Critica Sociale - XXI - n. 23-24 - 1-16 dicembre 1911

• CRITICA SOCIALE 387 • Eppure, anche in Francia, il fervore revanscisla, ad opera sopratutto dei socialisti, é quasi svampato. Ma l'Italia, l'Italia! Quali profondi antagonismi vitali, decisivi, colle nazioni vicine? (Rumori). E ancora, onorevoli colleghi, io capirei se si trattasse dell'Italia di un tempo di poco dopo il 1860, quando congiunse a se la Venezia, avvilendo l'Austria, quando era ancora aperta la ferita di Roma! Ma oggi, dopo -cinquant'anni, la posizione è ben altra. Vi sarebbe un'altra spina: Trento e Trieste ; ma le abbiamo già liquidate. Voi del Governo, voi conservatori, ci insegnaste che era saggezza non pensare più a riconquistare con le armi Trento e Trieste. L'irredentismo è tramontato. Lo compose nel tumulo, sono poche settimane, uno dei suoi figli più nobili, Sal- vatore Barzilai, nella nota intervista con un grande giornale tedesco. Ed oggi Salvatore Barzilai ne ha can- tato l'epicedio. (Vivi rumori). Voci, No, no! TURATI. Opportuna saviezza questa, voi c'insegnaste; e che, forse, ai malati di sentimentalismo, potè anche parere tradimento e viltà. Ma allora? Se neanche questo può darci sicurezza di pace, a che pro avremmo rinunziato? Noi non siamo nè un popolo militare, mi un popolo colonizzatore. Abbiamo l'Eritrea, è vero, e un tratto della Somalia, ma le manteniamo per snobismo, come una famiglia nobile tiene una villa, a cui non va mai. Siamo capaci di ardimenti garibaldini, ma incapaci di soffrire la careeraria disciplina della caserma. Diven- tiamo ottimi pionieri di civiltà in America, ma non siamo soldati. E ci ostiniamo a voler diventare quello a cui siamo negati; facciamo come il Petrarca, che quasi rinnegava i suoi divini sonetti e teneva in gran conto il poema latino, l'Africa, che nessuno ha mai letto e compreso! Perchè arrestarci alla spesa attuale. — L'esercito e la scuola. A un'ultima obiezione debbo rispondere : — "Se voi ragionate così, perché nel vostro ordine del giorno invitate il Governo a presentare una riforma degli ordinamenti dell'esercito, la quale, meglio assicu- rando la difesa del paese, consenta di rimanere com- plessivamente entro i limiti della spesa annua attuale? Perché non domandate una riduzione di spesa ? „ Io ho già risposto fugacemente, a più riprese, nel corso del mio dire. Innanzi tutto, pur non credendo alla possibilità di invasioni non provocate; poiché questo timore esiste e non possiamo svellerlo da tutti gli animi, penso che un tanto di armi organizzate può essere un buon punto di appoggio per preparare la rivolta, non oso dire la guerra; per fare che all'invasore debba costare assai cara l'impresa temeraria, e sia svogliato dal tentarla. Poi, ho già detto che anche la neutralità, per essere messa a prezzo, deve essere armata. Inoltre, poiché ogni cifra globale è arbitraria, quella, che rappresenta la spesa attuale, è la meno arbitraria di tutte: l'esperienza ci ha detto che noi, per quanto a stento, questa possiamo sopportare. Nè noi siamo così feroci da volere spossessare di un colpo i figli della borghesia delle posizioni occupate nell'esercito, nè da gettare, d'un colpo, sul lastrico migliaia di operai che sudano nelle officine che preparano allo Stato le armi e le navi. E, infine, v'è un'altra ragione; noi, che non siamo her- veisti, ammettiamo che l'esercito possa essere, oggi an- cora, uno strumento di unificazione nazionale, una Croce Rossa pei disastri impreveduti, ed anche una grande scuola della nazione, purchè davvero lo sia; purchè non si veda, quello che ha denunziato Camillo Corra- lini, l'analfabetismo discendere nel paese e crescere nell'esercito; purché sia democratizzato sul serio; pur- ché si avveri il sogno di quel blando utopista di Raf- faele Avventuriero, il propagandista ostinato dell' " au- tomilitarismo „, poi quale almeno cento milioni dovreb- bero essere tolti alla guerra per darli alla scuola; al- l'on. Spingardi per darli all'on. Rava, che li rifiuta; alla scuola prolungata, preparatrice dell'esercito, adde- stratrice dei forti muscoli e delle forti volontà, onde le ferme brevissime e la resurrezione economica della nazione. A questo patto e per questo uso vi daremmo i cento ed i duecento milioni! Riorganizzazione militare necessaria. — La Commis- sione d'inchiesta. — Le difese che occorrono. Ed anche ve li daremmo — una volta — per riorga- nizzare l'esercito, riducendolo, ossia risanandolo. Parche noi vogliamo la riforma militare. Il nostro assetto mi. litare somiglia a quello di un industriale che, avendo un Milione da spendere, lo gitta tutto nell'edificio della sua fabbrica, e non gli restano più i fondi per l'eser- cizio; e per questo fallisce. Voi pretendete un milione, un milione e duecentomila soldati in tempo di guerra. Assai meglio contentarsi di mezzo milione, ma che costituissero un organismo agile e vivo, pronto ad accorrere al bisogno (ricordate Reg- gio e Messina!), che obbedisse celere al comando come il pugno obbedisce al cervello. La Commissione d'inchiesta non ci propone nulla di simile: e qualcheduno ci osserva che le sue decisioni, cui consentiva un dei nostri, hanno impegnato anche noi... Ah! no, noi non abbiamo mai dato, nè alla Commis- sione, nè all'on. Sacchi, il mandato di proporci provve- dimenti che segnino la rovina della democrazia italiana. Se glielo avessimo dato, ciò che non è, gliele ritorremmo oggi! Non proponendosi la pregiudiziale economica, sfug- gendo ad ogni preciso criterio di politica estera, a cui dovrebbe subordinarsi l'apprestamento guerriero, rifug- gendo da ogni profonda riforma per evitare il perdi- tempo di necessari adattamenti, la Commissione d'in. chiesta ha fallito il suo cómpito. E tanto peggio per lei! Non dev'essere tanto peggio per la nazione. Bisogna quindi restringere i quadri. Limitare la forza bilanciata. E allora — io promisi un'ultima risposta al generale Mazzitelli — allora avremo anche i soldati; che erano quella piccola cosa, che mancava a tutto il suo bell'edificio! Avremo i soldati cittadini, soldati che sapranno combattere, che non saranno dei nani, nè dei deficienti fisici o morali, non saranno degli analfabeti. E allora avranno anche quel valore militare, che oggi è necessario, e senza il quale nessuna battaglia si vince, parche, e me ne appello al ministro Spingardi, noi non siamo più ai tempi delle battaglie o del medio evo, quando c'era il corpo a corpo, e quando i poeti cantavano le gesta. Oggi la polvere senza fumo, la mi- traglia a distanza di chilometri, che vi fa cader a terra i compagni come colpiti da un fato misterioso, non ec- cita più il coraggio primitivo dell'uomo; e allora l'istinto umano non è quello di rimanere, è quello di appartarsi; allora, per saper rimanere e proseguire, ci vuole qual-

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