideriamo il P. A. come una realtà effettiva ed in a:to; e siccome noi non ci sogniamo di farne un argomento per rendere agitata la vita del Governo e tanto meno ci sogniamo di promuovere un movi– mento d1 ribellione che disintegri la nostra vita na– zionale, così è chiaro che d'ora in poi l'opera nostra non potrà essere rivolta ad altro che ad un assiduo sforzo per evitare che l'atto dichiarato come puro strumento e garanzia di difesa e di pace possa as– sumere carattere offensi~ e che i ceti reazionari, la cui forza va continuamente crescendo nell'interno del nostro Paese, possano farsi delle garanzie offer– te da alcune clausole del P. A. il mezzo per porre ,fuori della legge gruppi politici, anche se non ab– biano intrapreso nessuna di quelle forme di azione per le quali fuori dalla legge si metterebbero da se stessi. * * * E' chiaro che per questa via si risale anche alla discussione della nostra partecipazione al governo. E' stato richiamato più volte in questi ultimi tempi il ricordo d,i Turati che, mentre credeva fra il 1920- 1922 che sarebbe stato opportunissimo mezzo di sal– vezza dal pericolo fascista la partecipazione dei so– cialisti al governo, si trattenne da1l'accogliere l'invito fattogli più volte, perchè riteneva che sarebbe stata priva di ogni benefica efficacia e possibile causa an– zi di m;lgg-iore danno una partecipazione di singoli uomini a ·cÙiil partito non avesse ciato il suo assenso e non fosse disposto a dare il suo appoggiò. E si è detto anche che fu errore di Turati non aver osato assumere una responsabilità personale, che avrebbe trovato consenso e approvazione, se non nel Partito, certo iri molta parte del Paese. Io sento di -poter par– lare liberamente a questo riguardo, perchè fui tra coloro che s1 dolsero dell'l:!strema.timidezza con cui il convegno della nostra corrente (turatiana, come allora si -liceva), tenuto a Reggio Emilia nell'autun- . no del 1920, trattò del problema della partecipazio– ne ·al governo, senza avere il coraggio di prendere una decisione che io avrei voluta affermativa. Orgi fa situazione è assai diversa. Non c'è più un'obiezione massimalistica, di principio, contro la partedpazione al governo, considerato come il ge– rente d'affàri della borghesia. Oggi il problema della partecipaz1one · si presenta per· noi, come del resto anche' per i tusionisti e per i comunisti, soltanto co– me Ùn problema di tattica, la cui soluzione perciò deriva soltanto dalla valutazione che possiamo fare tra i vantaggi da una parte e i danni o i pericoli dall'altra, che quella partecipazione può ~ffrirci. Da questo punto di vista il problema si presenta in cir– costanze notevolmente ·diverse dopo le elezioni del 18 aprile, per il fatto che i'! partito prevalente in Par– lamento ha oggi una maggioranza assoluta nella Ca– mera de; Dep~tati e una fortissima maggioranza re– lativa· nel Senato, si<::chènon ha bisogno, per reg– gersi al governo, di fare assegnamento sulla perma– nente solidar;età di altre forze. In queste circostanze era prevedibile (e i fatti lo hanno dimostrato) che noi non potessimo aver peso sufficiente per. poter e– sercit3re un sensibile influsso stille direttive del go– verno. lnrlubbiamenté qualcosa di male riusciamo ad evitare; ma anche senza. proporci il problema se a Biblioteca·GinoBianco que5to fine sia assolutamente necessaria la nostra partecipazione al governo e la relativa assunzione di molteplici responsabilità, è certo che questa possi– bilità di evitare il peggio appare continuamente ri– dotta a più esigua misura. Ha particolare eloquenza a questo riguardo la con– siderazione di quel che è avvenuto in· materia di po– litica estera. Non abbiamo bisogno di ricordare che l'atteggiamento che i miei amici ed io abbiamo as– sunto rispetto al P. A., corrisponde a quello che tutto il partito ( fatta forse eccezione di un picco– lissimo gruppo) ha tenuto fino al' recente Congresso di Milano e nel Congresso stesso, dove anche la mo– zione così detta di concentrazione non accennava af– fatto a voler iniziare una nuova rotta nella politica del partito in fatto di adesione a patti che includes– sero clausole militari. La realtà è che, all'insaputa dei nostri compagni che facevano parte del governo, si è andata nei mesi scorsi intessendo una sottile rete di trattat,ive, che posero ad un certo momento il go– verno, nel suo complessò, nella necessità, o di ade– rire ad un patto militare, o di rispondere negativa– mente all'invito che ad un certo momento ci venne da quella potenza il cui aiuto ci è imperiosamente necessario per la ripresa della nostra vita e della nostra capacità produttiva. Evidentémente si sarebbe potuto raggiungere um diversa situazione se la no– stra- delegazione al governo, tempestivamente infor– mata, avesse potuto intervenire per dare un diverso avvio alle trattative con le potenze occidentali. La nostra partecipazione al governo ad un certo momen– to ci ha posto in questa alternativa: o una impròv– vi-sauscita (che _delresto il compagno Saragat aveva ritenuto possibile e nece'ssaria,. appunto in relazione con patti militari, appena dne mesi addietro), opptt– re, ad evitarf, l'indebolimento che poteva venire al– l'azione del Governo da una crisi sul problema di politica estera, l'assunzione di una nostra correspon– sabilità in un impegno in cui solennemente avevamo ripetuto più volte di non volere che il Paese fosse travolto. Non molto diversa è la posizione nostra di fronte alla politica interna del governo. Noi -non siamo di– sposti ad attribuire chi sa quali losche ·intenzioni al Ministro Scelba ; ma crediamo non si possa negare che la politica da lui seguita ci conduca gradualmente verso un vero regime dì polizia. E se anche possia– mo ammettere che i comunisti hanno fatto e fanno di tutto per meritarsela, non possiamo J!)erònon de– nunciare il pericolo (del resto già in atto) che tutto il Paese divenga vittima di questo regime. Le forze di polizia agiscono oggi con una violenza senza di– scriminazioni, che colpisce pertanto anche cittadini tranquilli, che si trovano sulla via per i fatti loro; e questo non soltanto in casi in cui ci siano già stati atti di violenza da parte della folla, ma anche in casi in cui niente è avvenuto che determini quella reaz10ne. Certo, aÌl'azione delle forze di polizia non si può pretendere che il. governo rinunzi in situazioni come - quelle che le agitazioni eomun~fusioniste sono venute creando; ma bisogna saper trovare una misura, an– che perchè, se questa è oltrepassata, le forze poli– ziesche finiscono per prender mano al governo ed essere esse le vere arbitre della sua politica. D'altra parte non bisogna assegnare alle forze di polizi;i- lo esclusivo nè il prevalénte mandato ili mantenere l'or– dine. In regime di democrazia l'ordine si mantiene dando al popolo l'impressione che tutti i suoi dirit– ti sono rispettati e a tutti i suoi legittimi interessi

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