Critica Sociale - anno XXXVIII - n. 20 - 15 ottobre 1946

326 CRITIC~ SOCIALE un mpmento in cui dall'estero giungevano al fa- 1,cismoparole di lode e di· ammirazione. Fra gli uo– mini che per primi si sono ribellati al fascismo - ha soggiunto il compagno Spaak - mi sia qui per– messo di fare il nome di Giacomo Matteotti, il qua– le deve essere considerato il primo uomo deìla « re– sistenza » in Europa. Contro le umane parole di Spaak· non fa meravi– glia abbia reagito, con spiegabile senso di ostilità Yerso l'Italia, il greco. Tsaldaris; ma non pareva ra– gionevole supporre che venisse fuori il laburista Bevin a dire che il tratta.to imposto all'Italia non è duro e a fare questa stupefacente considerazione : che, se l'Italia fosse stata vittoriosa, il governo· di Mussolini avrebbe imposto alle nazioni .vinte condi– zioni ben più dure di quelle che ora sono fatte al- . l'Italia. Certo, così sarebbe stato, se la vittoria del– l'ItaHa fosse avvenuta dopochè le nazionC ad essa - riemiche avessero opposfo fino all'ultimo momento la loro resistenza alle pretese per la cui accettazione l'Italia, e:ra entrata in guerra. Mà se, invece, qualcu– _na _diquelle potenze avesse ad un certo momento ab– bandonato i suoi alleati per schierarsi a fianco de– gli Stati totalitari, è da presumersi che questi avreb– bero voluto premiare la loro resipiscenza e assicu– rarsi la loro fedeltà in avienire, facendo loro con– dizioni vantaggiose di pace e chiamandoli fors'an– che a partecipare al bottino tolto a quei nemici che fossero rimasti ostinatamente in guerra fino all'ulti– mo. Non vogliamo certo fare le lodi di una simile politica, che consideriamo deteriore e immorale, per i fini a cui mira e per i mezzi di cui si serve; dicia– mo solo che l'argomentazione di Bevin parte da un presupposto tutt'altro che certo. Ma, a parte ogni considerazione di fatto che si possa ricamare intorno all'.ipotesi fafta da Bevin, quello che soprattutto ci sembra di_dover osservare è. che egli deve fare una ben misera valutazione del– la missione della democrazia sul terreno internazio– nale se, per giustificare le conclusioni della Confe– renza di Parigi, sente il bisogno di paragonarle al peggio che avrebbe fatto un regime macchiatosi di turpitudini e di delitti. Tra democrazia e dittatura 1ton si può neppur lontanamente pensare dì stabilire un rapporto di gradazione, di più e meno. Fra loro non può esserci che risoluta contraddizione. La dit– tatura è guerra, la democrazia vuol essere pace; la dittatura è. violenza, la democrazia vuol essere giu– stizia; la dittatura è volontà di prepotente doipinio, la democrazia deve essere volontà di cordiale fra– tellanza. Ciò che quella afferma come specifica e– spressione della sua natura· questa deve negare, e ciò che essa nega, questa deve. affermare. Le condi– zioni di un trattato di pace possono dalla dittatura essere considerate come il modo in cui si afferma la ·sua volontà di dominio e di sopraffazione, come il mezzo con cui viene prostrata la forza del nemico in modo da togliergli per lungo tempo la capacità di resistere a nuove agg-ressioni che si mediti di con– durre contro di -lui. Per la democrazia il trattato deve cercare invece di attuare le condizioni di una pace che possa mantenersi per rendere possibile una fruttuosa collaborazione tra i popoli; deve perciò voler attuare principi di giustizia, evitando che ci sia qualche popolo che senta· violato il suo diritto 'o menomata la sua dignità. · Purtroppo questo a Parigi non si è fatto, non si è voluto fare. Le vecchie ideologie gravano ancora la mente e la coscienza anche di coloro che dovreb– '9eco essere. apportatori di idealità e di norme nuo- B i bI iOf eCaGino Bianco ve. La vittoria, pur troppo, non impone al vincito– re il dovere di saperne usare con discrezione e pea– fini che trascendano l'egoistico suo interesse, ma di ancora il diritto di calcare il tallone sul collo del vin– to. Per l'Italia non si potrebbe neppure addurre il pretesto, che avrà certo gran peso nella stipula– zione delle condizioni di pace con la Germania, i11 quanto questa ha dimostrato nell'ultimo secolo cli storia i segni di un imperialismo ~ggressivo che per attuare i suoi piani non ha avuto nessun scrupolo nel– la sçelta dei mezzi. Anche sotto il regime fascista, che è stato l'unico periodo della sua storia, dalla caduta dell'Impero. di Roma in poi, in cui l'Italia, il governo d'Italia, abbia seguìto uria politica impe– riàlistica, la coscienza di numerosissimi italiani St è ribellata a quella politica. Tutti ~anno con quale aspettazione oltre una ·metà di essi, durante l'ulti– ma guerra, anche prima del settembre f943, ascol– tava la -radio inglese, rallegrandosi dei successi de– gli alleati, che avr.ebbero m~ndato a vuoto le spe– ranze dei nazifascisti, affrettato la restaurazione dei principi di democrazia nei paesi soggetti à regimi totalitari, rinnovato i rapporti iniernazionali su basi , di collaborazione e di giustizia. E, nonostante 111 sconsigliata impresa contro l'Etiopia, - da cui vera" mente ebbero il torto ·di lasciarsi suggestionare tan– ti italianì che pure avevano saputo sino ad allora mantenersi immuni da ogni asservimento spirituale al fascismo, - anche in materia coloniale, nonostan– te quella impresa, l'Italia non può meritare accuse di ingordigia, di mania di potenza, specialmente ia con-fronto di altri Stati che -si sono costituiti be• maggiori domini e non avevano la. giustificazione che può venire da necessità demografiche, ma era– no mossi unicamente da desiderio di 'conquistare· . mercati, di pro~urarsi scali commerciali, di assicu- •. rarsi altri benefici che rappresentano, non mez211Ì di soddisfare imperiose necessità di- vita, ma stru– menti per accaparrarsi un più vasto dominio._Nessu– no potrebbe davvero riconoscere all'Inghilterra ìl diritto di dar lezioni di moderazione in questo campo. Aggiungiamo che, come già abbiamo detto altra volta, noi, _pur rimanendo contrari alla politica ca– foniale, che non ha dato modo all'Italia di risolvere nessuno dei suoi vitali problemi, dobbiamo tuttavia riconoscere che nessuna nazione europea ha date tanta opera è tanto denaro quanto l'Jtalia per mèt– tere in valore l'é sue colonie- e vi ha profuso co• tanta generosità la mano _d'opera dei suoi figli, che è la sola ricchezza (pesante ricchezza in certi m©– menti) ch·e essa possieda. *** Non vogliamo· nasèonderci neppure in questo me– mento che, nel fissare così gravose condizioni pec l'Italiç1.,le potenze non .sono state m·osse da ostilità e ·da in.tento' -punitivo- nei nostri riguardi. Sappiame bene che l'Italia soffre oggi dello stato di reciproce sospetto e gelosia in cui vivono il blocco orientale e quello occidentale. 'trovare una soluzione ai pre– blemi mediterranei, che potesse conciliare· le oppo– ste esigenze non era facile. Si è · dovuto venire aà una transazione,_ e di questa 'transazione l'Italia è . .stata condannata a fare le spese. Pola e Fiume alla Jugoslavia servirono a soddisfare in qualche mode le aspirazioni della Russia. Ma Inghilterra e America vollero garantirsi la possibilità di rimanere in pre– valenza di fronfe ad essa nell'Adriatico e nel Medi– terraneo, assicurandosi un protettorat@ su Trieste ,

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=