Critica Sociale - XXI - n. 23-24 - 1-16 dicembre 1911

368 CRITICA SOCIALE che cosa di più del valore che animava i vecchi eroi della leggenda; ci vuole un profondo senso di patriot. timo, bisogna sentirai figli della patria e partecipi dei suoi benefici; e questo voi non otterrete con le leggi di reclutamento, ma lo avrete con la scuola, con la civiltà, con lo Stato educatore e riformatore e padre di tutti. Perciò vi neghiamo il voto: perché quando, o amici radicali, voi date il voto a questa legge, voi incorag- giate. questo indirizzo. Quando noi vediamo i nostri emigranti respinti dall'America, krumirizzati in Prussia, onorevole Tittoni, malgrado le alleanze e le armi; noi pensiamo che gli italiani, più che di difesa di navi e fortilizi, avrebbero bisogno di possedere quella, che è sempre la migliore di tutte le difese: la difesa che ciascuno trova in se stesso, nel proprio valore, intel- lettuale, morale, civile, economico. Conclusione. — La classe operaia e le riforme. — — Sconforti ed auguri. Io chiedevo da principio: di chi la colpa se siamo vinti senza aver combattuto? Il mio discorso contiene la risposta. Egli è che il pregio delle riforme civili non è• ancora abbastanza sentito dal nostro popolo. Colpa nostra e vostra: colpa della storia. Noi siamo dei prematuri, noi riformisti, amico Bissolati; questa è la verità. La classe operaia, che proclamò tanti scioperi gene- rali per motivi sentimentali, e con ciò logorò l'armo formidabile, non ebbe un fremito oggi, che si tratta di incagliare ad essa tutto il suo prossimo avvenire (Rumori). Colpa, ad ogni modo, di cui tutti pagheremo il fio. Ahimè! Mentre voi armate, i tempi maturano, le co- scienze si evolvono, l'inconscio diventa consapevole, si fanno anche dei salti nella storia, e voi vi sveglierete un giorno, bruscamente, onorevoli signori della mag- gioranza e del Governo, e sarà tardi; perché voi avete dolcemente immaginato (qui sta l'equivoco fondamen- tale) che in queste quattro miserabili pareti sia il paese. Voglia il destino che queste nuove armi non provo- vochino guerre sfortunate (Mormorio); ma sopratutto voglia il destino (ah! io non ceco una chiusa ad ef- fetto che provochi gli applausi; io dirò parole profon- damente antipatiche, le sole però che rispondano alla mia coscienza in quest'ora), che queste armi, che pre- parate, non dobbiate, prima che al confine, avvenendo quel brusco risveglio che vi ho accennato, non dob- biate rivolgerle contro petti di cittadini italiani! (Vi- vissimi, replicati e pro,ungati applausi all'Estrema Si- nistra — Coinmenti prolungati). MEllAIN E BEIREIMITATO III ROMANA Con questo numero l'on. Graziadei riprende questo suo studio, che aveva interrotto -- dopo il fascicolo di f- maggio - per cagioni di salute, e che altre urgenze di lavoro gli avevano pii impedito di tosto ripigliare. E ci promette che lo condurrà al termine con la mag- giore celerità e continuità possibile. Della qual cosa gli saranno grati quanti — e sono molti, anche fra gli studiosi - si interessarono a una trattazione, nella quale l'amico nostro porla una com- petenza innegabile, e si erano, dell'interruzione, doluti con noi. Pensiamo debbano essere lieti anche e sopratUtto co- loro, che non condividono il punto di vista dell'Autore; ai quali questo studio darà — speriamo -- occasione a una polemica serena e non infeconda ('). La C. S. V. I mezzi di miglioramento e di emancipazione per i coloni. Sono principalmente due: la resistenza e la coo- perazione. Abbiamo già esposti i motivi, per i quali l'azione di resistenza incontra, presso i mezzadri, limiti molto ristretti, e per i quali, di conseguenza, l'armo più appropriata alla loro situazione particolare diventa la cooperazione. Occorre però — a scanso di errori, che potrebbero danneggiare gravemente il promettente movimento, che già si verifica in varie parti della Romagna — stabilire e in pratica osservare la gradualità delle forme, che lo sviluppo della cooperazione dovrà as- sumere da parte dei mezzadri. Alcuni degli organizzatori e degli scrittori, che guidano ed interpretano il movimento dei mezzadri, affermano che questi devono mirare all'assunzione e alla conduzione diretta delle terre. Ora, a nostro credere, un fine siffatto non solo rappresenta un fine massimo, ma un fine che non potrà essere utilmente e sicuramente raggiunto, sulle terre oggi lavorate dai mezzadri, se non in quanto essi cessino di rimanere tali, e divengano, invece, o soci di affittanze collettive, o piccoli proprietari. I mezzadri, sinché conservano le loro attuali ca- ratteristiche, devono, sì, dividere la metà del prodotto col proprietario, , ma trovano in questo un socio, il quale, se sarà più o meno veritiero ed intelligente, in ogni caso offre loro una prestazione per se stessa gratuita, e li dispensa da ogni particolare spesa di amministrazione. Il " padrone „, inveih, gode della metà del prodotto del mezzadro perché è il proprie- tario della terra, non perchè sia l'amministratore dell'azienda. I mezzadri dunque — se volessero gestire coope- rativamente i terreni, che oggi occupano, pur con- servando la condizione di mezzadri e continuando perciò a cedere ai proprietari la metà del prodotto annuo — dovrebbero gravarsi delle spese generali di amministrazione, che la loro nuova forma di or- ganizzazione necessariamente richiederebbe, e alle quali prima sfuggivano. Essi, così, andrebbero in- contro ad una spesa maggiore, che solo un notevole aumento della produzione — dovuto al fatto stesso della conduzione collettiva — potrebbe compensare. Sul terreno che lavorano, senza che sia di loro proprietà, i mezzadri non possono dunque iniziare utilmente una produzione associata, se non trasfor- mandosi in soci di una affittanza collettiva. Solo al- lora la parte del prodotto, che andrebbe al proprie- tario, rimarrebbe fissa per l'intero periodo del con- tratto — periodo ben superiore ad un anno — e l'orga- nizzazione cooperativa — usufruendo, nell'intervallo, di tutto l'eventuale aumento della produzione — tro- verebbe il margine necessario per far fronte alle particolari spese che importa. Si noti ' inoltre, che la gestione associata della at- tività più strettamente agricola offre le maggiori dif- ficoltà, perchè è la più difficile, e quindi — secondo l'esperienza insegna anche nel caso dei braccianti, i (i) sebbene non possa dirsi neopur oggi venuta meno l'attualità del fenomeno romagnolo che è oggetto di questo studio, tuttavia l'essersi esso, nell'intervallo, almeno temporaneamente disaisprito ci consiglia a passare questi articoli nella Rubrica Studi economici. (La C. S.)

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