Critica Sociale - Anno XIX - n. 8 - 16 aprile 1909

124 CRITICA SOCIALE (lella ,·iolenza, filosofia nietzschiana, culto della 1.. volonLli creatrice.,. concezione aristocratica della storia, neo-idealismo, misticismo aspirante all'" Uo• mo-dio 111 ecc., ecc. E ci pare che basti. 'l\1tte queste affinità, queste parentele, queste venature della dottrina siurlaca• lista tlimo8trauo chiaramente la sna origine e la sua rnitnra. La tem•ia sinclar·alista é, insieme, l'est1·enws{OJ·;,o e ti1,ftima esp,·essio,ie della (ilo• so/la bo1·011ese. Per climost,rare questa nostra tesi - lo sappia.mo - occorrerebbe un volume. Mil. noi ci si amo limi• tati ora, basandoci sul lavoro tli un gioYane e valorosis:-:imo scrittore, a lumeggiare qualche pe• nomhra e a tratteggiare qualche tocco, in punta di penna .. An'l'URO 8ALUCCI. I pericoli della municipalizzazione delpa Lo scorso anno più di un Comune ha avuto novella– lamente la velleità di un tentath·o di municipalìzzazlono del panf' 1 e ho qui innanzi agli occhi una lettera da Reggio Emilia, nella quale si domanda perchè gli igic• nlsti non levano la loro voco contro l'inerzia in un campo che pure tocca <lavicino 1 e così da vicinro,l'igiene e li mentaro. Non vi è dubbio: in Hallo. quasi tutti (i pochi ricchi non conta.no ) mangiauo un pano pessimo. La formonta– zio110con lievito di birra quasi ignorata, le maestranze dcflcicntl, i forni primitivi, qualche volta le miscele an– cora primitivamente allestlte 1 fan al che l'arte panarla sia in un patente stato di Inferiorità: chi ha abitato in Francia, in Austria, in Germania, e più che altrove in lnghilterra 1 conosce assai bene tutto ciò, e sente la pa– trl11soltanto al gusto del pane. Pur troppo da noi l'estetica della alimentazione è un mito: vi ò ben altro da rifare, prima di occuparsi di ciò. i\la la constatazione non cessa cli essere vera per questo. Si aggiunga che il pane ò caro, nò vale cercare qui le spiegazioni: mi limito ad affermare che ò caro più che nella grande maggioranza dei paesi civili, e sensibilmente meno buono. Nè parlo del pane del Co– muni rurali: rimanendo all'alta Italia non avrei che da riferire alcune mie determinazioni, dalle quali risulta il ratto non credibile, ma reale, che taluni paesi del Comuni rurali del Vercellese hanno perfino attorno al 41 11 • 0 di acqua, per eSlfere ben certi della verità di tutto questo. Quindi ragioni annonarie e igieniche a josa, per spin• gero A.Ilamunicipalizzazione: ragioni economiche e mo• rati o.Imeno discrete. Ma sono cominciati i timori subito dopo. I risultati di Cat.ania - le difese tentate per l'azienda municipale non banno convinto chi ha pratica di amministrazioni Industriali - sono stati un repulsore formidabile per molti desideri: e taluni piccoli o parziali tentativi (ri– cordo di ruggita quello di Torino) banno fatto cadere molto illusioni al riguardo. Per conto mio debbo rare una confessione: ebbi parte in un tentativo di grande industria del pane 1 ho ricono• sciuto gli errori del tentativo, ed ho promesso di farne ammenda. E mi è sembrato utile raccogliere le conside– derazloni derivanti dalPerrore e dalla penitenza, perchè questo considerazioni hanno un certo interesse por la tanto reclamata munieipalizzazione del pane. Ciò tanto più che nel 1905 e poi nel I90i ebbi occa– sione di veder da vicino alcuni grandi panifici, lndu- striali e cooperativi, del Belgio, dell'Olanda e della Oer• mauia, e credo di essermi reso conto delle ragioni per le quali taluni funzionano bene e realizzano guadagni. .. L'Industria panaria, quale oggi è da noi 1 si svolgo In condizioni cli una lacrimevole meschinità.: salvo poche eccezioni. Per Torino, ad esempio 1 si può considerare che circa 800 piccoli forni cooperano alla produzione di quel migliaio di quintali, chu rormano il fabbisogno quoti– diano di pane. Soltanto due forni hanno una produzione rilevante, e In ogni caso superiore ai 10 quintali: gll altri forni producono talvolta due, talvolta tre, e in qual• elle cago anche solamente un quintale. Ne deriva che spesse volte la lavorazione 1 per necessità economica, è ratta in disastrose condizioni d 1 amblente. Jl personale è vario di numero: molti produttori ri– tengono che coi forni di veochlo tipo occorra. un operaio per ogni 1I0-120 kg. di pasta.; col forni ruotanti si può arrivare, se il lavoro ò ben organizzato, anche ad una produzione di 150 kg. per uomo. In tali condizioni pare logico pensare che un grande stabilimento, municipale o no, debba. rappresentare un innegabile guadagno. Si avrebbe infatti in tal maniera. no risparmio di locali, forse cli personale e, se i forni sono buoni 1 anche di combustibile. I~ precisa.mente il concetto che ha guidato più di una volta a tentare i grandi paniflei Industriali, conducendo ai risultati che a upese nostre conosciamo. Non bisogna dimenticare che Il pane ha caratteri pe– culiari, economicamente inteso: 1° è una merce deterio– rabile e non più commerciabile al di là delle 20 ore; 2° è una merce ingombrante; 3° una merce che si vende in oro fisse e costanti. lletà degli insuccessi della panificazione industriale o municipale dipendono dall'avere dimenticato questi ca– pisaldi. A Torino, ad es., i primi guai si sono verificati nei trasporti, e il corollario economico che se ne può trarre ò questo: è impos9ibile trasportare in una città popolosa il pane da un uulco opificio alle rivendite, nelle stesse ore fatalmente determinato dall'abitudine, senza aggravare il pane di una spesa che può calcolarsi tra L. 0,60-1 per quintale, e che qualche volta aumenta ancora. 11 secondo guaio nasce dal quantitativo di produzione. Il piccolo fabbricante ha una piccola 1 definita, nota clien– tela: la conosce personalmente, sa che su di essa ra un certo affidamento, ~d ò sicuro preventivamente della produzione che sarà smerciata. - Le cose mutano nel caso di un grande panittclo: non appena si largheggia nella produzione, si corre Il rischio di trovarsi nell'opl– flclo un residuo incollocablle. J 5 kg. di avanzo dol piccolo produttore di 2 q. di pano, diventano facilmente I 2 q. di avanzo per un opificio producente 100 q., e la perdita dei 2 q. copre la più gran parte del beneficio delln lavorazione. A Torino, talvolta senza ragione, si osservavano sbi– lanci nella vendita da 100 a O q.: nè è possibile tro– vare rapidi sbocchi ad una merce che con tanta racllttà muta il suo carattere. .Misono chiesto come mai ad Amburgo, ad Amster– dam, a Glasgow vivano fiorentissimi panifici cooperativi: ma la risposta è facile. I panifici cooperativi vivono lo quanto hanno una clientela fissa, immutabile, legata da no vincolo politico e morale. Ad Amburgo le spese elettorali sono pagate In gran parte col pane: e gli operai tollerano, attraverso a questa solidarietà morale, anche l'I od il 2 ¼ in più

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