Critica Sociale - Anno XXI - n. 21 - 1 novembre 1911

334 CRITICA SOCIALE te, tutte le colonne di cifre, ch'egli, nel periodo storico considerato, scombiccherò sulla carta — forse sulla carta d'ufficio (e meravigliatevi poi se la ferrovia non dà avanzi!) — alternando le matite e gli inchiostri, fro- dando le ore del sonno, e del pasto, per tentare, ri- tentare, correggere, far danzare i coefficienti, tener conto di tutti i consigli che altri gli dava e che, ahimè!, provocava egli stesso, con l'accanimento onde egli solo è capace — le tavole dei logaritmi possono andare a nascondersi, ci sarebbe da coprire di fettuccia tutto un meridiano terrestre, da segnare distanze a dirit- tura astronomiche. Ma gli innamorati — si sa — ignorano la stanchezza ed il tedio. L'uomo-cifra doveva estenuarsi, più paziente d'un benedettino, più testardo d'un mulo, con la tenacia impassibile che è delle forze naturali, con la mono- tonia inesorabile della goccia che, cadendo, cadendo, scava il quarzo, incide il macigno — meglio, scolpisce il cristallo, suscita la stalattite, che ricama e popola le grotte di foreste inflessibili, di fantasmi quasi umani, pietrificati. Ma basterebbe la vita? Perocchè, dalla selva delle cifre, germogliavano, a tratti — a confortare il poeta, spesso ad irriderlo — esemplari di una flora ideale, satanicamente perversa e lusingatrice. Ho assistito a una delle fasi culminanti di cotesti prodigiosi e perfidi amori. Già l'uomo teneva nel suo pugno — saldamente, imperialisticamente — la sua, così egli la chiamava, « invenzione contabile », e aveva tutta la baldanza, la fiducia in sè, la insistenza inef- fabile dell'e inventore » di professione. Lo solcava ben- sì il sospetto, non di apparire soltanto, ma di essere, di diventare, veramente un a fissato »; il che documen- tava, del resto, la saldezza persistente della sua' ra- gione. Ma erano lampi, che a mala pena rieseivano a distrarlo un istante dal martellare indefesso. E il lavoro fruttificava superbamente. Io lo veggo — mi par ieri! — là, su la tribuna, nel salone del Liceo Beccaria; anche allora io mi ero as- sunto la parte del buttafuori. Egli aveva concepita l'audacia di applicare alle sue terribili tabelle il leno- cinto, già in voga, della proiezione luminosa. Col sus- sidio del riflettore, s'ingegnava a spiégare la sua ca- bala a quel pubblico misto di sfaccendati, - di damine, di habitués indefettibili della conferenza gratuita, e di tecnici arruolati per l'occasione. E non rifiniva di spergiurare (temeva non lo scoprissero da sé!) ch'egli non era oratore, la qual cosa gli ingarbugliava le di- mostrazioni,. e scemava evidenza e fulgore alla sua idea, che pure era così semplice! Soltanto, ecco il suo torto, era « troppo bella »; sapeva un po' del miracolo. Conveniva. mortificarla, ricondurla nella cerchia del fenomeno naturale, farne afferrare la « chiave n... Era bella davvero, in quell'ora, la donna del pen- siero e del cuore di Sigismondo Balducci. E pareva, come la Beatrice, venuta veramente in quell'aula, di cielo in terra, a miracol mostrare. Perocehè, dopo le formidabili tabelle, che avevano suscitato, a dir vero, un mediocre entusiasmo, bal- zava sul diaframma il nitido simulacro della casa mi- racolosa — si chiamava la e casa mutua assicurativa » — nel suo svolgimento embriologico. Prima ancora, era la casa popolare ordinaria, quale sorge e si svolge — stitica, pigra, miserabile — cogli odierni metodi contabili più « ricevuti ». Si capiva come i senza-tetto formicolassero sempre! Quindi — con riscontro ma- gnifico — nella luce vibrante, quasi lunare, proiettata dalla lanterna — appariva la casa del Balducci, il suo « castello di Spagna ». Il piccolo quadrato iniziale, punteggiato di quattro finestrucole e appena accentuato da un paio di fumaiuoli — simbolo del tenue primo capitale d'impianto — si dilatava via via, si innalzava, si rigonfiava, come un essere vivo, in virtù della serie degli investimenti successivi, decrescenti in quella data ragione; diventava, in brevi anni, un palazzo, una reggia, un colosseo, un monumento nazionale; non contento di polisarcizzarsi, figliava, prolificava; si cir- condava di casette, giovani ed esili, come una chioc- cia di pulcini; casette, che, a lor volta, sottoposte al- l'identico regime di alimentazione razionale, cresce- vano, diventavano adulte, gravide, puerpere, madri; e via, così, all'infinito. Una vera famiglia patriarcale; da far invidia a quelle dei versetti della a Genesi n. Quella fecondità, esuberante gremiva di nuovi edi- fizii il suburbio di Milano, poi la campagna lombarda, quindi la valle del Po, l'Italia, l'Europa, il mondo in- tero. Pareva il miracolo di Cristo, dei pani e dei pesci, tradotto in émbrici, in mattoni ed in murature. Se Balducci fosse stato oratore (rispergiurava di non es- serlo punto) almeno quanto il Nazareno, arrischiava la crocifissione — forse una commenda! E, più le case crescevano — sempre sul diaframma! — più il debito, servito a costruirle, diminuiva. (L'u- ditorio gongolava .pensando allo scemare dei fitti). Si doveva giungere a un punto — si giungeva assai presto — che la casa prodigiosa, all'inquilino fedele, non costava più, di pigione, un solo baiocco. Méglio: gli versava una rendita, per compensarlo del disturbo di abitarla; per esempio, una pensione di vecchiaia. Come tutti gli innamorati quando confidano altrui le meraviglie della loro Dulcinea — l'e inventore n, a questo punto, arrossiva, trepidava un poco. Trapelava dall'accento il timore di non esser creduto. Dubitava di venire scambiato per uno spacciatore di cerotti sul quadrivio. E tornava, insistentemente, all'affare della « chiave a, che doveva persuadere tutti e riabilitarlo. La e chiave » consisteva, in sostanza, in un tenue de- posito, o anticipazione di denaro, che l'inquilino do- vea fare all'atto della prima locazione. Ad agevolarlo ai più straccioni — purchè lavoratori ed attivi — sop- periva una ben congegnata operazione bancario-assi- curativa, che l'Einaudi encomiò nel Corriere. Quel de- posito era tutto il segreto del congegno; negli schemi successivi, quel (pezzo n è mutato di forma: la so- stanza rimane. Era a il volante»,onde la ruota traeva sempre nuovi impulsi al suo rapido giro, e faceva un po' pensare a una macchina del moto perpetuo. Ma l'analogia era speciosa. Tant'è che, a lumi quasi spenti, gli ingegneri, i finanzieri, i giovani del Politecnico, venuti al con- vegno, si attardavano a disputare fra loro e coll'e in- ventore », chi sollevando un dubbio, chi invocando un chiarimento, chi suggerendo un ritocco — con più o rnéno di fede o di riserve prudenziali — ma nes- suno contestando il fondamento, la serietà, la ge- nialità della a trovata ». Ah! gli entusiasmi degli amanti! Ahl come l'amore, durando, si. logora, e che disinganni prepara! Bal- ducci, se era caro ai numi, doveva, quella notte, ti-

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