Critica Sociale - XXXV - n. 21-22 - 1-30 novembre 1925

CRITICA SOCIALE ' 285 l'orario lavorativo, in una continua dipendenza;del capo dell'azienda; il che costituisce lo stimolo più forte ai– l'esodo dalle campagne. . L'attuazione di questo programma di riforme agrarie esigerà grandi mezzi finanziari. Ma si dovrà e si potrà· trovarli, tosto che sian sanate le piaghe cagio.tJ.ate dalla guerra. A mano .a mano che questo programma sarà attuato, l'agricoltura riacquisterà la sua forza d'attra– zione, e vedrà aumentare la quantità e migliorar.e la qualità della sua mano d'opera: si vedrà allora da una parte 'che questa riforma avvantaggia.più la grande che la picoola azienda•e, dall'altra, che quella offre, per l'attuàzione, migliori condizioni che qrresta. Prin– cipalmente nella riduzione detla giornata di_lavo'ro la picoola azienda è meno atta a sostenere la concor– renza d~lla grande, e tanto meno, anzi, quanto più è piccola. E se il lavoratore agricolo della grande a– zienda trova a. suà disposizione .abitaziçni costruiJte a spese pubbliche, s'egli si sente sorretto da una forte organizzazione sindacale, sarà, neHe ore di riposo, ben più indipendente che la man'.l d'opera impiegata· dal colono o piccolo proprietario e ::i.IJoggiata fo casa sua. D'altra parte, a· mano a mano che la legislazione;, e ia lotta sindacale varranno a migliorare la condiz;one del lavoratore agricÒlò,.non solo avverrà chè la giovane generazione campagnola resterà più fedele all'agricol– .lura, ma che un più gran numero di l~vorat,ori labo– riosi e intelligenti saranno a disposizione delle grandi aziende, le qùali potranno così dimostrare tut~a la loro superiorità tecnica. E poichè tutta questa evoluzione procederà di pari passo con un aumento continuo ~ella potenza proletari'i:i, nella Società e nello Stato, apparirà chiaro che_ la grande, azienda è la sola, anche nell'a– gricoltura, che possa dare una condizione agiata e una civiltà più elevata alle masse operaie, mentre la piccola azienda rappresenta la persistenza nella barbarie .. Nello stat,o attuale dell'evoluzione agricola questo fatto non apparisce chiaro e i lavoratori. agricoli pos– sono credere che la loro salvezza stia nello spezzet– tamento della grande aziendll e ael conseguente diffon– dersi delle piccole àziende famigEari. Dove questa con– vinzione predomina, i lavoratori finiscono per farsi rimorchiare dai partiti agrari, ~llontanand~si dalle fi– nalità socialiste. La democrazia soc:alista ha il dovere di non incoraggiare questa strettezza di vedute, ha il dovere anzi di combatterla, guidando i contadini a ull punto di vista più elevato e insegnando_ loro a combat– tere la loro lotta di classe entro la grande azienda e non contro di essa.· CARLO KAUTZKY. la iorialiiia1ione nell' agriroltura Sullo stesso argomento il Kautzky torna nella seconda parte del suo libro in cui, sulle basi teo– riche poste nella prima parte, egli traccia ed il– lustra ampiamente il programma di socialiiza– zionie. Traduciamo anche di questa parte un passo · del cap. IX, quello che comincia a trattare della socializzazione delle grandi aziende agricole, .ri– servandoci di darne nel prossimo numero il sè– guito, che tratta della socializzazione della pic– cola proprietà. La socializzazione delle grandi aziende Grandi difficoltà presenta la socializzazione delle a– ziende agrioole. L'evoluzione capitalistica li ha così poco trasformate, che molti socialisti dubitano della possibilità di socializzare l'agricoltura e vorrebbero li- BibliotecaGino Bianco •. mitare all'industria la sociàlizzazione. Essi escludono bensì che sia compatibile cqn un regime .socialista la permanenza delle condizioni attuali di proprietà. agricola, ·ma pensano - come abbiam detto alh'ove - · che si debba por fine al regime del salariato, frazio– nando tutte le aziende un po' notevoli - non solo,· dunque, le grandi, ma anche le medie -- e riducendo tutta l'agricoltura in forma di aziende famigliari. Se si riuscisse veramente· a far_ coesistere questa rea– zione economica nelle campagne còn .la' rivoluzione· sociale nelle città, le conseguenze sarebbero catastro– fiche. ' · ; · · 1 ''lf: Ai dati e, agli argomenti già da me ei;posti altrove (1) ritengo opportuno aggiungere qui qùalche passo tolto dalla memoria che il dott. Rabbethge, direttore dell'amministrazione demaniale, presentava nel mar– zo 1922 alla Commissione di s,ocializzazione, di cui faceva parte. · , lJ:ì questa memoria si calcola che le piccole e medie aziende agricole prodlicono' giusto il Bece·ssario per alimentare la popolazione delle campagne e delle pic– cole città tedesche:•<La popolazione delle grandi città (20 milioni) e i lavoratori delle_ grandi aziende fon– diarie (3 D;1.ilioni)vivono del solo prodotto di queste ultime. La grande. azienda nutre, in media, 5 persone· per ettaro; la picèola e la media soltanto 2. Anche più · sensibile è la differenza, se noi prendiamo isolata~ mente la grande azienda. a cultura irÌ:tensiva,, la quale produce il nutrimento per circa 9 persone ogni et– taro. Jl quadro approssimativo risultante da queste cifre è così IJ,1otivato: Non si può contestare che la media e la piccola proprietà agricola dànno - a parità di condìzioni del terreno _.:_ un medio prodotto lordo assai inferiore alla grande proprietà. Un lavoro meno accurato, sementi meno buone, un minore e meno metodico uso cli fertilizzanti, una meno accurata lotta contro le erbe cattive, rotazioni meno razionali, fanno · sì che la raccolta sia, ih media, inferiore del 25 per C!lllto a quella della grande proprietà. Questi inconvenienti si pos– sono,_ in parte, sopprimere: ma _per il momento esistono e occorre tenerne conto. · La quantità di nutrimento ·neccssa1'ia a mantener la mano d'opera è, nella piccola proprietà, un po' piì1 elevala, ·dato che l'utilizzazione delle braccia è meno razionale; ma questo è un particolare di poca imporlànza. La cagione principale dell'inferiorità sta nella meno vantaggiosa utilizzazione del · bestiame da lavoro e nel conseguente a1m1enlo della quantità c:).iraccolto che esso consuma. (2) Mentre nella grande pro-· prietà agricola il bestiame consuma il prodotto di 1,1 ettaro per ogni 5, sicchè rest~l prodotto di 3,9 Ha per l'alimen– tazione mnana e per il nut!'imento dell'altro bestiame; nella piccola proprietà, invece, esso consuma il prodotto di 2,6-3 Ha su 5, sicchè resta, per gli altri usi, solo il prodotto di 2. Si pensi che il bisogno di foraggio per il bestiame da la– voro rappresenta, in valo1:e nutritivo, più dei 3/4 di quanto occorre per· l'alimentazione umana; il che dimostra quanta importanza abbiano la sua utilizzazione razionale e la possibi– lità di farne a meno mediante l'impiego di macchine. Se si fraziona il complesso della grande proprietà fondiaria, il prodotto delle terre che oggi la costituiscono invece che a 23 · milioni di persone basterebbe solo a 9: gli altri 13-14 morreb– bero di fame e anche quei 9 dovrebbero pagàr gli alimenti più cari._ .•!:-' .1 Questi 13-1'1 milio.ni di condannati a morire di fame o ad emigrare sono per l'appunto quelli che, in Germa– nia, rapprfsentano la civiltà moderna. Far tornare le '- (1) Specialmente nel libro su La questione agra ria. (2) Come mostrano, fra le altre, le cifre della statistica del 1907, secondo cui per ogni 100 ettari di superfice coltivata occorrono: Cavalli nei terreni da 5 a 20 ettari 12.7 id. da 20 a 100 ettari 12.9 id. da 100 in più 9.2 id, da 200 in più 8.8 Bestie cornute (vacche escluse) 37.2 24.5 14.3 12.8 (Nota di Kautzky).

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