Critica Sociale - Anno XVII - n. 23 - 1 dicembre 1907

360 CRITICASOCIALE possibile indipendenza da ogni preconcetto tradizionale e dogmatico non dimostrato; deve sostituire negli alunni all'abito dogmatico 1 che sembra quasi connaturato col pensiero infantile o giovanile e che, rafforzato e rivolto in un determinato senso dalle scuole confessionali, è stato sempre fonte perniciosissima di intolleranza e di odi civili, all'abito dogmstico - dicevo - deve sosti– tuire l'abito critico, e alla intolleranza settaria il ri– spetto di tutte le opinioni sinceramente professate. La scuola laica non deve imporre agli alunni credenze re– ligiose, fllosoflcbe o politiche in nome di autorità. sot– tratte al sindacato della ragione; ma deve mettere gli alunni in condizione di potere con piena libertà e con– sapevolezza formarsi da sè le proprie convinzioni poli– tiche, filo9ofiche, roligiose. È laica, insomma, la scuola in cui nulla s'insegna che non sia frutto di ricerca cri– tica e razionale; in cui tutti gli studi sono contlotti con metodo critico e razionale; in cui tutti gl'insegnamenti sono rivolti a educare e rafforzare negli alunni le atti– tudini critiche e razionali. Uu no:1tro collega di Acireale, il prof. Valerio, afferma che la religione cdstiana deve entrare nella scuola laica od è intolleranza ed errore il volernela esclusa. - È questa un'affermazione, che può essere vera e falsa, se– condo i! sittniflcato che diamo alla parola religione e alla parola esclusione. Se il collega Valerio proclama assurdo e ingiusto il volere escludere a priori dalla scuola ogni Studio, di cui sieno oggetti i fenomeni religiosi e in ispecial modo la religione cristiana; e questo mentre diamo nei nostri insegnamenti così larga parte alle notizie sulla religione dei greci e dei l'Omani, egli ha, a mio credere, perfetta• mente ragione. Ma quest'assurdo nelle nostre scuole non esiste. JI professore di storia non parla forse delle ori– gini del cristianesimo, delle eresie medievali, della ri– forma, della contro rifoi•ma, ecc.? Il commento della Divina Commedia non ò forse un veicolo permanente di informazioni storiche su i dogmi e s11llavita della Chiesa cristiana? E il professore di fllosofla non è portato forse a trattare spesso problemi di religione nat11rale? E il professore di geogratla non dà continuamente notizie intorno alle confessioni religiose, che si dividono il mondo? Solo, di questi fatti noi tutti parliamo critica– mente. Ognuno di noi ha la sua fede: ebraica, o cat– tolica, o protestante, o atea, o agnostica; e nulla deve costringerci a mutilare noi stessi o dissimulare le nostre convinzioni. Ma nessuno di noi si crede in diritto di imporre la sua credenza agll alunni; nessuno di noi prende pretesto dal suo insegnamento per fare della propria fede propaganda settaria; e se alcuno venisse meno a questo dovere di lealtà, tutti saremmo con– cordi nel chiedere la sua espulsione dalla scuola. Se, per es,, un professore di storia andasse a raccon– tare agli alunni - come si legge in alcune storie scritte da clericali - che Alessandro VI era uno stinco di santo, e che la rivoluzione protestante fu promossa dalla fre– gola cbe aveva Lutero di sposare una suora, e che prima della Riforma tutti gli uomini erano felici, e che Lutero morl per castigo di Dio di cattiva morte - come se t11tte le morti non fossero cattive - noi tutti quel proressore lo vorremmo destituito, non perchè sia cattolico, ma perchè_è assolutamente immune di cultura scientifica e critica, perchè è una bestia. E io destituirei subito anche quel professore di storia che osasse raccontare agli alunni la. storia dell'Asino e si arrischiasse a parlare di un'altissima mente, quale fu quella. di Alfonso de' Li– guorl, colla. stessa crassa e bestiale ignoranza dell'Asino; e quel professore lo destituirei non percbè è irreligioso, ma perchè è.... asino. Se il nostro collega di Acireale è, putacaso, insegnante di la.tino e greco, e, essendo fervidamente cristiano, come altri può essere fervidamente buddista, s'interessa in modo speciale delle origini <lelcristianesimo, e crede opportuno far tradurre agli alunni i Vangeli piuttosto che i dialoghi di ~uciano, in ,maniera che gli alunni abbiano notizia dei primi palpiti della nuova fede, anzi che degli ultimi aneliti del politeismo agonizzante, egli è liberissimo di dare al suo insegnamento questo nuovo e interessante indirizzo. Il Sermone della Mout.agoa sa• rebbe un bellissimo tema di traduzione, e gli alunni non ci perderanno nulla, nè Intellettualmente, nè moralmente, a tradurlo, invece di un capitolo de1 Critone. Ma, quando arriva a quei passi dei Vangeli di Matteo e di Luca, in cui si dice che Gesù aveva quattro fratelli, badi bene a tradurre fratelli con fratelli, se n'on vuol e1sere desti– tuito, non perchè cristiano, ma perchè ignorante di greco. ~y se volesse far tradurre il Pentateuco dalla Versione dei Settanta, badi bene a non tacere agli alunni che il Pentateuco certamente non è opera di 1\losè, come pre– tendono d'imporre tuttora con beata ignoranza i prelati della Commissione biblica; ma è opera di cinque autori, dt tempi diversi, e tutti posteriori a Mosè, come tutti i critici seri ammettono oramai senza più discutere Se il collega di Acireale intende in questo senso l'in– troduzione della religione nelle scuole, io sono piena– mente d'accordo con lui; e voglio che con la religione entri nella scuola la politica, entri qualunque idea abbia mai interessato il pemtiero e animato il cuore degli · uomini. Ma, se per religione egli intende la mitologia ebraica insegnata come verità storica; se intende per religione il catechismo sulla cui falsariga alle domande del proressore gli alunni debbono sempre rispondere determinate risposte, er il proressore ha sempre ragione; e gli alunni debbono dargli sempre ragione; se, per in· traduzione della religione nelle scuole, intende, per es., che i professori di filosofia devono essere per legge tutti cattolici - e sarebbe già un affar serio, in questa tem• pesta di condanne cho si lanciano oggi gli uni contro gli altri gli stessi cattolici, determinare chi è il vero cattolico - che i professori di filosofia devono boc– ciare negli esami tutti gli alunni che non si rivelino fedeli cattolici 1 allora fra noi e lui non è più possibile nessun accordo; e il suo posto non è più nè nella nostra organizzazione, nè nella nol:ltra scuola, Perchò chi in• segna filosofia nella scuola nostra non ba il diritto di pretendere negli eshmi un attb di fe'de nella sua filosofia, ma deve solo assicurarsi che gli alunni non sieno pap– pagalli - poco importa se di cattollcismo o di ateismo o di socialismo - ; che la lo1·0 filosofia l'hanno vera– mente capita, che filosofando hanno acquistato davvero il senso dei grandi problemi della vita e· la capacità. di trattarli razionalmente e con serietà. La laicità del1a scuola, iusomma, è Peducazione critica, scientifica, filosofica dei suoi insegnanti. Quando gl'insegnanti siano tutti profondamente imbe– vuti di questa speciale educazione, qualunque argomento essi tratteranno, lo tratterauno necessariamente, costretti dalla forma stessa del loro pensiero, con metodo razio– nalista, cioè laico. Cosi noi abbiamo laicizzata la Divina Commedia. Quale libro più della Divina Commedia si presterebbe a un'o– pern di propaganda religiosa? E Dante stesso non la ooncepì come opera di propaganda religiosa? Ebbene, essa nelle nostre mani ha perduto del tutto la funzione

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