Critica Sociale - XXII - n. 21-22 - 1-16 novembre 1912

CRITICA SOCIALE 329 che non è un imbécilJ.e, fu proclamato .Ja più for– midabile requisitoria contro la guerra, pronunciata da un conservatore; dal Corriere della Sera e da tanti ne fu invece ritenuto la più nobile apologia. Tale è, ci affrettiamo a <lirlo, la sorte che {>pesso tocca alle cose meglio pensate; ognuno ama procla– mare che dànno ragione a lui; in r!?altà, esse si ele– vano al di sopra di tutti. Nel caso sp,eciale, per al– tro, per le ragioni che verremo• or ora sv•olgendo,, a noi sembra che !'on. Turati abbia anche più ragione , di qu,e-1che glie ne accordi l'organo ufficiale del suo stesso partito. Questo infatti si limita a far osservare che il Villari non solo riconosce che le ragioni degli avversari della guerra non sono risibili, ma non tenta neanche di confutarle e, per tutta risposta, si limita ,a giustifi– care la guerra dicendo che il mondo non l'abbiamo fatto ·noi, ,che esso non è retto dalla logica e che il meglio da farsi si è di trarre da esso (e dalle guerre che non si riesce a scongiurare e che ci vien fatto di vincere) il miglior profitto possibile, riparandone -con opere di civiltà gli orrori e gli errori; il giornale so– cialista, cioè, toglie ogni valore a quella ch'esso chia– ma filoS-Ofiadell'avvenire della guer·ra. Ora, anche su questo punto, pur prescindendo dal caso spe– ciale della guerra italo-turca ora fortunatamente ter– minata, noi non riteniamo si debba senz'altro darla vinta al Villari (1). Anzitutto, se è vero che il mondo non l'abbi.amo fatto noi, è anche vero che noi pure contribuiamo a farlo; •e, se è ve,ro che la logica non lo governa da sovrana, è pur vero che noi giudichiamo un.a ,età o una nazione o una persona più progredita d'un'altra, nella misura che ci riesce possibile scorgere in essa una maggiore armonia e, consistenza ragionevoJ.e, una maggior dose d'ordine insomma, una sistemazione deHa vita in cui i •conflitti d'interessi siano risolti in s!?mpre più vaste armonfe, mercè la discussione e la capacità di guardarli da un punto di vista più altò; ed è pur vero che, nel mondo umano, ciò che non è logica, è pazzia. Se, pertanto, il dire ,che il mondo non !',abbiamo fatto noi ,e che la logica non lo governa v,olesse pre– tendere ad essere una apologia della guerra; do– vrebbe significare che è inutile gloriarci di es.sere più dviii di altri e che è vano credere nel progresso; e così verrebbe meno anche ogni giustificazione ideale d'ogni impr,esa <li conquista. E non si può attribuire al Villari questo concetto. Tanto più che il Villari non ha se non questo pensiero - ,che il mondo non l'abbiamo fatto noi e non è governato dalla J.ogica - da opporre a quanti si sforzano a far sì che i risul– tati, fin qui ottenuti per via delle guerre, si otten– gano altrimenti, e a quanti lamentano che la guerra •su&citientusiasmi che motivi più nobili non riescono a destare e a mantenere durevolmente. Se ta,l 'Pen– siero fosse una apo:Jogia, ognuno, di fronte ad ogni propria debolez:z,a od impulsività, di fronte a ogni delitto o colpa, potrebbe invocarlo dicendo: non sono io che mi sono •creato così; sono quaJ.e mi han fatto; non sono tutta logica. Ed è ovvio che, ove si accet– tasse cotesto criterio, non vi sarebbe più posto per educazione, per morale, per codici, l}er colpe o per meriti, ma solo per gli ospedali e per i manicomi. E, se non è una apologia, esso si risolve in una • tautologia; •SÌ risolve nel dire che dò che avviene, av– viene pe11chè la natura umana è quello che è; è un giustificare il fatto col fatto, ossia un rinunzi,are a sottoporlo al tribunale della ragione. Il dire ·allora che la guerra non è totalmente da condannarsi ed è anzi giustificata se essa ed essa sola unisce cuori ,e rinsalda anime come niun'altra cosa mai, si risolve nel dire, non che la guerra sviluppa o rivela vette eccelse di •carattere umano non altrimenti sviluppa– bili o rivelabili, nel che starebbe la sua giustificazione e quella degli stessi errori e delitti donde sì spesso scaturisce; ma bensì che l'umanità è intellettualmente e moralmente sì ottusa, da non sapersi procacciare (e da preferir di comperare) certi vantaggi econo- (!} Appena necessario avvertire che, secondo noi, la guerra, non dlclamo Italo-turca, ma la g1<e1·,·a di Libia - Insomma la vera guerra - è appena appena, orR, sul r.omlnclare, Questo è anche del resto l'avvlao, nena P,·epat·aztnne, del co1onnello Barone, ohe dt queste materie deve Intendersi un pò. (Nota <leita CRITICA). m1c1, sociali od etici indiscutibili, se non con la guerra; la fatalità delle guerre è insomma la mi– sura non ,del nostro valore, ma della nostra debo– lezza. Tanto più che la guerra mette in azione solo a grandi intervalli quelle virtù di disciplina, di sa– crifi,cjo, di autodedizione, di tenacia, di coraggio, di organizzazione, che viceversa, nella vita op•erosa del mondo mod,erno, sono quotidianamente, continua– mente, silenziosamente richieste negli. opifici, sui c;impi, nei laboratorii scientifici, nelle marine mer– cantili, negli ospedali, nelle miniere. È un assurd,o cr,edere che, ad es., nel mondo del– l'industria e del lavoro, unico o principale motivo sia il motivo economico; il vero si è che l'imprençlitore e l'operaio sono qualcosa più che solo o principal– mente impr,enditore ed operaio: essi sono anche so– pratutto uomini, esseri che amano qualcuno o qual– ·cosa, che lavo,rano e si stillano il ·cervello per ren– dere felice una· famiglia o attutire e placare dolori; ,e che coloro i quali, tra essi, riescono meglio, sono coloro che meglio amano la loro opera quotidiana e, lungi dal vedervi solo un me,tiere, vi veggono una scienza, un'arte, un modo di servire l'umanità. V'è quindi un soffrire, un sacrificarsi, un agoniz– zare e un morire quotidiano, ,non drammatico, ma più profondò d'ogni eroismo bellicoso; un eroismo che la guerra sospende e fa deprezzare a tutto bene– ficio, d'un altro, che si presta a div,enire teatrale e rumoroso. E, per ,co,nto nostro, non possiam9 non continuare a ,cred,ere che, sotto il bisogno delle nazioni - bi– sogno di cui non discutiamo l'esistenza, ma di cui stiamo discutendo il valore comparativo, fa qualità --:---di tener alto il prestigio militare o di conquistar– ,selo - stanno due esigenze di carattere ben diverso: -l'una, legittima, quella di rendersi indispensabili, in– sostituibili, pe.r qualche dote unica, nella vita mon– diale, che acquisti alle nazioni stesse rispetto •ed onore; e chi ,scrive non ha difficoltà ad ammettere che, ad es., il diritto per un popolo a governarsi da sè, e :a vivere secondo il suo genio, è uno di quei va– lori, di fronte ai quali nè la pace è il supremo bene, nè la guerra il sommo dei mali, ov',esso si.a violai.o o minacciato. · La seconda esigenza è 'di ben altra natura: essa è. per le ,nazioni, 'Ciòche, per gli individui, è la vanit.ù; è l'ambizione di voler parere ,e di cred•ersi - sopra– tutto forse di credersi - non inferiori agli altri, non già solo nelle arti, neHe scienze, nelle industrie, nelle , l,e,ggi, e nel tutelare i propri diritti, ma ,anche e so– pratutto nella prepotenza, nella pompa e mostra d,el potere. Altrettanto sono giustificabili e sa,nte le guerre det– tate dalla prima esigenzp ,e che approdano, a una espansione del regno del diritto, quanto sono folli .J.eguerre scatur-enti dalla seconda; e, in ogni caso, sì le prime che le seconde• non sono cause od occa– sion.i di progresso, sibbene ritardi, in quanto esse nascono dalla irragionevolezza di qualcuno e consa– crano, a superarla, energie e Yirtù, altrimenti dedi– cabili a loUe contro la natura e pel progresso sociale e cu'1lurale umano. ANGELO CRESPI. L'immoralità della '' morale sessuale ,, Replicri a Rori,olf'o Monàolfo Eccoci a replicare - dacchè ne facemmo promess1 - all'ami-co Rodolfo Mondolfo. Egli dunque - i let- 1,ori rammentano ~ interpone formale appello dalla nostra sentenza, la quale nel culto, da lui professato, della « purezza P ch'egli chiama «prematrimoniale» ravvisava l'esaltazione d'una «virtù seminaristica», re– pugnante alle leggi più fondamentali della vita fisio-lo– gica; e nella sua avversione al neo-malthusianismo denunziava un residuo, sia pure inconsapevole, di pre– concetti religiosi, rispecchianti una morale che h:i perduto ogni ragion d'èssere ai tempi nostri. Ma Ro- *

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