Critica Sociale - Anno XVI - n. 21 - 1 novembre 1906

322 CRITICASOCIALE liani nei Balcani, di Tripolitnnia e di mercato orien– tale. Tutfe nobili cose e molto complicate, nelle quali per altro (sia concessa alla nostra profonda ignoranza un po' di naturale presunzione!) ci sembra che dai piì1 si giuochi alquanto a mosca cieca. I trattati, di cui si discute, non si conoscono, o se ne hanno le versioni le pili disparate; gli interessi, di cui si parla, non si dimostrano, o almeno ò impossibile vnlntarli} neanche apprgssimativamente, in soldi e denari; le intenzioni, poi, presenti e future, dei monarchi e dei popoli, delle diplomazie e.... della storia sono chiuse sotto sette suggelli, stanno relegate in quell'immenso solaio che sono le ginocchia di Giove. E troppo spesso, parlandone, abbiam l'aria di ,•oler risolvere un'equa– zione, non a due nè a tre incognite, ma supergiù a tante incognite quante sarebbero le cifre. J~ppure, ripetiamo, v'è un punto d'importanza de– cisiva, e a risolvere il quale può bastare (almeno ci sembra) il senso comune. Diciamolo con linguaggio bonario 1 da massaie o da contadini : è concepibile oggi, o in un prossimo av-venire 1 una invasione straniera in Italia, con conseguente annession'e di quals-iasi delle nostre 1Jrovincie ? Se la risposta è affermati va, la " frase " di Bar– zilai acquista una enorme importanza: noi dovremo rimetter in sesto ht nostra serratura, e qualunque spesa - quando appena ci rimanga il pane <la man– giare - non sarà soverchia alla bisogna. 'l'ornare addietro dal '67 e dal '59, rivedere i francesi a Mi– lano o gli austriaci a Verona, essere sbriciolati ed annessi all'Impero del f(aiser-J(tinig o, fosse pure, alla Hepuhblica della Separazione, sarebbe tale un tracollo, non diciamo per la nostra dignità, ma per i nostri più palpabili e prosaici interessi industriali ed economici, che nessun sacrificio ci dovrebbe pa– rere eccessivo per evitarne la jattura. Senonchè, domandiamo dunque, la cosa è sempli– cemente possibile? E rispondiamo con tutta asseveranza che l'ipotesi è il colmo dell'assurdo. Nou ci può esser uno Stato qualsiasi che concepisca una simile chimera. Dopo mezzo secolo di unità, l'Italia - se essa non pro– vochi guerra - non può venire disfatta da nessuna conJiagrazione che s'inizi, essa non volente, fuori dei confini. Se la ipotesi non fosse asaurda, l'inva– sione e l'annessione sarebbero respinte e distrutte, con qualunque esercito, anche senza esercito, anche da arma.menti im1)rovvisi, dalle bombe e dalle pu– gnalate. Pugnerebbero le donne e i fanciulli. Si sol~ leverebbero le pietre. Noi preghiamo chi ha senno di smentirci, e di darci della smentita qualche plausibile ragione. Fin– chè questa non ci sia data, noi tireremo dà.Ila nostra premessa le conseguenze inevitabili. Se lo spezza– mento dell'Italia è impossibile, nessun altro interesse può valere un sacrificio ma_g-gioreper la difesa) di quello che già sopportiamo. Noi siamo uno dei paesi più poveri e paghiamo 1 per le armi, in proporzione di ricchezza, pii1di ogni altro paese civile: la nostra })Overtàrende poi il sacrificio cento volte più sentito e pili grave. La dimostrazione matematica fu data e ripetuta in queste colonne ed altrove. I consumi popolari sono taglieggiati dal fisco; le industrie e l'agricoltura sono spesso impedite di nascere o cli prosperare; i servizi pubblici - primo la scuola - in istato da far pietà. L'esercito che abbiamo serve ai soccorsi di urgenza negli incendi 1 nei terremoti, nelle innondazioni; serve a sostituire le guardie e i carabinieri contro i reputati sovversivi e contro la fame ; serve, col11a.rmata - si vuole - a farci pesare per qualche cosa nel sistema delle nostre alleanze 1 d 1 oggi o di domani. Forse varrehbe nieglio che pesassimo meno; ciò potrebbe salva.rei dalle ten• tazioni e sventare l'eventualità di pestarci troppo Jc o.!sa in un capitombolo. Ma concediamo pure che pesiamo il peso giusto. Non ci occorre certamente dare un uomo nè un soldo di più. La logica del nostro ragionamento condurrebbe, lo ammettiamo 1 molto più in là. Condurrebbe a un 1 ardita riduzione delle spese militari. Noi non siamo pel disarmo simultaneo: crediamo che un disarmo graduale gioverebbe a qualunque nazione pacifica che prima lo intraprendesse. Ma a disegno non vo– gliamo spingere la nostra tesi oltre le frontiere clel– l'attualmente possibile. Supponiamo pure che un tanto di difesa organizzata, immediatamente mobili– ta.bile, giovi, non foss'altro, al nostro decoro interna• zionale. Per concederne di più, vogliamo vedere molto chiaro quali rischi eviteremmo, quali utilità ce ne verrebbero. E finora, su di ciò, siamo al buio pesto. * * * Ma non basta. L'inchiesta. sulla marina, le denun- cie e le opinioni dei tecnici sull'esercito di terra, hanno ormai fatto diventare un assioma la convin– zione che i milioni 1 che si spesero fin qui, furono spesi assai male 1 che le nostre forze cli difesa e d'offesa sono in grandissima parte figurative, che guadagneremmo a diminuire i quadri e a rinforzare le unità combattenti. Non vogliamo ora addentrarci nel ginepraio delle riforme militari. Non occorre per la nostra tesi. Ma le lamentazioni e le denuncia, anche derivanti da tecnici non sospetti di tepido amore pet· le isti– tuzioni, urtal'ono fin qui nella muraglia impermeabile della tradizione e del misoneismo. La forza d'inerzia da un lato, gli interessi costituiti dall'altro, impedi– rono finora a qualsiasi programma di rinnovazione di essere, non diciamo attuato, ma neppure larga– mente discusso dal Parlamento. Or avviene qui come nelle industrie: finchè le classi dirigenti trovano la massa operaia docile a qualsivoglia sfruttamento ON-ni impulso di progresso tecnico rimane frustrato': 0 gli imprenditori seguono la linea della minor resistenza e stringono vieppiù la pancia ai lavoratori. Parimenti avviene nell'esercito e nell'armata. Finchè il paese si di!11ostra corrivo ad accordare nuovi fondi, è utopi– stico pensare che il vecchio organismo militare con– senta a un'ardita e dolorosa chirurgia: ai vecchi arti inservibili se ne aggiungeranno dei nuovi con reci• proco impaccio. Arrotondarsi è certo più' facile che rinnovarsi ab imis. Per ottenere la riforma militare organica non v'è dunque che un mezzo: negare la facoltà cli maggiori ampliamenti. Fin qui - lo confessava il Sonnino alla Camera - gli aumenti di spesa, mano mano accor– dati, s'impiegarono quasi sempre nelle cose meno necessarie; metodo sicuro per ottenere più tardi nuovi fondi per Je cose indispensabili. Questo giuo- chetto è tempo che finisca. ; Se i socialisti fermamente lo vorranno, troveranno nel paese e nella Camera - anche fuori dell'Estrema Sinistra - aiuti decisivi, e vinceranno la partita. Ma converrà che abbandonino per un istante l'ossessione del "succhionismo,, a tutto pasto (non diciamo, giova ripeterlo, che debbano astenersi dalle caute e ragio• nevali censure), converrà che mandino a friggere per qualche mese le corazze di bur.ro , e lascino in pace il re del Siam. Che si attengano al ragionamento della buona massaia, la qua.le non sciupa in guanti quando le manca la camicia. Noi vogliamo anzitutto la camicia, per salvarci il pudore. LA CRITICA SOCIAI,E. La Critica Sociale, e il Tempo, per l'Italia: anno L. 22, semestre L. 12 - per l'Estero: anno L. 40, semestre L. 22.

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