Critica Sociale - XXXV - n. 21-22 - 1-30 novembre 1925

CRITICA SOCIALE 287 rurali: tali sono le condizioni pregiudiziali, senza cui non si potrebbe sperare di democratizzare in modo · proficuo le grandi azien_de agricole, acquistaté" e socia– lizzate dallo Stato ·o da Comuni urbani. • I • • A dire il vero, parrebbe che una classe operaia rurale evoluta si presti meno che ogni altra alla gestione coo– perativa delle aziende agricole; che la forma conside– rat~ come la più acconcia a questa gestione sia la Cooperativa di produzione, la gilda, oppure l'impresa a .gestione mista. A mio avviso, quest'ultima sarehbe la più pratica, in quanto uccide in germe tutti gli antago- nismi fra produttori e consumatori. · D'altra parte la forma di Cooperativa di produzio.l'le agricola ha in suo favore i· felici esperimenti che ne sono, stati fatti. Senza dubbio, le Comunità agricole russe del regime bolscevico sono tutte fiaite, qualunque ne fosse la forma, con un insuccesso. ·« Tutto sembrava favorire l'esperienza ..:...dice il pro- . fessor Boukovietzky nella sua conferenza sui ·saggi di comunismo agrario dei bolscevichi ( 4). · E tuttavia al principio del 1919, 1'83 per 100 circa delle C~munità (fondate ourante· l'estate del 190?) erano cadute; il res'to scomparve verso la metà del 1919. Le organizza– zioni sovietiche che le sostituirono non ebberò sorte migliore». Tuttavia questo scacco non prova che l'indole del– l'agricolfura s'opponga alla gestione cooperativa: prova piuttosto che i bolscevichi dimostrano una singolare incapacità in ·tuUo ciò che non s'at_tiene alla semplice organizzazione (lell'autorità, dell'armata rossa e della polizia. . In Italia, è sorta, durante l'ultima generazione, un gran numero di· Cooperative di produzione agricola, Da un'inchiesta del 1906 risulta che esistevano allo~à 108 cooperative p_er l'esercizio del!'agricoltura, di cui _88 in piena attività. Di queste 88, 18 erano vere Coo– perative <li produzione e coltivavano, tutte assien_:ie, una superfice di 1873 ettari, costituenti grandi tenute di 100 ettari l'una in media. Vi erano inoltre _70 Coo– perative in esercizio, che avevano preso terreni in . affittanza, ma li ripartivano, per la coltivazione, f:i;:a le singole famiglie. · Nel 1912 un tedesco (5), che aveva studiato queste organizzazioni, scriveva: « I risultati _delle affittanze cooperative sono, giudicandole nel loro complesso, fa-_ vorevolissimi. Sino ad ora non c'è stato alcun insucces– so nè fallimento ». · Il numero di queste Cooperativè agricole è, dal 1906 al 1922, cresciuto da 108 a 400, _E la superficie la– vorafa da esse è più che quadruplicata. Sono anche da ricordare numerose colonie comuniste a fondo r~ligioso, .che fiorivano nel se~olo passato, negli Stati Uniti e s'occupavano con successo di coo– perazione agricola. Nel 1830, sotto l'influenza di Owen, un certo signor Vandaleur intr::i.prese, sulfa sua· tenuta di Ralahine, in Irlanda, un esperimento cooperativo che ebbe notevoli risultati. Sventuratamente Vandaleur era un giocatore, falll · e i suoi creditori distrussero la Cooperativa che , aveva trascurato di garantirsi contro questo pericolo. La prima affittanza cooperativa italiana ebbe la stes– sa sorte. Anch'essa fioriva, e andò in rovina per colpa del proprietario della terra. Preyer scrisse su questq argomento: ' Il deputato dott. Mori, ricco proprietario di terre di Stagno Lombardo, affidò, nel 1~86, una tenuta di 100 ettari (eh~ ~ Pubblicate in appendice alla traduzione tedesca del libro di Tougane-Baranowsky, Le Comunità comuniste dei te"mpi moclerni. (Gofha, Hurwiez, 1921). (5) W. D. Preyer, Die Arbeit~ urid Pachtgenossenschaften /taliens. Iena, 1913. iblioteca Gino Bianco egli aveva sino ad allora affittato a un fittabile) a un certo numero .di contadini che si unirono in Cooperativa. Il con– tratto, d~pprima conc'luso per due anni, doveva, alla scadenza, div~ntare definitivo alle stesse condizioni. Non fu fatto,-perchè il proprietario mostrò di non averne alcun desiderio, seccalo com'era dei rimproveri e degli intrighi dei suoi vie.ini, ti– morosi che l'esperimento socialista aumentasse fortemente le pretese degli operai agricoli della regione. Anche la sua fa– miglia temeva che egli si rovinasse co.n questi esperimenli. È dolorosissimo c_hel'affitto non sià stato rinnovato, avendo esso prodotto, sotto ogni aspetto, buoni risultati. Peeu:ni.a; riamente, la Cooperativa aveva dato, il prime, anno, oltre ai salari ordinari; un tenue dividendo, che salì, nel 2. 0 anno, a 100 lire per _socio. -Il p·roprietario riceveva, oltre al canone fissato, un beneficio ·pai;i al totale dei dividendi dei coopera– tori. Anche dal plinto di vista .economico s'erano ottenuti; vantaggi: per l'innanzi i contadini lavo!ravano la terra con grande negligenza, ora, invece, che il loro interesse era in gioco, si sforzavauo, col lavoro più assiduo, d'aumentare il reddito al massimo grado. Dal punto ·di vista morale e sociale il risultato era ugualmente incoraggiante. I membri djéllla Cooperativa erano gli epe.rai occupati su questa tenuta dal precedehte fittabile. Un buon accordo regnava nell'or– ganizzazione'; che era, per cosl dire, stata imposta loro, e la direzione, composta di lavoratori e del proprietario, sapeva ma;ntenere la qisciplina ». (6). Tutto questo richiama Ralahitie, eccettochè la classe operaia della fine del sec. XIX era tutt'altra cosa che quella del p,rincipio. Ralahine rion ha lasciato tracce; invece l'affittanza cooperativa italiana ebbe, nel 1:886. imitazioni, indipendenti, questa volta, 'dal· capriccio, d'un ricco filantropo, e concluse, in buon numero,·dalle orga,nizzazioni sindacali. A queste testimonianze del tempo più recente se ne aggiungono altre pi4 antiche.' Ma tutte queste manife– stazioni della grande azienda cooperati.va , noi le tro– viamo in ambienti incolti o, almeno, non evoluti\. :t: , caratteristico che Ralahine si trova nella contea di. Clara, uno dei luoghi ·più arretrati dell'.lrlanda. Inoltre, , le oomunità comuniste più prospere erano formate da oontadinì appartenenti a sètte e profondan ;ien.te re– ligiosi, •estranei ad ogni pensiero moderno; Al contrnrio, fra le colonie comul)fate intinte di pensiero sociaHsta moderno e fondat°e· da elementi colti, sulla base del1e ~eorie di Owen, di Fourier o di Cabet nessuna ha po– tuto mantenersi. Si sarebbe dunque tentati di conclu– dere che l'agricoltu·ra èooperativa è possibile solo m mio stato di civiltà inferiore. . Dbnde viene questo fallimento .delle co}onie comu– niste moderne? Anzi ·tutto dall'esser poste in solitu– dini .remote, dove speravano di esse1·e al riparo dagli influssi perturbatori del capitalismo, ma dove erano anche prive degli stimoli della civiÌtà, cosa terribile, a lungo andare, per un uomo· coltò. :Oi più, esse non ,erano fqµdate da contadini, ma da cittadinì, che, come tali, non erano fatti per l'agricoltura e ne furono pres~o stanchi, non appena spento l'entusiasmo del primo mo-· mento, , : ! -"'.'~!V' :Basterebbe questo a spiegare, perchè questo genere di colo~ie si disciolsero in capo a qualche anno; ma non spiega la ragione dei contrasti che turbarono la loro esistenza e che son forse da attribuire a un fatto finora trascurato: lo stretto rapporto fra l'economia domestica e l'azienda agricola. Mentre l'artigianato è, dall'origine, un!l produzione di merci da vendere per scambiarli con· altri prodotti, l'agricoltura fu, per lungo tempo, una prodùzione esclu– sivamente destinata alla famiglia del produttore: uso predominante anche oggi, massìme nelle piccole aziende. L'azienda e la vita famigliare sono perciò strettamen– te e organicamente legata nell'agricoltura, mentre, nel l'industria sono nettamente divise.' Se non che, l'e- , voluzione della famiglia non segue la stessa direttiva ~d., ibid. pp. 83-4.

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