Critica Sociale - XXX - n. 17 - 1-15 settembre 1920

- 258 CRITICA SOCIALE dica della disponibilità dell'industria è esclusivamente il ceto industriale. I suoi libri di commercio sono inaccessibili al controllo di quelli verso i quali esso invoca, come un domma, la non capienza industriale dei richiesti aumenti di salario. Ma qui si froda cinicamente la stessa logica indi– vidualistica del capitalismo. Come ! tutte. le fabbri– che sono nella stessa uguale povertà da dovere tutte respingere le richieste? Non ci sono fabbriche ben amministrate che lucrano tuttavia ed altre mal con– dotte che perdono necessariamente e forse perderanno sempre? Dove va a finire quello specifico valore della persona che ci raccontavano essere la molla stessa del– ! 'azione produttiva? In grazia delle fabbriche che per– dono, gli operai hanno da rinunziare agli aumenti anche da quelle che guadagnano ! E debbono cari– carsi delle conseguenze della incapacità di questi in– dustriali per liberare anche la fortunata accortezza di quelli da ogni impegno di fare un po' di posto nella loro prosperità ! Qui, rotta ogni equità, si vo– gliono mettere da una parte sola tutti i vantaggi, dal- 1 'alt~a tutti i rischi e danni. È quasi lo _spirito del Trattato di Versailles: forse perchè il rapporto, co– munque mutato nelle forme, è anche qui da vincitori a vinti, da dominatori a dominati! L'egoismo padro– nale che per comodo di guerra di classe uguaglia nel Consorzio la sorte degli operai di tutte le fab– briche meccaniche e siderurgiche, non si dà poi alcun pensiero nemmeno della invocata uguaglianza delle condizioni dei propri operai con quelle degli operai delle altre industrie ! Non è... socievole l'egoismo padronale! ,. Ed ecco perchè è improvvido, alla fine, persino verso se stesso ! La questione che ésso ha sollevata, nòn si dirime più che contro di lui. Se è vero che gli industriali non avrebbero più interesse - come affer– mano - a continuare le industrie ove dovessero aumentare le paghe, e se è vero che gli operai non possono o non vogliono più lavorare alle condizioni precedenti, e se è ugualmente vero che la collettività non può far senza di• quel lavoro e di quella produ– zione, la conseguenza è una sola : Bisogna, cioè, rico– noscere che la forma di produzione caratterizzata dal– la collaborazione separata del lavoro e del capitale non funziona più e pertanto bisogna dare subito opera ad ordinare quella forma di produzione, che si offre spontaneamente a succederle, che implica la coope– razione dei soli termini risultanti interessati alla con– tinuazione della industria, vale a dire gli operai e la collettività. L'occupazione delle fabbriche, che non era nel pensiero degli operai quando presentavano il loro memoriale e neppure quando esso fu in blocco, senza discernere, respinto, e che avvenne come 'un fatto di reazione naturale allorchè gli' industriali cre– dettero di eludere l'ostruzionismo con la serrata, l'oc- , cupazione delle fabbriche apre la via alla introdu– zione della nuova forma di produzione. Basterebbe che lo Stato, nell'interesse• della produzione, requisisse le fabbrich'e e prescrivesse pianamente che il lavoro - come gli operai vogliono - si continui, salvo a statuire a suo tempo sopra i profitti e le perdite. Da un simile atto due sono le conseguenze che potreb– bero derivare. O gli industriali rifacendo i loro cal– coli scovrirebbero che, tutto ben ponderato, un piccolo margine di utjle risulter.ebbe ancora dal loro eserci– zio, anche concedendo gli aumenti domandati, e scen– derebbero dalla lor.o montagna per riprendere i ne- Biblioteca Gino Bianco goziati. Oppure veramente, come è loro fermissima opinione, per loro non sarebbe più alcuna convenienza a continuare l'industria e allora non avrebbero nean– che a dolersi che gli operai continuino l'industria per proprio conto, secondo le discipline da stabilirsi nel- 1 'interesse della collettività; e la socializzazione del– ! 'industria sarebbe un fatto pacificamente compiuto e irrevocabile ! Naturalmente le liquidazioni dovreb– bero farsi col criterio con cui si provvede a cose ab– bandonate, da cui i proprietari non si attendono più alcun benefizio. Intanto .la fabbrica deve mantenersi, come vogliono i lavoratori, nella sua piena efficienza per rapporto a tutti i fattori - uomini e cose - che la compongono. Gli operai chiedono ai tecnici di permanere nella loro funzione. Non è l'ostaggio; è la dirigenza che neces– sita all'opera comune. Nessun equ_ivoco è possibile a questo riguardo. Una crisi nella crisi è quella dei capi– tecnici e direttori. Ma il fatto la risolve. Finora per certa forza di abitudine costoro si sono a torto creduti vassalli del capitale imprenditore; ma già nelle presenti asprezze, inevitabili di ogni tra– passo, essi sentono ed affermano che la loro funzione è !Jutonoma ed è funzione di fabbrica che resta e cresce di valore qualunque sia l'ordinamento in cui la fabbrica, eliminato il capitalista privato, 'l(iva. La solidarietà tra i tecnici e gli operai si cementa nella ragione che l'antitesi tra capitale e lavoro scompare. Una nuova dignità, una autorità nuova illumina i mae– stri una volta che il loro potere dirigente si esprima manifestamente nell'unico interesse comune della più alta e copiosa produzione e non sia più asservito alla creazione forzosa di dividendi per ignoti e oziosi azio– nisti. Così la classe lavoratrice si integra di valore, di competenza, di intelligenza. Tanto peggio per co– loro che hanno sempre gridato (e, in fondo, augu– rato) alla rozzezza, alla brutalità inguaribile della classe lavoratrice ! La scienza, la tecnica, I'esperien– za non sono fatalmente in divorzio dalla classe lavo– ratrice ; lo furono flnchè non pensarono se stesse che mancipie del capitale; flnchè non videro la loro sorte sicura che nelle m:rni di Mecenate capitalista. Ora non più. Una esperiel'lza è fatta che ha il valore di una liberazione. Ora tutto si rischiara, tutto nel fiammante cozzo dei nuovi rapporti si illumina. Questo immenso movi– mento di metallurgici è un crogiuolo incandescente di idee e di forme nuove. f:, nel miglior senso della parola, una rivoluzione spontanea, immediata, sgor– gata dalla nostra vita - non un trapiantamento arti– flziale di modi lontani, imposto da imitazione servile o da comando esoterico - come si vuole per la rivo– luzione politica da certo ingenuo massimalismo mo– scovita. Il movimento vincerà - perchè ha tutte le ragioni per v1ncere. In ogni caso non passerà senza avere lasciato profonde traccie nel nostro plasma so– ciale. E guai a chi si attentasse di violentarlo, di imprigionarlo nelle ritorte delle vecchie leggi, ap– profittando di episodi, che necessariamente le supe– rano. Qualunque attentato reazionario si rivolgerebbe spaventevolmente contro chiunque l'osasse. Per quelli che come noi non possono essere direttamente nella lotta un dovere è pure segnato. Vigilare la libertà ; sostenere, contro tutti i concussori, il diritto che si afferma; rispettare religiosamente la volontà dei fratelli nel loro rude cimento-.. CLAUDIO TREVES.

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