Critica Sociale - XXIII - n. 17 - 1-15 settembre 1913

258 CRITICASOCIALE Per verità, il De Viti, nel suo p1·ograrnma di a:;ione democ1·atica (!), non cela del tutto a se stesso il termine " Stato ,,; ·intuisce che tanto più è libero scambio, quanto meno caro è il costo dello Stato. Non perciò rinnega egli la Libia, nè il mi– litarismo, terrestre, marittimo e aereo. Oibò! Su un solo capitolo sono da sfrondare gli sperperi che il nostro professore rimprovera allo Stato .... e ai socialisti: sul capitolo " legislazione sociale ,,. Ai suoi occhi, andando dai " favori alle Coopera– tive " (quei famosi "favori " che consistono, come fu riconosciuto perentoriamente, nel salvare l'Erario dalle ladrerie degli imprenditori, e dalle inverosi– mili incurie della burocrazia, che si decide a rin– forzare gli argini dei fiumi dopo che la piena ha devastato i paesi) ai quattro soldi per l'Ispettorato . del. Lavoro, quel capitolo assume proporzioni in– definite e fantastiche .... Insomma, quanto costa in. soldi e denari? Il nostro economista è prudente e si astiene dal conteggiare. Ma, se l'on. Tedesco proponesse di cancellare dall'uscita queste appo– stazioni, compresa la prodigalità di tutti i con– corsi dello Stato alle Casse di maternità, di previ– denza, di disoccupazione, ecc., ecc., diurna e not– turna cura di Angiolo Cabrini, cancellando in com– penso dall'entrata il provento delle dogane, ossia liberando da ogni gravezza tutto il· grano., tutto il ferro, tutto lo zucchero, tutto il caffè, e via di questo passo; l'on. De Viti De Marco stimerebbe seria la proposta, o non vi vedrebbe una burla? Eppure, cancellate le spese della legislazione sociale, nel programma democratico dell'on. De Viti, il libero scambio si combina perfettamente col nostro bilancio imperialista. E son queste le mi– stificazioni libero-scambiste della nostra demo– crazia, che non capirebbero nei cervelli "grossi ,, dei classici libero-scambisti democratici inglesi. Quando Chamberlain si convertì all'imperialismo, ebbe almeno la delicatezza di piantare in asso il libero scambio. Anche l'apostasia ha certa sua coe– renza, che ne forma, a così dire, la relativa ri– spettabilità. Neppur questo sente la democrazia italiana, nella viltà demagogica in cui si sommerse dall'ultimatum, alla Turchia in poi, e perciò è cosi poco rispettabile, e perciò le sue formule solenni suonano così vuote! Proprio così come confessa lo stesso nostro Autore, tirando (ne ha almeno il sospetto?) sassi in piccionaia: " L'insuccesso della politica liberale, o piuttosto della politica fatta in Italia dai partiti liberali - che spinge tante coscienze alla ricerca di formule nuove - è in_: successo di idee o di uomini? A mio parere, noi ci troviamo oggi in Italia in presenza di una crisi non di programmi, ma di partiti: della crisi dei partiti che hanno conservato il nome e obliato il contenuto del pensiero liberale ,,. Non· si potrebbe dir meglio della crisi dei par-– ti ti, che hanno conservato il nome del libero scam– bio, e obliato tutto il contenuto solidale e com- - patto del pensiero liberista, che -è·antimilitarismo, antifunzionarismo, Stato a buon mercato, semplifi– cato e decentrato nei congegni e nel funziona– mento. " Decentramento ,,: parola dal contenuto diame– ti·almente antitetico all'unitarismo forzato al gia– cobinismo nazionalista. Libertà e decent~amento sembravano la coppia ideale per oo-ni onesto libero– scambista democratico. Ora non più, non più. Il "programma democratico,, di A. De Viti De Marco denunzia le .leggi regionali, le leggi, anzi quasi provinciali - per Napoli, per la Basilicata,' per la Sardegna, per la Calabria - non già per l'intrin– seco loro, ma perchè " le leggi spe.ciali hanno avuto verso il Mezzogiorno la stessa funzione politica, che le leggi sociali verso il proletariato: le une e le altre hanno concesso favori particolari rispetti– vamente a una provincia o a un gruppo, per im– pedire e allontanare Ìe riforme a benefizio di tutto il Mezzogiorno e di tutto il proletariato ,,. Se non è questo il più classico esempio di " invidia gia– cobina ,,! O tutti o nessuno. Che vuol'dire nessuno. Ossia, su ogni gruppo e su ogni centro che si muova, rovesciare la greve mora dell'universale immobilità, perchè anch'esso sia paralizzato, giusta l'ideale mummificatore del perfetto conservato– rismo . .Questa buona democrazia,. così nazionalistica– mente unitaria ed egualitaria, che crede di mili– tare per "la difesa del maggior numero ,, per ciò solo che si volge contro le minoranze d'avanguardia che rappresentano la classe proletaria; questa·. buona democrazia, lo sappia o. non lo sappia, lo voglia o non lo voglia, .è destinata a servire tutte le ca– morre, che hanno il toupet di dichiararsi il " mag– gior numero ,,, iclest la nazione. Dagli scrittori na– zionalisti e (trattenete, S/3 vi riesce, le risa per lo scherno della cosa) libero-scambisti, non fu già il– lustrata l'impresa libica come la più cospicua fac– cenda della " nàzione ,, , in antitesi alle 1•ifo1·nie sociali (ivi compreso l'allargamento del suffragio?) che sarebbero reclamate ,dai socialisti ·come €1Sp1'es– sione degli interessi di gruppi proletari privilegiati? Dove noi vedemmo burocrazia militare e civile, bagarinaggio bancario, appalti da .... Palazzo di Giu– stizia e altre utilità particolari, essa vide e vede .... " il maggior numero,,! Beati quei che si conten– tano, e trovano " il maggior numero·,, sottraendo i lavoratori, e parlano di p!l,tria escludendone men– talmente gli uomini che non hanno nè rendite, nè capitali, ma soltanto un ventre da riempire con l'aiuto di due braccia operose! Ecco quello che co– stituisce ·democraticamente, come si esprime il De Viti De Marco, "un partito italiano,,, che pro– pugni "la soluzione liberale» dei grandi problemi della politica generale ,, ! · Alla stregua del quale, l'unica raccomandazione, circa le faccende della Libia, è che la politica do– ganale non vi si .abbia qa sviluppare come un co– rollario del protezionismo industriale. Pio, piissimo desiderio! Poichè, se non si pensi che alla Libia qualche miliardario legherà i suoi milioni .per av– viarvi industrie e chiama1·vi operai, interessati alla vita a buon mercato, e se essa non è altro, come di fatto palesemente non è, che un pezzo assai più vasto di Mezzogiorno, aggiunto al nostro Mezzo– giorno continentale, essa altro non sa1;à, perchè altro non potrebb'essere, che .una speranza di co– lonia di smaltimento di cotonate norditaliche, un prolungamento del campo meridionale di sfrutta– mento per la industria nordica; e questa, unica prospettiva possibile di sfruttamento condanna fin" d'ora razionalmente la Libia al regime del prote– zionismo industriale. Già le fabbriche di fez, infatti - sapete che ce ne sono quattro o cinque in Italia? - fin dal principio della occupazione, si affaticarono a sostenere che bi– sogna torcere il collo aglLArabi e ai Beduini, che non comperassero da esse i loro copricapo. Era alfine un " obbiettivo ,, dato alla conquista. E non dispre– gevole, dappoichè il libero scambio, povero e solo 13 sprovvisto di capitali, non glie ne dà nessun altro; il libero scambio, povero e solo sproy'visto di capitali, indica ai lavoratori d'Italia la via ..... dell'America, "dove si trova lavoro,,. E in ciò sta la condanna capitale dell'impresa). compiuta da una nazione così povera di capitali, da non bastare a' trattenere i lavoratori in patria. Come la stessa potrà trattenerli .... in Libia?

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