Critica Sociale - Anno XIX - n. 13 - 1 luglio 1909

CRITICA SOCIALE 205 attuali, restati nelle terre ad essi più convenienti, le spontanee erbe da pascolo sono meno id<Jneeper gli armenti bovini, di quelle che crescono rigogliose sui colli di Roma. Tolte poche terre distribuite ai cittadini pel' le colture specia.lmente ortensi e per l'alleva.mento del minuto bestiame, il resto dell'Agro fu sempre tenuto per la pastorizia va.gante, e fu sempre malarico. Le testimonianze degli scrittori latini non mancano in prova di ciò. In vicinanza di una giornata dall'Agro romano 1 i colli e i monti albani e sabatini, che sorgono ai due lati della vallata, e quelli che si addossano all'Ap– pennino, sono fortunati di vigne e di uliveti, e cli altre ubertose colture. Gli antichi Romani, quando non potevano provvedersi di vettovaglie per via di mare, avevano bisogno dei prodotti agricoli di quei colli e monti. Trovavansi perciò in grande vicinanza due forme separate di sfruttamento fondiario, le quali tendono per mutuo rapporto ad integrarsi. La loro integra• zione ora avviene in modo libero; ma nell'antichità la lotta era feroce per il possesso della terra neces• saria alla semina e al pascolo: quando questa terra mancava, s'invadeva quella del vicino. Ogni comunità aveva il suo ager pubUcus per seminarvi, pascolarvi e legnarvi; e perciò ogni invasione nemica io esso non offendeva i singoli che ricorrono ai ·magistrati, ma le collettività che l'icorrono alle armi. La storia non ne parla; ma credinmo di non errare asserendo che i Homani, come sentirono il bisoguo di conqui– sta.re la Sicilia e poi l'rngitto per pt'Ovvedersi di grano che il commercio allorn non portava, così sono stati sempre in armi contro i popoli vicini pei· non farsi invadere le terre pascue e conquistare quelle da coltura. Jnvero la guerra per la conquista e per ht difesa dì terre è stata comune a tutti i popoli antichi. Ma per. Roma si aggiungeva un fatto di capitale impor– tanza: i paschi del piano servivano e servono otto mesi dell'anno agli armenti e ai greggi che tornano in estate in montagna, e i colti dei colli ai bisof.ini di un centro commercinle sorto in fondo alla valle. C'era conflitto pel'Cbè c'era tendenza all'armonia delle varie attività agricole spezzate dall'internsse localista privato in diverse situazioni topografiche. TI conflitto, per non essere eterno, doveva fatalmente condurre alla distruzione di alcune città e al trionfo imperiale di quella che traeva le proprie forze, oltrechè dalle colture campestri, ctai commerci che essa sola domi– nava. Oggi il conflitto assume altre forme, di cui le perpetue crisi agricole sono il risultato principfde 1 perchè la derrata mancante può acquistarsi, oltrechè con lo scambio delle denate disponibili, con quello dei pì·odotti industriali e con quello dei servizi pub• blici che il mondo antico non conosceva; ma leder– rate, prodotte sempre in forma spezzata, generano urti disastrosi tra l'eccesso dell'una e il difetto clel– l'altra, ed ancora il conflitto mantiene il dominio imperiale di pochi signol'i, i quali impongono il più affamante dei tribQti sulla terra, che non sa nutrire in pace i suoi figli che la lavorano. E pei·ò serbato alla Federazione dei lavoratori di armonizzare le varie attitudini di suolo e di climà in un perfetto organismo agricolo, funzionante nell'interessP- dell'or• ganizzazione sociale dei consumi. La grande vicinanza del suolo da pascolo e da semina o boschivo con quello a colture ortensi ed arboree, Rtahilisce e mantiene un pili stretto nesso organico per un'agricoltura complessa e una com•er· genza Cli popoli, che, per Pattrazìone ad integrarsi, reagiscono come i corpi chimici nell'atto della com• binazione. Nelle più fortunate ten-e dell'mtruria. e della Campania, potendo pili facilmente un predio bastare a sè - e ne è prova l'uso generalizzato della mezzadria e delle colture consociate - non poteva sorgere lo Stato imperiale. La forza spiegata da Roma per la couquista dell'ltalia e del mondo le deri\•ò dalla fusione in essa di tutti i fattori di \'ita e di ci\•iltà dei popoli circostanti. L'urbe fu come il fuoco di una grande lente a cui convergono i raggi di luce e di calore. Ci4scuno dei popoli cir· concianti la campagna ron1:tna era. individuato in un particolare gruppo montagnoso: la loro unione fu data dal centro di convergenza i□ Roma. Questa era conquistatrice perchè conquistata. La suddetta breve distanza, inoltre, permette che le tene malariche del pia,no si possano in gran parte fuggire, ritirandosi, al termine del lavoro 1 sui colli salubri di cui è ricca la vallata. ~'avorisce che la stagione della malaria coincida col ritorno del be– stiame pastorizio sui monti. Non era infine la malaria tin fatto speciale di Homa, perchè fosse resa impos– sibile la esistenza e la grandezza cli questa. La qua• li fica di città eterna, che Roma diede a se stessa, in confronto al decadere e allo scomparire incessante di tante altre città, rivela che i Romani non videro mai nella malaria una causa di loro scomparsa o di menomazione alla loro grandezza. Vedremo in apposito capitolo i rapporti storici tra malaria e la.tifondismo meridionale. 2. - Il carnttere pastorale e latifondista della campagna romana è originario; perpetuasi ad onta di tutte le invettive contro i feudatari e i Governi e di tutti i progetti fantastici di colonizzazione, e non sarà tolto, per dar luogo ad una più sociale agricoltura, se non si sostituisce all'internsse priYato quello collettivo. U periodo piit malarico dell'annata corrispondendo a quello in cui cessano di vegetare i paschi della campagna romana e in cui le mandrie possono tro– var~ altri pf1schi·verdi nelle montagne abruzzesi, gli erbai invernali della pianura trovano nella malaria stessa un fattore che li fa preferire ad ogni coltura. [I popolo romano fu in origine di pastori, che divennero agl'icoli in seguito ai rapporti con gli altri popoli del Lazio e della Sabina. 11 culto primissimo di Roma rivela la origine pastorale. La stessa lupa nemica delle greggi, per un avanzo di culto tote– mista, è, nella leggenda, collaboratrice alla grandezza di Roma. Fra le rovine del Foro, appena rimesse in luce, sul Palatino e sul Pincio, crescono vigorose le migliori piante da pascolo) il trifoglio e la branca orsina (acanto), assieme all'alloro e alla quercia con cui coronare tutte le glorie. L'interesse a tenere la terra a pascolo porta al latifon<lismo. Questo è durato, con varie fonne giu• ridiche, lungo tutta la storia cli Roma, e conserva i suoi fattori genetici. La lotta secolare trll. la plebe romana e il patriziato non poteva derivare da altro che dalla soverchiante onnipotenza latifondi~ta di questo, quando alla plebe non erano consentiti altri mezzi di vita che non derivassero direttamente dal lavoro agricolo e da quello servile. Non si concilia il contrasto, pili spiccato che altrove, tra plebe e patriziato, con il supposto frazionamento abitato dell\rntico Agro romano. Nella campagna dell'antica Roma si coltivava poca spelta e pili poco grano i ben poca dovea m~sere la superficie ad orti ed alberi; il resto era, come è ora, pascolo e praterie per la pa• storizia vag·ante dell'Appennino. Veggasi su ciò la Storia, di Romei antica del Momsen, libro IU, capo xrr, 3. Dalle antiche ville patrizie si è tratta la conse– guenza erronea che allora la campagna fosse popo• lata e che si possa tornare a popolarla. Anzitutto non sappiamo che rapporto si possa trovare tra Je immense e splendide ville, ma poco utili, dei grandi dell'antica Roma - le ville patL·izieattuali sono un chiaro esempio - e la disseminazione di case abi-

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