Critica Sociale - anno XL - n. 20 - 16 ottobre 1948

454 · CRITICA SOCIALE mente. OrI!,,ogni atto il quale valga ad acuire ed estendere la posizione antagonistica esistente tra Russia e Amer;_ca non può essere coefficiente di pace, anzi accrcsee i pericoli di guerra, se anche abbia l'effetto immediato di allontanare lo scop– pio di essa. In questa .ultima previsione è implicita da par– te nostra la convinzione, che del resto abbiamo accennata più volte, che l'iniziativa della guel'ra non verrà mai dall'America, perchè, a differ.enza dalla Russia ,essa ha sin d'ora un mezzo più sicu– ro e stabile, e assai meno dispendioso, di creare e difendere la sua posizione _egemonica nel Mondo: la forza che le viene dal suo assoluto primato nella ricchezza di danaro e di materie prime, sin d'ora sfruttabile. in tutta la sua portata, e un apparato. produttivo. a cui per alcuni decenni nes– sun'a_ltra naziop,e .])Otl'à contrapporre un appara– to che possa competere con esso. Se oggi la Rus- . sia non può ave1>enessuna velleità di scatenare la guerra; perchè non si sent~ preparata, dom;mi, ove potesse considerare ormai sufficiente la sua P,reparazione, potrebbe veramente desiderare di affidare alla prova delle armi il tentativo di so– stituire alla egemonia americana nel Mondo la P.i·opria egemonta. · ' Ma per. la ragione che abbiamo detto sopra nel precisare il significato della parola pace, siamo assolutamente contrari ad ogni fatto che possa accrescere i sospetti della Russia contro l'Ameri– c.a e contro quei paesi che, a ragione o a torto, sono considerati come strumenti o ?Omplici della politica americana. ,D'altra parte non è èsattò. che il patto di Bruxelles possa gradatamente allargare ·si fino a comprendere tutti gli Stati democra– tici d'Europa, e cioè tutti quelli che hanno ade– rito al Piano Marshall. Appunto per il carattere col quale è sorto quel patto, ad esso non aderì- . · rebbero certo nè gli Stati scandinavi che non han– no nessun ·desiderio di essere travolti in un con– flitt_o, data specialmente la loro posizione geogra– fica rispetto alla Russia, nè la Svizzera. E nep– pure l'Italia dovrebbe aderire, non solo pe~ non accrescere il pericolo al quale è esposta, ma anche p~rchè non ·darebbe certamente in questo modo un utile apporto al consolidamento della :pace. · .Qui potre~mo anche proporci il quesito se com– pito nostro sia veramente quello di rendere più sicura la pace. Dico questo, ricordando le parole dettemi pochi mesi addietro da un profugo rus– so appartep.ente a quel .partjto che veniva un tempo detto « socialista rivoluzionario». Voi non dovet.e, egli mi diceva, nascondervi che nell'O– dente europeo èi sono popoli che languono sotto tirannidi che non sono affatto migliori di quella sotto cui è languito per -oltre un venteimi0 il vo– stro paese. Anche voi, soggiungeva, avete saluta-· to lo scoppio della seconda gueirra mondiale e la entrata in éSsa delptalia con la !,peranza che -es– sa, insieme coi danni e dolori che avrebbe deter– minati, potesse giovare a rendere più rapida la liberazione, del vostro paese dalla tirannide che l'affliggevà. Non potete legittimamente togliere a noi il diritto di nutrire analoga speranza. . Mi fu facile rispondere che, per quanto nòi a– ·Vessimo . certamente pensato che la· guerra, la ·quale non poteva avere un esito diverso. da quello Biblioteca Ginq Bianco che ebbe, avrebbe aiutato il popolo italiano ad ab– battere il regime fascista, non aibbiamo però de-.· siderato la guerra. Basti riéordare che tutta la propaganda. antifascista svolta all'estero dai no– stri compagni profughi si fondò sulla denuncia che il fascismo era la guerra, come ripeteva insi– stentemente Turati, e che bisognava perciò che gli altr.i Stati si astenessero rigorosamente da ogni atteggiamento che p~tesse dar prestigio al fa– scismo, se volevano evitare la guerra. Segno per– tanto che i mi'gliori tra•noi attendevano da altra forza çhe la guerra la fine del fascismo. Si ag– giunga poi, continuavo, che abbiamo ora fatto una esperienza così amara che dovrebbe modifi– care radicalmente il pensiero e l'atteggiamento nostro, se -anche veramente noi avessimo deside– rato la guerra nella speranza che essa ·segnasse la fine del fascismo. Non solo ci siamo trovati in. un turbine che ragionevolmente .ci fa dire che di tutti i mali la guerra è certamente il peggiore, per le rovine materiali e morali che produc.e, per i sedimenti di odio e di violenza che lascia nell'a– nimo di individui e di popoli, per la lunga inter– ruzione che determina nel cammino ascensionale dei popoli verso una più umana civiltà; ma -ab– biamo constatato che la guerra e la condizi,ohe delle cose e degli ·animi che essa genera costitui– scono_ una gelatina in cui spaveutosamen~e pro– spera e si diffpnde il bacillo della dittatura e del totalitarismo. Si guardi a tutti i paesi che sono di là della cortina di ferro e si mediti anche sulla situazione interna ·della Francia. Per tutto questÒ è per me fuor di dubbio che il programma nostro rion può essere quello di pro- . muovere od !tllargaFe l'iutervento america1to nel– le cose europee, per determinare un temporaneo scoraggiamento nelle velleità di guerra che possa àvere la Russia, e tanto. meno di creare o favo– rir condizioni per cui la guerra scoppi prima èhe la Russia. abbia .condotto a termine la' sua opera di preparazione. Noi dobbiamo invece contribui– re con tutte le forze a creare una situazione di pa– ce, di pace vera, 1m'atmosfera non offuscata da odii,. da ansie, da incwbi che ci tolgano la possi– bilità di rivolgere le nostre forze a ritornare pri– ma a condizioni almeno non inferiori· a quelle del 1938, -a continuare poi il cammino ascendente se– condo le possibilità' e la volòntà di vita di cia;cun •popolo. Cerchiamo quindi di tener l'America _più lon– iana che sia possibile dal mescolarsi o dall'essere mescolat.a, alle contese europee; togliamo alla Rus– sia la possibilità di tenere in orgasmo tutto ìl mondo col pretesto che deve difendersi da..ll'im– -perialismo americano. Creiamo in Europa una forza che sia capace di. costjtuirsi come ostacolo . c0ntro ogni ulteriore inasprimento dell'urto tra· i due blocchi. Questa forza (ripetiamo :per l'en– _nesima volta e C'onthmeremo a rfpetere senza stan– carci) non può nascere se non da una intesa poli– tica tra gli Stati o, meglio, tra i popoli che hanno dovuta imporsi ml.a coordinazione delle loro atti– vità economiche per. l'applicazione dell'E.R.P. Quando questa intesa· sia divenuta così intima e così effettiva da. qistruggere ogni p·articolarismo nazionalista, da-indurre gli Stati a una graduale rinuncia, uguale per tutti, alJa egoistica ed orgo– gliosa illimitata loro sovranità, e a sentire ciascu– no la propria sorte i~dissolubilmente legata a quel-

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