Critica Sociale - Anno XVIII - n. 3 - 1 febbraio 1908

36 CRITICA SOCIALE Questo controllo onesto, sincero non sari;l.mai pos– sibile in un paese, in cui la legge penale garantisco il mistero e il silenzio sulle turpitudini umane. Del resto 1 non mancano esempi di legislazioni, in cui si va più oltre del pensiero d1 Ze1·boglio,Turati o compagni. Nella vecchia Europa troviamo disposizioni per cun reato di d1rftunazione ò soltanto integrato dalla falsa incolpazione di fatti denigranti. li Codice austriaco, al § ,1si, dispone che si ra reo di offesa all'onore: • a) chi incolpa altri /r.llsamente di un crimine, ov– vero falsamente incolpa ultri di un delitto o di una con– travvenzione. « § 4~8 b) Chi, anche altrimenti, mediante comunica– zione di (atti inventati 1 o travisati, incolpa falsamente una personn.... ». 1 Solo quan,Jo si rivelino pubblicamente f11ttidella vita privata o fu.miglia.re , si· ra a meno della condizione della ve,·ità del fatto p ubblicato. Il Codice di Zurigo è Inspirato allo stesso concetto: Il § 1-19 è cosi formulato: « E colpevole di diffamazione chiunque, in presenza di terze persone, con parole, scritU 1 o produzioni flgu– rative, 1:dfe!'mao diffonde a carico di un altro fatti che sa esse►·e non veri e che !a legge punisce come crimini o delitti. • Per queste legislazioni è l'accusatore che deve pro– vare la falsità. della propalazione - e non è da dubi– tare della esattezza. di_queste disposizioni, perchè al– lora soltanto può presumersi il dolo, quando sia provata nell'agente la insincerità. delle sue propalazioni - la quale è evidente solo quando sia provato che egli era sciente della non verità. del fatto speciftco propalato. Di fronte all'esempio di siffatte legislazioni 1 io non vedo la. ragione per cui dobbiamo contentarci di una riforma timida 1 incompleta. e cbe molto si disco~ta dai veri e sani principi del giure. L. GRASATA. Nell'imminenza del Congresso dei giornalisti, che si terrà a Roma fra giorni su questo tema preciso, la discugsione è utile, e inserimmo di buon grado le osservazioni dell'avv. Granata. Ma abbiamo ap– pena. bisogno di aggiungere che esse, nonchè stor– narci dallo nostra opinione, ci confermano in essa. Convien avere un concetto oltremodo semplicista della moralità e dell'interesse pubblico, per bandire che, quante volte possa provarsi la verità di un fatto diffamatorio, la. diffamazione debba avere, per ciò solo, piena franchigia. Vi può essere una pravità molto più profonda nel co:npiacimento che altri provi nel rinfacciare a un terzo - uomo o donna - o nel propalare a suo carico un passato trascorso, una delle infinite miserie di cui sono intessute tante po· vere vite, magari un fallo antico già pagato alla giustizia o altrimenti amaramente espiato, di <Ju ella che non aia la pravjtà di cui quel fallo è sta.to od è l'indice. fl principio che " la vie privée doit é tre mu.rée " è certamente eccessivo, come tutti gli afo– rismi troppo assoluti, eccessivo al pari dell'altro 1 per cui gli uomini, che rivestono pubbliche funzioni, dehbono " vivere in una casa lii vetro ,,. La vita è troppo complea:sa, e il ben giudicare dell'altrui mo– ralità è cosa, in moltissimi casi) tro1>poardua, perchè ogni tanghero possa tenersi autorizzato a far:si giu– stiziere del suo simile, a questa. sola condizione, che egli possa dimostrare la verità dell'accusa che reca contro di lui. Nè sono rari i casi, in cui la giustifi– cazione di un proprio atto, apparentemente immO• raie, non potrebbe darsi completa, senza ~ trascinare nel ludibrio persone innocenti o sventurate, senza sciorinare in pubblico intimità delicatissime, che hanno diritto al pudore del silenzio quante volte non osti un grande e compro\·ato pubblico interesse in contrario. Questo interesse esiste di regola quando si tratti di falli, che abbiano offeso le condizioni fon– damentali della sociale convivenza, e allora il Co– dice penale prevede e provvede, spesso con ferocia; può esistere in altri casi che il Codice penale non ha potuto prevedere; ma neppure domeneddio, se esistesse, saprebbe codificarne la casistica. Perciò, per quanto, in massima, sia accettabile il principio, che ottima è quella legge che htscia al giudice il minor arbitrio possibile (a cui del resto ben si op· pone 11altro precetto, aversi la migliore giustizia, anche con leggi meno buone, quando siano ottimi i giudici), tuttavia, in una materia così indefinita e multiforme, come questft. della diffamazione, se non vogliamo esporre i cittadini alle più petulanti ves– sazioni e ai più indegni ricatti, dobbiamo pur cer– care qualche limite nlla immunità della censura sui fatti privati, e non sapremmo trovarlo che in cotesti due criteri, che per solito si richiamano e si sup– pongono a vicenda: la nobiltà. dell'intenzione e !'in– terestSe della collettività. a conoscere il vero. Chi, disconoscendo la. relatività o i mutui intrecci dello cose umane, erige a dogma il concetto che la verità - non diciamo la verità scientifica, ma la plateale verità della cronaca personale - abbia tutti i diritti) quasi nuova mostruosa divinità alla quale ogni olocausto sia doveroso, parte probabilmente, senza averne coscienza, dall'ipotesi di casi tipici~ che gli rimasero impressi, noi quali ora vera.mente cosa morale che la verità venisse svelata. ì\fa chi ha pratica di tribunali e di preture, chi ha sentito, fre– quentando cotesti ambienti, tutta la volgarità di moventi e di interessi che, novanta. volte su cento, sta sotto la spicciola e volgare diffamazione, chi non ignora come vi sia una speculazione moralista, più immorale della stessa nequizia contro çui posa a vindice; chi pensi infirie come un cittadino, anche vincitore nel processo, in cui si portò querelante, per aver dimostrato la menzogna del diffamatore, ben di rado sarà dalla sentenza compensato delle molestie, delle ansietà, ilei perclitempi, dei disgusti, dei danni che la diffamazione e il processo gli cagionarono; non potrà. desiderare che sia dato alle velleità pet– tegole o diffamatorie l'incoraggiamento che ]oro J>ro– verrebbe da una regola di legge, la quale ammet– tesse in tutti i casi, a fini di scriminazione, il di– ritto al tentativo della. prova. La diffàmazione è un fatto che oscilla moralmente fra i poli piil opposti: può essere pii1 vile dell'omi– cidio con agguato, o può essere innocente e gene– rosa fino all'eroismo. Tutto dipende dalla figura. spe– ciale delle singole ipotesi, che nessuna mente umana potrebbe costringere tutte quante - ove si pre– scinda dalla ricerca del fine - in un paio di i:iecche formule legislative. Qui, dunque, un certo arbitrio del giudico è il male di gran lunga minore od è inevitabile. Prova. troppo l'obiezione elle di tale ar– bitrio può il magistrato far cattivo uso: è verissimo, ma esso può far ma.Fuso anche dell'arbitrio, che pu1· si dCYCconsentirgli (e la presente riforma tende ad allargarlo 1 senza che alcuno protesti), nel giudizio del merito e nella graduazione della peaa. ~d è so– pratutto in materia politica che l'opinione pubblica, se non dorme, ha modo di farsi sentire e di imporsi. Sopratutto in materia di diffa.,naz.ioni di natura po– litica, noi stimiamo possa aversi per certo che sem– pre il magistrato si varrà del 11otere - creato so• pratutto per cotesti casi per l'appunto, e perciò, in questi casi, dovere - di concedere d 1 ufficio la prova dei fatti, che il querelante si attentasse a negare. Del l'Csto, l'twtorc dello scritto che abbiamo pub– blicato mostrn di sentire egli stesso l'eccesso della

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