Critica Sociale - XVII - n. 13-14 - 1-16 luglio 1907

CRITICA SOCIAL8 215 L'arbitratoobbligatorio e i Tribunali del lavoro Conferenza allaSocietà Italiana delfiluris\l e degli Economisti. Il. 7. La conclusione a cui siamo pervenuti non ò incoraggiante; essa dimostra a un tempo e che nella sanzione risiede il fulcro del problema dei conflitti del lavoro, e che, d'altronde, una sanzione vera e propria non risulta finora escogitata. R di vero, l'arbitrato obbligatorio, a parte le fina– lità etiche e sociali a cui si informa ogni procedura arbitrale, finalità nobilissime, onde trae ragione di riB1>ettn.bilità ogni tentativo di legislatore o di scien– ziato inteso ad attuarlo; l'arbitrato obbligatorio 1 di– ciamo, si prefigge in ultima analisi un fine di uti– lità economica, a cui gli nitri sono fino a un certo punto e in certo senso succedanei ed eterogenetici. Esso vuole, cioè, scongiurare i pericoli di una infe– conda, talora assurda, dispersione della ricchezza conseguente alla diserzione delle forze di lavoro (i); vuole che il lavoro umano (questa merce preziosa che sarà la merce per eccellenza in uu lontano av– venire e che, a differenza di ogni altra, va irrepara– bilmente distrutta. per la inazione) vuole che il lavoro umano (umano augurabilmente in tutta l'estensione del vocabolo) riprenda il suo corso ; che le energie di lavoro si riconcedano alle attività consuete; che i lavoratori conse11tat10 a snodare lo braccia che avess– ero incrociate in una foggia di violenza passiva. Ora, se il così detto arbitrato obbligatorio potesse tranquillarci su questo che è il punto essenziale, niun dubbio ch'esso ci si offrirebbe, o in teoria e in pratica, siccome il più delizioso dei trovati. La san– zione cioè dell'arbitrato obbligatorio dovrebbe essere, in ultima analisi, la sanzione dell'obbligo di lavoro. Ma come sancire una siffatta obbligazione, contra– stata perentoriamente da una necessità che scaturisce dall'ordino di natura, reeiat.ita da un principio che ha sede nella stessa natura umana? ·E a questa necessità naturale ha dovuto infatti inchinnrsi il legislatore, devoto al concetto di invio– labilità della persona; mfLso1>ratutto conscio della impotenza di una coazione materiale. E a questo principio inviolabile già noto al diritto romano, il quale proclamava il " nemo precise ad factum cogi potest n, si è ricondotto lo stesso codice Napoleone. Che se nel codice nostro la massima. legislativa non trova esatto riscontro, la dottrina non ha però disconosciuto la dignità del princi1>io animatore di tutta la teorica delle obbligazioni (orticoli 1165, 1220 codice civile). Osserva al riguardo il Barassi (l) che il principio in discorso, disconosciuto in tempi in cui gli uomini potevano essere considerati come res, è oggi così profondamente radicato nella coscienza giuridica co– mune, costituitasi attraverso la violenta reazione della rivoluzione francese, da non potersi ornai più discutere. J~d anche il Giorgi, apparentemente restio alla comm,mis opinio, se nega l'assenza della coazione nel senso di azionabilità riferita al judicium con– demtums, ò però costretto a riconoscerla nel jitdicimu executod,1mt propriamente detto. L'arbitrato obbligatorio iu tanto avrebbe ragione di proclamarsi obbligatorio, in tanto potrebbe affer– marsi munito del carattere di obbligatorietà, in quanto guareotisse l'attuabilità specifica della obbli– gazione a cui si collega; ma, poichò tale obhligazione coercitiYamente eseguibile 0011 è nè jn diritto, nè in fatto; cos1 o per questo il problema cade e con esso cadono i tentativi di risolverlo. Il problema cosi posto è, sai vo errore, un rebus senza. soluzione, poichè un vizio pregiudiziale lo in– quina alle sorgenti. E questo vizio dipende dal princit>io naturale e giuridico della incoercibilità delle obbligazioni di fare, da cui discende l'inammissibilità giuridica e pra– tica dell'arbitrato obbligatorio (m). . D'altro lato, ripetiamo, la nozione d 1 arbitrato obbligatorio, di che ci siamo fatto lecito assumere una ipotetica. responsabilità, ci sembra la sola razio– nale e pratica. Limitare invero tale nozione ad una prima fase di mera devoluzione della controversia all'arbitro, con riserva di eseguirne o no il lodo secondo piaci– mento, fLbblnm già dichiarato come potrebbe signifi– care soltanto un poco scrio platonismo legislativo: riferirla a un ohhligo di intervento d 1 uflìcio da parte dell'ente-arbitro, es1>rimcrcbbc, per giunta, far ri– corso ad elemento estraneo alla controversia, in isfrcgio al dogma della. volontà che è a tutt'oggi il cardine del diritto delle obbligazioni. li contrahentes legem dicunl e la ns inter al-ios act{I, sono ancora, per questo, due baluardi giuridici che non hanno bisogno di difesa. A meno che non si volesse subordinare Finter– vento, diremo così ufficioso, del terzo fuori causa, rappresentante un cotal potere discretivo per delega– ziono statale, a un primo passo, a una iniziativa in questo senso delle parti in conflitto. Ciò che però, senza recar pregiudizio alla seconda fase del pro– blema, lascerebbe alquanto 1>erplessi circa la obbli– gatorietà della prima. Se interviene, sia. 1mre in embrione, un consenso di parte, come ragionare di arhitrato obbligatorio? Il diavolo della. questione balza e s'incardina al punto in che, chiusa la prima fase procedurale, CO· stituitn, come s'è detto, dal. judicium condemnans, si procede al judicium executorium, costituente la fase seconda. Mn, pure ammesso in ipotesi che In nozione d'ar– bitrato obbligatorio si Jimitas8e alla prima fase, chi potrebbe giurnrne l'ammissibilità? Però che, anche qui, se gli scioperanti consentono, come che sia, ad adire Parbitro (ma in tal caso la obbligatorietà. diventa volontarietà), la. situazione, per quanto precaria sempre e condizionata alla conse– guente ucccttazione del lodo, non dà ragione di punti interrogativi. Ma, nella contraria ipotesi, q11id iuris? E, notisi, l'ipoteiji contraria si presenta tutt'altro che irreale a chi per poco conosca il gioco e le sor– prei;e della 1>sicologia collettiva 1 in una collettività sopratutto operaia, in cui ai ngibrno e fervono e m1tregginn6 le passioni, commosse dai venti spiranti dai nuo,•i orizzonti del diritto operaio, non di rado adombrate dai 1>regiudizi e dagli apriorismi tanto facili a conquidere lo folle per virtù o per colpa appunto della loro stessa nebulosità. 9. Ci aggiriamo dunque entro un giro vizioso, ove s'annida probabilmente una petizione di prin– cipio (11). Pure, bisogna uscirne; ma esiste poi una via di uscita? Vediamo. Osaol'\'a il Louis (op. cit., pag. 457 o scg.) che, in presenza dolio stato economico contemporaneo, si verifica, al riguardo dcll 1 arbitrato nei conflitti del lavoro, lo stesso fenomeno che si av,·erte nei con– trasti diplomatici. ln entrambi i casi, l'intenzione espressa dalle parti può essere equanime e lode,•ole; ma, dalla inlenzione alla effettuazione, amplissimo corre il diYario.

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