Critica Sociale - Anno XVII - n. 22 - 16 novembre 1907

346 CRITICA SOCIALE tut.ti i malefizi, primo fra tutti quello di attraver– sare il cammino allo stesso movimento proletario? Che ogni convulsione è sterile, che ogni moto di rivendicazione è vano se si svolge in ambiente ostile e non desta intorno a sè un diffnso senso di simpatia umana. Che è supremamente stupido e criminoso concepire la lotta di classe come una guerra senza quartiere tra due pa.rti di umanità nettamente divise e perennemente antagoniste. Che, in o.1;ni caso, la lotta di classe non può svolgersi se non limi tata.mente ad una sfera d'azione, mo– ventesi entro una più grande sfera di umana soli– darietà, e che il socialismo inteso diversamente è concezione utopistica ed immaginaria <li piccole anime irose senza lume d'ingegno e senza alito di bontà. Questo ed altro dovremmo dire alle moltitudini operaie - a quelle più inconscia e a quelle più il– luse - ove potessimo farci ascoltare. Ma leggono esse forse più che un solo giornale, e sempre quello, dove trovano esca alle loro passioni, sino ad averne deformato il criterio? Chi scrive è in grado - per l'ufficio suo - di saperne qualche cosa. Bisogna conoscere la clientela operaia degPistituti di cul– tura popolare per convincersi come questa gente, che assegaa a g1i scioperi generali un còmpito di ginnastica rivoluzionaria, abbia in odio ogni eser– cizio d 1 idee ed ogni ginnastica intellettuale. L'esperimento lo sj è fatto anche alla Biblioteca della Camera del Lavoro a Milano. Chi sono gli operai che la frequentano? Sono quegli stessi che nelle assemble~ della loro classe, quando le investe un vento di follìa, si levano contro le passioni sca– tenate e ne sostengono Furto, scongiurando le ri– soluzioni estreme e riducendole in termini di giu– stizia e di ragione. Gli altri non amano lo studio, non cercano i libri, non curano di migliorarsi intimamente; per essi non esiste altra arme di lotta che il pugno teso; di quelle formidabili che appresta la cultura, lungi dal conoscerne l'efficacia, non sospettano neppur l'esistenza. E coi pugni tesi e le teste piene di vento attendono a preparare la dittatura del pro– letariato. Ma dovremmo abbandonarli per questo? Non mai. Ha un senso per noi la solidarietà. E poi, questi ritarrlatari rallentano di troppo la nostra marcia, costringendoci a soste e a ritorni troppo frequenti. Per loro e per noi, quanti siamo uomini di pace e di buon volere, occorre ci mettiamo a un còmµito solo, a un còmpito semplice e grande, che involge tutti i doveri sociali dell,ora presente: Educare! Non v'è altro scampo al pericolo della inutile violenza civile che rumoreggia alle soglie. ETTORE FABIETTI. Ancora sulbilancio dEIIE grandi manovrE Da Bologna (come si legge nel timbro postale) ci giungono queste righe: "Breve risposta all'arti('.0lo " IL bilancio delle grandi manovre 11 che si legge nel N. 19 della Critica Sociale. Il signor P. Nocchio dice che, se il ~ado d'istruzione della fanteria di linea è tanto inferiore a quello delle fanterie speciali, ciò si deve all'azione deleteria dei Co– mandanti di Brigata sui due reggimenti dipendenti. Ora, senta il signor P. Nòcchio che cosa dice il reg_o– lamento di disciplina (vecchioe nuovo) dopo aver trattato dei doveri del Comandanti di Brigata, che cosi riassume: " esercitare una continua ed immediata vigilanza sul u retto governo 1 sull'istruzione, sulla disciplina e sul u buon andamento in genere di ogni servizio dei reggi– u menti della brigata al loro comando. " Ànaloghe mansioni ha un comandante di brigata di " fanteria rispetto al reggimento bersaglieri di stanza t1el " territorio della ,·ispettiva divhione. " Con questo cade dlrnque tutto il ragionamento del signor P. Nocchio. E così si fa la storia e, nel caso spe– ciale, si vuole illuminare la Commissione d'inchiesta! I . . . E P. Nocchio risponde : Fratello mio in Cristo, Io non so chi tu aia nè perchè mai ti sia voluto di– sturbar tanto. A.dogni modo ti ringrazio infinitamente i la tua lettera - la chiamo cosl quantunque le manchi qualche cosa per essere veramente una lettera - ml ha portato una grandissima consolazione e la terrò caris– sima perchè attesta che anche la mia indegna prosa ha un lettore che se ne interessa fino al punto di spendere tre soldi per confutarla. Forse tu non immagini la gioia che può dare ad un povero ignorante ambizioso come me la notizia d'avere un lettore acuto e diligente come te, e di averlo, per di più, tra le mura di una delle città più care e desi– derate: nella dotta Bologna, immortalata dalle scienze, dalle arti, dalPindustrie ... o dal 1'ut·co di 1·itor110. Ma, a parto questo, le tue parole mi sono riuscite gratissime perchè contengono una implicita ma eviden– tissima approvazione di quasi tutto ciò che scris~i nel– l'articolo incriminato su II il bilancio delle grandi ma– novre ,,. Tu dichiari, cominciando, di voler rispondere all'a,·tt– colo; ma, vicevbrsa, attacchl poi soltanto un punto del– l'ultima parte dell'articolo stesso. Dunque tutto il resto ha meritato la tua ambita. approvazione e tu pure am- metti con me: · 1° che il tema delle grandi manovre era sconve– niente sotto il punto di vista della politica internazionale e illogico dal punto di vista militare; 2° che il Capo dello Stato Maggiore Generale coi suoi più vicini satelliti hanno dato una molto misera prova della loro capacità; s~ che l'organizzazione delle grandi manovre fu assai infelice; 4° che ad un assai felice - per quanto poteva per– metterlo il tema - svolgimento strategico, seguì un in– sieme di azioni tattiche cosi sature di errori madornal e di pericolose trascuratezze che fecero 1 arricciare il naso anche ai critici più indulgenti e di manica larga. Ora, se, per farti piacere, lo volessi ammettere di aver sbagliato nell'ultima parte del mio II bilancio n, tu in compenso dovresti essere ccsl imparziale da riconoscere che la parte esatta è tanto grave e importante da farmi perdonare l'errore finale. Dico cosi - bada - per una semplice ipotesi, perchè, nonostante la tua premurosa lezione, non mi sento per niente disposto a riconoscermi in torto. Io scrissi cosa che tutti sanno e tutti dicono ... eccet– tuati gli ufficiali che sono o chE\vogliono andare nello Stato Maggiore, i quali hanno tutto l'interesse personale a non essere di questo parere i percbè è buona regola del vivere tranquillo lasciar correre l'acqua per la sua china, non tirare sassi in colombaia e non tirar fuori discorsi che potrebbero avere torse per fine una possi– bile riduzione di qualche canonicato militare. Scrissi cioè, che l'eccessiva ingerenza del generali di brigata

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