Critica Sociale - Anno XXII - n. 17 - 1 settembre 1912

CRittéA SOCIALÉ 26$ · che ~ come accadde a Pleasa nel luglio del 1905 - · .entra nel borgo, dèpreda la chi-esa romena e vi af– figge un bando comminante la morte a chi faccia dichiarazione o atto di romenità. Ora è il maestro, il· « didascalo » che fa chiudere le .altre scuole con l'intrigo e la corruzione; ora è cc-desposta», cioè il ve– scovo che commina 'pene spirituali ortodosse non che temporali turchesche a chi vada. a scuole italiane o romene. E la gente, se non ·vuol avere fastidi, dev-enei censimenti (quelli. che si fanno!) dichiararsi· greca; cosi la Greçia vanta poi dinanzi all'Europa i supremi diritti dello ellenismo - ahimè! del secolo ventesimo - sopra la regione al nord dell'Epiro e della mal tentata Prevesa; dove - se non lo sapete - scorrono l'Acheronte e il Cocito, nomi paurosi! Tali essendo le condizioni di civiltà o di inciviltà, che da questo libro appaiono, e di prospetto per i Romeni, e di scorcio per tutti gli altri, mi vien fatto , di peo,sav~ (e questo è il nesso ideale.del mio diseor– so) se non si debba indurre a un senso più realistico e attuale la discussione tutta di principio che si è .fatta sopra il famoso «decentramento». Anche l'Avanti! ha accolto da prima l'appello dello Jaurès e l'ha teorizzato di poi: benéhè non si dimostri troppo conseguente, allor che è « decentralista », cioè per le nazionalità, n'ei riguardi dell'.Austria, alla quale in un trafiletto giustamente rimprovera l'oppressione ga- · liziana e la reazione contro i tentativi di ribellione di Cracovia.· ·E sì che l'elemento tedesco nell'Impero autriaco rappresenta una forza politica e civile senza dubbio superiore alle altre razze, · escluso (senza chauvinisme!) il « latin sangue gentile». Può dirsi altrettanto delle orde osmaniche èhe han– no, dal duecento in poi, diserta la fiorita civiltà araba e la 'raffinata bizàn~ina; usurpando da· l'una e da l'altra sapere, letteratura, religione, arti civili, quasi anche la lingua, senza aggiungervi che il torvo ba– lenio della scimitarra? Questa sovrapposizione d'una minoranza guerriera, su di un fondo di popolazioni pacifiche e civili, è ùn fatto non raro nell'oriente: or ora la Cina scosse il giogo mancese, come gli arabi tentano, « Italia adiuvante», di scuotere nello Jemen quello ottomano. Ecco il· punto che, secondo me, im– porta di fermare. Possiamo credere• che l'elemento turco serva ai fini superiori della civiltà, meglio che un libero rifiorire dell'antica razza illirica, sopravvi– vente negli albanesi, o della plasmabile razza slava, accennante dalla giovinezza bulgara e serba, o ·de– gli zoppi e dritti valawhi romeni, o d,ei molel'oi elleni? · Porre, come fanno, per contrari fini, l'Avanti! e il Bissolati, una questione isolata di progresso o di regresso, in questi quasi fatali avvenimenti, mi sem– bra, non oso dire erroneo, ma certo ozioso. Se prima di filosofare occorre vivere, la Turchia di Kiamil pa– scià, cedendo alle imposizioni albanesi, ottiene d'a– vere con sè per amor~ e interesse chi non può avere in sè per forza; ciò che è condizione essenziale di vita è soltanto « necessario » e sfugge ad ogni san– zione etica. D'altra parte, se l'impotenza unitaria di quelJ.a, che l'Avanti! molto benevolmente chiama una élite idealista, rivela lo stato arretrato della vita so– ciale turca, sarebbe (come forse è stato) un mero anacronismo questo precorrere tempi immaturi e da,re l'unità a ciò che è in una. fase di vita locale. Nella vecchia Italia quanto ci abbiamo messo, in tanto mag– giore uniformità di razza, ad essere uni - come poe– tando diceva il Manzoni? Se non che - per. ritornare ai nostri zoppi cugm1 - comunque. vada la cosa, andrà sempre male per quei disgraziati ciobani, inermi tra gli Albanesi ar– mati dall'arrendevolezza del Gran Visir. L'autonomia locale segnerà per essi una più aspra éra di oppres– sione. Ricordo d'aver visto una matura pulzella riscat– tare un bel gatto dalle tagliole d'un monello: il pie– toso atto non deve aver rallegrato i topi della con– trada. Non c'è accrescimento di forza senza un fatale olocaustçi di preda. Blando pessimismo, che la storia civile, non meno della naturale, ci apprende. ENRICO °CARRARA. LARIFORMA ELETTORALE INFRANCIA II., LA PROPORZIOHALE nEI PROfi TTI nmE COMMISSIOnl (ottobre 1909-marzo 1911). 1) La sit-ua~·lone pat•lamentare. Senza riandare tutte le vicende parlamentari della passata legislatura, che, del resto, io ho esaminate nel volume da me dedicato all'esame della Rappre– sentanza proporzionale (1), basterà ricordare che quella legislatura, terminata nel 1910, aveva già ve– duto la vittoria teorica della R. P. lnfalti, nell'autun– no del 1909, venuta in discussione la Relazione della Commissione del Suffragio universale su varie pro– poste di legge di iniziativa parlamentare, dopo un di– battito elevatissimo durato dal 21 ottobre all'8 novem– bre, al quale parteciparono ventiquattro oratori, la Camera approvava il passaggio alla discussione de– gli articoli con 382 voti contro 143: poi, discusso l'articolo 1 °, la proposizione: « I membri della Ca– mem dei Deputati sono eletti a scrutinio di lista ... » fii approvata con 379 voti contro 142; e la proposi– zione seguente: « secondo le regole della Rappre– sentanza Proporzionale » raccolse 281 voti con– tro 235. I proporzionalisti trionfarono, poiché la vittoria pareva ormai già conseguita; ma il Briand, allora Presidente del Consiglio, chiese che l'insieme del– l'articolo fosse respinto, appellandosi alla maggio– ranza repubblicana e ponendo la questione di fidu– cia·. E la Camera, per ragioni di opportunità parla– .mentare, disdicenclo ad un'.ora di distanza il proprio voto, r.espinse l'insieme dell'articolo con 291 voti ' contro 225: così, essendosi in fine di legislatura, fu pel momento differita ogni decisione. Ma si com– prende bene che la questione della riforma elettorale con la R. P. era ormai posta in tal modo dinanzi all'oJ?inione pubblica, che non era più possibile elu– derla, e infattì essa costituì una delle basi fonda– mentali delle elezioni generali della primavera del 1910, le quali mandarono alla Camera una maggio– mnza di proporzionalisti. Appena inauguratasi la legislatura, venne costituito il Gruppo proporziona– lista che, il 2 giugno 1910, risultò composto cli ben :n8 sui 597 membri dell'Assemblea. Il Ministero Briand, sébbene a malincuore, non poté dunque esimersi - poiché aveva dichiarato c.he la riforma elettorale era materia tale da non ;iote r essere sottratta alla responsabilità della ini- (I) GINO BANDINT: La Rlfo•·m« eleUornle con la Rapp.-estt1ta>1zn p,·opo1·z1onale t1tlle elezi'{"I politiche. - Roma, Società Ubrarla edi– trice nazionale, 1910(L. 8~ - Questo volume, di pagine 612, è Indub– biamente la trattazione sistematica pili complete ed esauriente cbe do noi si conosca sull'argomento,'\ (Nota della CRITICA).

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