Critica Sociale - Anno XXI - n. 16 - 16 agosto 1911

CRITICA SOCIALE 255 col suo immancabile codazzo di dolori e di torbidi, diverrebbe forse inevitabile. Il Proletariato italiano e il Partito socialista do- vrebbero quindi prendere posizione precisa nella questione, opponendosi non solo ai rialzi, ma anche allo statu quo lievemente emendato e semplificato, quale accetterebbero, fra gli altri, il Galluzzi e l'Ei- naudi, e propugnando, invece, come fa il prof. Gio- vannini nella Libertà Economica, una politica di ar- dite riduzioni tariffarie, per la quale il prezzo as- segnato ad ogni trasporto non superasse il costo effettivo di questo, se non di una frazione piccolis- sima, la somma delle quali frazioni impinguerebbe però il bilancio ferroviario in ragione del rapido moltiplicarsi delle unità a cui si applicherebbe. Na- turalmente la riforma potrebbe avvenire gradual- mente, in attesa del compiersi degli studi, dalla de- finitiva sistemazione ferroviaria, dei negoziati doga- nali, ecc. Ma dovrebbe essere generale, diretta cioè ad avvantaggiare ugualmente le merci e i viaggiatori e tutte le classi sociaii. Nella speranza che, un giorno, l'evoluzione sociale possa colorire il bel sogno di M. Cooper, il ricco filantropo di Norwich, e lo Stato apra a tutti, ri- valendosi sull'imposta, l'uso gratuito delle sue fer- rovie, come già ha fatto, abolendo i pedaggi, per le strade ed i ponti; una nazione come l'Italia ha il dovere, frattanto, di agevolare al più presto possibile i rapidi contatti fra i suoi cittadini, il diffondersi della cultura, lo sviluppo dei traffici. L'adozione dei veri prezzi ferroviari economici recherà quest'altro vantaggio: la necessità di sopprimere, convertendoli a benefizio di tutti, i prezzi cosidetti politici, ossia di privilegio e di favore. Privilegio e favore per chi? Non v'è chi lo ignori in Italia, e basta avvicinarsi a un direttissimo in partenza, per constatarlo.- Ebbe- ne: un grandissimo dotto, il prof. Maffeo Pantaleoni (Giornale degli Economisti, gennaio 1911) ha scoper- to che quei privilegiati della ferrovia non sono nè collaresse nè commendatori; sono... operai organiz- zati. Chi lo imaginava? Quando si dice la scienzal... fitte al prossimo numero). LUIGI ZECCIII. LA POLITICA DELLA GENTE AMMODO" Sospettai sempre che la più squisita cretineria po- litica si annidi nei cervellucci di quella, che si fa chiamare volontieri agente per bene»; che, ogni dopo pranzo, chilifica dolcemente sul suo Corriere della Sera — non legge, non cerca più in là — e diventa, senza accorgersene, il fedele grammofono di quei dischi così sapientemente congegnati ed in- cisi. Brava gente, quella, che non smoverà mai niente nel mondo, perchè ha l'odio istintivo di ogni novità, intendo di quelle novità, che possono turbare la quiete e gli affari. Oh! in arte, in letteratura, in musica, ad esempio, un briciolo di nuovo (con mi- sura, veli!) si concilia anche col bon ton e colle buone digestioni. Ma in political.., ma nella vital... Ohibò! Eppure è ben questa gente, che costituisce — an- che nei Comizi elettorali — la saluation armg dello statu quo, la sacra legion tebana della conservazione politica e sociale! Un tempo, per costoro, il socialismo era come il Priapo rosso, custode degli orti. La definizione della proprietà, scattata dalla penna di Proudhon, incuteva, in quei tremebondi, lo stesso sgomento, che, negli uccelli famelici, la classica falce, brandita dal fantoccio pagano. « Socialista», per un tempo, valse a delinquente », o poco di manco; la a questione sociale» era un'eresia di pescatori nel torbido. Frattanto, il temuto problema, dalle biblioteche e dalle cattedre, cala nella strada. I teoremi di Marx e di Lassalle si articolano in programmi d'azione. I lavoratori si organizzano; la teoria s'incarna nel fatto storico. Ed ecco un giovine Imperatore, im- pensierito delle capestrerie di cotesto figlio naturale (non voluto riconoscere) del capitalismo, provarsi ad adescarlo e a legittimarlo in qualche modo... Ahi- mè! il monello si ride anche degli « unti del Signo- re». Ecco un vecchio Papa sapiente ingegnarsi ad imbalsamarlo con tutti i vecchi sali della morale cat- tolica. Eh! sì! Il socialismo scappa via dall'acqua benedetta, come fosse Satanasso in persona. E balza per tutti i su e giù della storia — chi riescirà più a fermarlo? — come uno stambecco via pei nevai. A un certo punto, mutano le sorti. Lo scomunicato sembra torni in grazia. G1' a intellettuali a se ne fan- no I1110 sport. Non si è qualcosa, in Parlamento od in Banca, nella stampa od in arte, al club o all'Acca- demia, senza confessarsi un po' intinti di pece ros- sastra. Le e Illustrazioni » lo kodaccano; il Guerino ne schizza la caricatura; il socialismo, un certo so- cialismo, almeno, è Ventata gilté della moda. Il primo maggio — ah! digraziato! — minaccia di diventare la festa universale... , Chi ricorda l'inchiesta che la domenicale milanese Vita Moderna — Gustavo Manchi, direttore — aper- se, alla vigilia del Primo maggio 1904, fra artisti, letterati, uomini di scienza, intorno a ciò che pen- sassero del socialismo? Fu un coro di consensi e di simpatie, a male pena striato da qualche timida dissidenza o diffidenza. Dei 202 che risposero — e v'erano bellissimi nomi (quan- ti, oggi, trapassati! — Bonghi, Massarani, Negri, Lombroso, De Amicis, Giacosa, Ascoli, Schiapparel- uno solo si confessò agnostico in materia: il pittore Michetti. Decisamente antisocialisti, appena 21: fra questi, Marco Praga, Domenico Oliva, e due romanzatrici, la Serao e la Ferruggia. Del socia- lismo, 53 accettavano tutta la critica, scettici soltanto quanto ai rimedi; Bonghi, Massarani, Gaetano Ne- gri erano del numero. Fogazzaro, a correggere le iniquità sociali presenti, invocava; cristianamente, giustizia ed amore. Da buon discepolo di Galileo, Sehiapparelli riteneva alcune idee — a un dipresso, il programma minimo dei socialisti — mature, non foss'altro, per lo sperimento, giudice supremo. Dei rimanenti, 12 annuivano, solo alquanto pessimisti circa la correggibilità della cosidetta « natura uma- na » (1); 115 si proclamavano, non solo consenzienti, ma, a dirittura, entusiasti. Magnifico plebiscito dei più alti valori intellettuali d'Italia! Vorrei potermi indugiare; rievocare le più caratte- ristiche di quelle risposte, auspicanti al trionfo del selvatico fanciullo, che, come l'Orlandino della leg- (I) « Ignoro profondamente ohe cosa sia la natura,; e mi rido, comunque siano, de' suoi decreti — Scrisse un giorno, sarcastica- mente, quell'arguto e profondo spirito di Melchlorre Gioia. (Nota della °anice).

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